Claudio Fiorentini, collaboratore di Lèucade |
I suoi primi anni come poeta lo vedono attivo a Roma insieme a tanti altri che, come lui, davano vita alla scena culturale della città che negli anni sessanta e settanta offriva una vivacità oggi impensabile: cabaret, poesia performativa, dibattito e ricerca di nuove forme di espressione erano l’ordine del giorno delle serate romane, serate da cui scelse di allontanarsi per ritirarsi, subito dopo la pubblicazione del suo primo libro, a vita privata e dedicare tutto il suo tempo allo studio, alla ricerca e alla poesia sperimentale. Risulta difficile pensare che una personalità così esplosiva potesse fare una scelta di tale portata, ma il cammino che aveva intrapreso richiedeva la più totale dedizione e, come lui amava dire, “La poesia è una scelta di vita”, e un invito a
Dimenticare quella stanza
nell’infinita raucedine
della mia penna,
tracciando nuovi gradini.
Correre a stampare furiosi amuleti,
personaggi di un solitario.
E quella zingara
a tagliar le mie lune
a lavar le mie ossa.
Francesco (Maria) Mecarolo ha pubblicato 5 libri: “E di altri noi (1984),
Ossario indelebile (1986), Autogamia (1992), Σιοπε’ (Silenzio) (2007) e
Olofanti testimoni (2010). Le sue composizioni non sono scritte
nell’immediatezza, frutto di un’ispirazione momentanea, o forse lo sono, ma
l’idea di scrivere “di getto” spesso si discosta dalle esigenze della ricerca
del mistero, ricerca che costituisce il pilastro della poetica di Mecarolo, ben
descritta in “Il mio male”:
E rilevare l’isterico orrore
dell’unico mortale
nella locanda del Messia,
quando le lacrime dello scandalo
coprirono la miseria
con il sapore d’illusione
arrivando a non aver più nulla,
per poi finire a ricopiar me stesso.
La sua poetica, rappresentata in maniera evolutiva in questa antologia, ci
mostra un cammino interiore in cui si cerca l’origine del mistero, l’origine
del sé, e di conseguenza l’allontanamento da ogni tipo di maschera, slegando il
significato dal significante in quanto quest’ultimo è limitato dal contesto
storico sociale, quindi non libero da condizionamenti.
deposto despota annoiato sveste
cutanee donne e i teschi
e di geodeta il gergo
non più esca intellettiva
o compassi rurali o contorte
ipotenuse canute ma negligenti
i giorni codardi spegneranno
chierici chiusi nell’asilo
perché di morte si dovrà parlare.
Per dirla con l’autore “Il sostrato di esperienza umana circa gli
archetipi, dissacrato talvolta in reliquia storica, potrebbe indurre a
concepire, propriamente nel singolo individuo, una sorta di ‘carriera
linguistica’ quasi come semplice frutto di contraddizioni, se non antitesi,
invero argomento unificante del genere umano”. Quindi l’educazione linguistica
trasforma la parola in qualcosa di personale, la collega a significati privati
e l’allontana dal suo ruolo primordiale, che sarebbe quello di collegare a un
evento un ente fatto di respiro e di suoni che possa rappresentare quell’evento
e non altri.
Ribellarsi da questa educazione linguistica implica, però, liberarsi anche
da ogni tipo di condizionamento sociale, per questo la scelta poetica deve
essere portata fino in fondo, fino ad accettare che poesia e persona si fondano
in un unico stile di vita. Questo spiega il “meta-simbolismo”, movimento
poetico fondato da Mecarolo, in cui la qualità contenutistica del messaggio,
non dovendo più essere relegata a rappresentazioni rispondenti a esigenze
culturali, può trascendere la forma e trasformarsi in inedita sintesi
linguistica, frutto di ricerche fonetiche e semiotiche, da cui scaturisce una
parola non più sporca di parola.
verso il sottile d’iperbole equilatera
in su lo spiazzo e l’aria
posando oggetto in alto gli astri andasse
un duplice d’assise negabile
il nero amanuense o qualità parziali
in fondo era un racconto
diretto alla coscienza.
Possiamo parlare, quindi, di ricerca dell’archetipo attraverso una
sperimentazione poetica che invece di proporre simboli o parole, propone versi
scolpiti nella roccia del suono e quindi, come dice Natale Antonio Rossi nel
suo saggio “La poesia ‘francescana’ di Mecarolo”, “Non sono versi ameni, non è
poesia di lettura, piuttosto di interpretazione in recitazione, meglio in
drammatizzazione, da leggere in inspirazione.”
contesti contestati di recente organici
il Mentre astuto nel rompersi di sintesi
a leciti colmandosi fino al nove
geloso un dio nel gerlo quando
per denominare al Monte alcuni…
…più tardi poi ci fu propizio il giorno
Si tratta, tuttavia, di versi ben strutturati che si sviluppano in una metrica definita, che fanno uso di termini arcaici, oppure di termini costruiti per il verso stesso, e che si susseguono in un alternarsi di corsivi atti a distinguere ricercate cacofonie o a incorniciare versi o termini fuori contesto: nulla lasciato al caso. E quindi, l’assenza quasi totale di punteggiatura e il verso polisemico e policromatico che cambia significato a seconda dell’intonazione o delle spaziature date dall’interpretazione, la poesia diventa una sorta di Mantra da pronunciare mille e più volte fino a trovare l’intonazione giusta, dove la dualità luce-buio, terra-cielo, realtà-ideale, demonio-Dio, accarezza liturgie laiche che avvicinano al canto dell’anima, portando alla luce la spiritualità originaria delle parole e trasformando la via poetica in preghiera libera d’inganni.
Il preciso sdoppiato alla grondaia
d’intesa non ancora ammiccare
per dire ammaculata un trono
predire il fato e andare
E
infatti, come ben dice Francesco Boriani nella presentazione di Autogamia, “…è
in un insieme a-spazio/a-temporale che si ripropone incessantemente il simbolo
come portato, ed è nello stesso insieme che la sua comprensione viene
riproposta in termini spirituali”.
Claudio
Fiorentini
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