Angela Ambrosini, collaboratrice di Lèucade |
La mia riflessione sui suggestivi dipinti di Sauro
Pardini vuole prendere spunto da quanto additato da Maria Luisa Daniele
Toffanin in quel “quasi … non verismo” ravvisabile nella pastosità cromatica
della pennellata, nella macchia scontornata caratteristica di questo movimento
artistico notoriamente antiaccademico e antiretorico. Non a caso lo stesso
Giovanni Fattori ebbe a definire la modalità percettiva dei macchiaioli una
“impressione dal vero” non certo quindi scaturita da un suo specchio fedele. È
quel termine, “impressione”, che ci schiude una visione del reale non così
verista e oggettiva come la prima critica d’arte aveva definito questa, ai
tempi rivoluzionaria, corrente pittorica.
È puro intimismo infatti la nota saliente degli
evocativi quadri di Pardini, anche quelli imperniati sul tema del lavoro
campestre (così grato a questo gruppo artistico) nei quali sia i personaggi che
gli animali si sciolgono come grumi di creta nella fitta trama di paesaggio e
case in una sorta di bidimensionalità che avvolge le sue tele come un’aura
soffusa, accresciuta da una concomitante insistita bicromia rasserenante, tra i
toni dell’argilla e del muschio, quello “specchio annerito” sagacemente intuito
da Maria Rizzi e che sembra costituire in effetti la lente d’osservazione del
pittore fino a sospingerci nel mondo che è dentro di sé, non tanto “fuori” dal
sé.
Uguale attitudine trapela dalla bambina del terzo
quadro che, a mo’ di sirenetta nostrana, si perde nella veduta del litorale
presumibilmente toscano o ligure. Sappiamo che lo sguardo è più importante
della vista e ciò che colpisce immediatamente è proprio lo sguardo interiore di
questa giovinetta, l’impressione, appunto, che il paesaggio suscita in lei e
che a sua volta il pittore è stato felicemente in grado di restituire
all’osservatore mediante quel suo realismo giustamente definito “ontologico”
dal fratello Nazario, un realismo pertanto non empiricamente e freddamente
fenomenico. Del resto, in arte ciò che conta è la percezione del fenomeno, non
il fenomeno stesso.
Di particolare richiamo risulta lo schema quasi
chiastico dell’opera, non sappiamo se voluto o meno, più semplicemente forse
scaturito da reali condizioni chiaroscurali del paesaggio in quel preciso
momento, all’insegna di un hic et nunc di impressionistica
memoria. Mi riferisco alla sensazione ottica da me percepita al primo impatto
con questo avvincente quadro e cioè una disposizione incrociata degli elementi
cromatici chiari e scuri che si diramano nettamente dalla volta celeste per poi
distribuirsi in modo alterno nelle vesti della bambina e nella sezione
inferiore del mare e degli scogli.
Un guizzo di intrepidi cromatismi contrastanti
dal sapore quasi fauve, in questo caso una tricromia di rossi,
azzurri e bianchi avorio, campeggia nelle geometrie ardite del quadro
raffigurante uno scorcio del borgo nativo, Lari, presente nella copertina del
libro di poesie Cronaca di un soggiorno, di Nazario Pardini, e il
cui titolo lascia presagire ricordi di giovinezza condivisi con l’amato
fratello in un binomio inscindibile di arte figurativa e poetica, di codice
cioè asemantico e semantico nell’ interpretazione della vita e della realtà, in
tutti i casi oltre la soglia delle apparenze. Non possiamo al riguardo non fare
nostra la celebre affermazione di Paul Klee: l’arte –
aggiungeremmo noi, qualunque forma d’arte – non riproduce il visibile,
ma rende visibile ciò che non lo è.
RICEVO E PUBBLICO
RispondiEliminaSAURO PARDINI: un pittore dello Spirito
Sauro Pardini e il mentore pittorico dei piccoli gesti, delle consuetudini primarie, archetipi della verità intuita per origine di essere persona al di là di schemi preordinati e accademici.
Non ritengo appartenga in parte al movimento dei "macchiaioli" toscani, ma piuttosto all'impressionismo realistico (come Courbet nei suoi "spaccapietre") di cui interpreta, in esclusiva, l'umanizzazione totalizzata di persone, animali e cose: borghi, soggiorni, viuzze, la Maremma "vivono" insieme all'artista inseparabili nella sua concezione di matrice unitaria ed universale.
Non esiste il prevalere della "ragione" che separa e confonde, ma nelle sue opere si respira la coesistenza di spirito e materia, integrati magnificamente nel circuito dell'Essere assoluto da un realismo etico di rara valenza espressiva.
E allora il tutto rientra nel micro, nel piccolo esistente di una stagione, un giorno, un'ora: questa l'originalità spirituale di Sauro Pardini, tanto riservata quanto eccelsa nella sua interiorità più intensa amplificata dall'"umanizzazione dipinta" (cioè espressa in colori e forme viventi che si armonizzano in "dettagli" importanti, risorse nascoste dell'artista).
Dall' umanizzazione alla spiritualizzazione di cose e momenti, scenari e ambienti, il passo è breve: il divaricarsi si ricompone nell'essente dell'Essere/guida ad ogni espressione grafica (dipinta, disegnata) in una percezione purificata dalla chiarezza dell'ingegno, dalla serietà di una vita, dalla nobiltà etica di un progetto esistenziale.
Questo è Sauro Pardini oltre ogni conferma o ricerca di sé; ritrovarsi e riconoscersi in un attimo creativo, in una scintilla di quell'eterno presente che la riflessione sul tempo ci ha negato condannandoci alla rincorsa, alla paura, alla disperazione dell'impotenza.
Stati d'animo negativi assenti in un artista autonomo e libero di essere nelle cose, negli esseri viventi, nella realtà rinnovata da un gesto che definire arte è poco.
E Sauro più di artista è "artefice" di uno status esistenziale sommerso nella sua individualità serena e sommessa dove il tutto si esprime vivendo di emozioni e sensibilità antiche, primordiali, uniche.
E allora i "colori" si ravvivano nella purezza del sé, gli scenari agresti ritrovano la gioia della faticosa crescita spiritualizzata in esseri umani, buoi, carri da lavoro; e allora i partecipi nella scia dell'artifex Sauro, si trascendono nello spirito dell'attimo che non può esaurirsi solo in un segmento creativo.
L'etica allora emerge e travolge ogni riflessione sviante: l'in sé dell'artista non è segmento, ma la totalità vitale espressa in un mosaico scenografico articolato da un dinamismo "coperto" e riflesso nella tematica psicologica di un uomo che partecipa al flusso eterno dell'Essere e ne celebra la presenza multipla senza chiedere, né pretendere, ma accettando umilmente la "verità" non rivelata dei primi tempi.
Esiste anche un "simbolismo cromatico" in Sauro che non intende identificarsi in stili e movimenti sperimentali, ma si propone come "mistero" del dipingere suscitando emozionalità spirituali profonde che coinvolgono tavole, tele, colori, pennelli, tavolozze, cavalletti... essi stessi testimonianza di composizione/unificata e unificante nella complessità del Tutto.
Marco dei Ferrari