Pasolini, un grande intellettuale lucido e disarmato
Un
saggio di Antonio Catalfamo ricostruisce l’opera complessiva dello Scrittore senza
pregiudizi, mostrandone doti profetiche
e limiti
Fino ad oggi molti hanno affrontato Pasolini
senza riuscire a liberarsi dal desiderio di esprimere giudizi spesso frutto di
convinzioni aprioristiche. Antonio Catalfamo, invece, procede analiticamente ad
un esame obiettivo delle opere dello
Scrittore fuori da ogni schema preconcetto, con l’unico intento di comprenderne
il valore e di collocarne le opere all’interno del tempo in cui sono maturate,
facendo risaltare, in tal modo, tutti gli aspetti di una personalità complessa,
senza tacerne le più intime contraddizioni.
Inizialmente, lo Studioso dà un rilevante spazio al
periodo giovanile vissuto da Pasolini in Friuli, ricco di esperienze umane e di prove letterarie, che influenzeranno
tutta la sua attività intellettuale, evidenziando una «Corrispondenza biunivoca» uomo-territorio, visto l’attivo interesse alla cultura e
al dialetto delle classi subalterne friulane. Rifacendosi a questo patrimonio
culturale, Pasolini usa il dialetto nelle sue prime raccolte poetiche, arricchendole
con la componente razionale e storica. Il dolore “«esistenziale»” individuale, che vi emerge, si trasforma in
protesta sociale con la denuncia dello sfruttamento dei contadini poveri. Non
mancano contraddizioni in questa poesia, che però, a livello storico-sociale,
trova continuità ne Il sogno di una cosa,
il suo primo romanzo, in cui fa risaltare la delusione per un dopoguerra
diverso da come l’avevano immaginato i combattenti per la liberazione dal
nazi-fascismo. Già ora, nelle opere in poesia e in prosa – nota Catalfamo – il “pedagogismo erotico” caratterizza
nell’insieme “l’universo umano e
letterario” di Pasolini.
Il trasferimento a Roma nel 1949 lo
porta a mitizzare il mondo del
sottoproletariato delle borgate, chiuso e impenetrabile a quello esterno, un “«torbido inferno»”, con caratteristiche
“«secolari»”, astoriche. Il primo
frutto di questo incontro è Ragazzi di
vita, in cui è presente un linguaggio “artificioso”,
spesso poco comprensibile, che rappresenta passo indietro rispetto a Il sogno di una cosa. In Una vita violenta, invece, emergono
delle novità: il recupero della “dimensione
storica”, che mette in rilievo l’evoluzione del sottoproletariato grazie
all’azione del P.C.I., il
ridimensionamento dell’irrazionale ed un linguaggio meno “«bercio»”.
Analizzando Le ceneri di Gramsci, Catalfamo si sofferma sul rapporto dello
Scrittore col Politico sardo, il cui dramma gli permette di riflettere su di
sé. Pasolini,“prigioniero della «storia»”,
dà vita a una “poesia di idee”, ma è
incapace di proporre alternative che gli permettano “di uscire dall’isolamento dell’uomo dall’uomo”. La sua crisi, perciò, non è solo privata, ma di
“un’intera generazione”. Certo, la
lettura di Gramsci è per lui “benefica”,
ma la convinzione che il mondo contadino sia immune dall’“«omologazione»” alla cultura borghese pone Pasolini in contrasto
con la linea politica del P.C.I.
Invece, l’idea del carattere classista della lingua lo mette “sulla scia di Gramsci”, col cui
pensiero, però, ha un “rapporto
contraddittorio”. Nell’insieme, però, quella del Pensatore sardo è stata
una “lezione inascoltata” – come
recita il sottotitolo –, in quanto Pasolini, non ha considerato il popolo “come soggetto di trasformazione sociale, di
cambiamento radicale della società in senso egualitario”, ma, pur
condannando il presente, non ha creduto in un futuro diverso, da realizzare con
“la lotta politica organizzata”. La “vera filosofia poetica” porta Pasolini
porta ad una “soluzione esclusivamente
letteraria alla crisi”, non a quella politica perseguita da Gramsci, del
quale, però, eredita la “visione
«nazional-popolare» della realtà italiana”, denunciando – suo grande merito
– il «genocidio» “delle classi subalterne
e della loro autonomia culturale” senza trovare soluzioni
politico-ideologiche. I molti nemici incontrati, fra cui la Chiesa cattolica,
condannata duramente nella raccolta La
religione del mio tempo, ne hanno determinato la morte, che, da “buon decadente”, lo Scrittore ha
cercato, vivendo “in funzione di essa”.
Catalfamo, mostra come le successive raccolte poetiche testimoniano una svolta,
per la prevalenza di “componenti
irrazionalistiche”, di estetismo e della “progressiva sostituzione della poesia alla realtà”, ma anche
l’approfondimento inerente la propria diversità e lo scontro fra il pubblico e
il privato, che vi prevale.
Un’approfondita analisi Catalfamo riserva alla
produzione cinematografica di Pasolini, che ritiene autonoma rispetto alla
narrativa e ai romanzi romani, ma che
aiuta a seguire l’evoluzione della sua ideologia. Dai film iniziali, esploranti
la periferia romana, a quelli proiettati nel passato e agli ultimi ambientati nel
corrotto mondo borghese, Pasolini si è progressivamente allontanato dalla
speranza del cambiamento, assistendo, con un sempre più assoluto senso di impotenza,
alla distruzione sociale e umana, a cui corrisponde quella sua personale, “nonché la morte della «poesia» e dell’arte”.
La sua esistenza ormai diventa impossibile in una società fortemente odiata,
che lui non è più in grado di combattere neppure “sul piano artistico e letterario”.
Una
condanna senza appello della realtà italiana degli Anni Sessanta e Settanta emerge
dagli scritti pubblicati su giornali e riviste. Pasolini diviene “intellettuale di punta della cultura
italiana”: i suoi articoli sono recepiti in larghi strati sociali e danno
fastidio al potere, mentre il P.C.I. diviene
punto di riferimento per molti cittadini, anche non comunisti. Egli dà vita “a un nuovo giornalismo polemico”,
progressivo e innovatore, pur coi limiti della sua visione idealistica, senza
sbocchi concreti. Nonostante ciò, le classi dominanti temono la diffusione del
suo pensiero critico. Con la “tesi del
«genocidio» della cultura delle classi subalterne” da parte di quelle
dominanti (1974), Pasolini riprende il giovanile ruolo “«pedagogico»”, fornendo esempi – TV, pubblicità – di ciò che
condiziona il modo di pensare, di parlare e di agire delle masse, sottomessa
alla logica del consumo, con cui il sistema capitalista impedisce il loro progresso
culturale. Solo il P.C.I. può essere la guida alla lotta per fare
coincidere «sviluppo» e «progresso». Pasolini evidenzia che è in
atto un programma «neo-reazionario» multinazionale
e non più nazionale come quello fascista. La logica consumistica “«edonistica»”, secondo lui ha inciso
anche nelle battaglie civili, come nel caso delle leggi sul divorzio e
sull’aborto, per il quale è contrario . Facendosi prendere dalla sua “«visione apocalittica»”, definisce più
pericoloso del“«vecchio»”, passeggero
e imposto dalla dittatura, il“«nuovo»”
fascismo del consumismo, perché incide in profondità soprattutto sull’animo dei
giovani anche se antifascisti, a causa di un Potere che li omologa al modello
americano.
Pur
accusato da vari intellettuali di sinistra, fino alla sua morte Pasolini considera
il P.C.I. l’unica alternativa al
sistema capitalista. Quando, infine, arriva a richiedere un “«processo penale»” alla D.C, gli “scritti corsari” non solo assumono un carattere profetico alla luce di quanto avvenuto
in Italia negli Anni Novanta con Tangentopoli, ma, forse, sono anche la causa anche del suo
assassinio.
Attraverso l’esame puntiglioso e rigoroso dell’opera
poetica, narrativa, cinematografica e giornalistica di Pasolini, Catalfamo, quindi, traccia un itinerario che va dal radicamento nella
realtà politica, sociale e culturale del Friuli del secondo dopoguerra al nichilismo maturato al cospetto della
realtà italiana degli Anni Settanta, che lo Scrittore contesta duramente, senza sapervi
opporre, però, un’alternativa operativa.
In un tempo di conclamata crisi della saggistica, il
libro di Catalfamo mostra quanto sia necessario oggi in Italia uno studio serio
e appassionato, poggiante su una grande chiarezza espositiva, in grado di
restituirci obiettivamente l’opera e l’ideologia di chi ha saputo porsi contro
il sistema e il qualunquismo, pagando, infine, di persona. Grazie a Catalfamo,
si può parlare, perciò, di un Pasolini finalmente restituito nella
sua integrità artistico-culturale.
Angelo
Piemontese
Antonio
Catalfamo Pasolini «eretico solitario» e la lezione inascoltata di Gramsci,
Solfanelli, 2021
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