Sette cammini per Breatrice, Ernesto Pérez Zuñiga, a cura di Edoardo Franchi (Ensemble editore, 2021)
Quando nella prima metà del 1800 Daguerre inventa il dagherrotipo
si sconvolge il mondo dell’arte in quanto i pittori non hanno più bisogno di
rappresentare la realtà posto che un processo chimico lo fa già bene di suo. È
in quel momento che l’arte informale, sebbene in qualche modo fosse già stata
preannunciata nel passato, inizia a svilupparsi nella deformazione della realtà
che rappresenta e nell’esplorazione di altri cammini espressivi.
Nella poesia succede qualcosa di simile quando arriva
l’alfabetizzazione di massa, cioè, nel momento in cui la maggior parte della gente
è in grado di leggere, non è più necessario rinchiudere la poesia in un codice
compositivo che ne faciliti la memorizzazione. Nella tradizione orale era necessario
usare rima e metro affinché il concetto espresso potesse essere memorizzato
anche da chi, ed era la quasi totalità delle persone, non sapeva leggere. Un
esempio molto interessante è il Corano, i cui versetti sono tutti scritti in
metrica. Allora la forma era necessaria, suono e ritmo erano un tutt’uno con il
significato che veniva contenuto e trasmesso nella musicalità che lo conteneva.
Altrettanto si poteva dire del simbolo, che conteneva
significati molto più grandi, in qualche modo occulti e intimi, e che
sgorgavano improvvisi alla visione di quel simbolo che li riassumeva.
Oggi, però, non è più così e la poesia può prendersi
molte libertà, può volare in alto e sprofondare nel fango, può ottenere ciò che
prima era impossibile e può anche diventare un insieme di parole banale e
inutile, tutto questo perché è diventata popolare, si è inserita nella
popolazione come mai avrebbe potuto farlo nei secoli passati, grazie
all’alfabetizzazione di massa, che rappresenta quello che il dagherrotipo è
stato per la pittura: la possibilità di uscire da una gabbia! Nasce quindi il
“verso libero”.
Ma attenzione, il verso libero è assai difficile da
usare, la libertà del verso non è l’anarchia delle parole, produrre spazzatura
con la libertà compositiva è assai facile e saper riconoscere la spazzatura
dalla poesia, oltre ad essere opera da titani, è la prima responsabilità dello
stesso scrittore.
Questa premessa è necessaria per entrare nella poetica di
Ernesto Pérez Zuñiga: la sua opera si caratterizza per quella libertà
compositiva estrema dove tutto è consentito aldilà delle apparenze, tranne
l’uso erroneo degli strumenti principe della poesia: la parola, il silenzio e
il ritmo.
La poesia spagnola ha sofferto di una forte dipendenza
dalla tradizione e così, come il ferro battuto delle ringhiere dei balconi
coloniali, si è arricciata in adorni assai musicali ma non sempre efficaci, e
il simbolo è stato preda della musicalità, non viceversa. Oggi molte nuove voci
si sono ribellate a questa tradizione, producendo versi e poesie di grandissimo
valore che si avvicinano di più alla musica contemporanea di Schoenberg, Berg e
Berio che alle canzoni popolari dei tempi passati.
Per quanto riguarda la poetica di Ernesto Pérez Zuñiga, si
direbbe che la componente principale sia nelle immagini, al punto che potremmo
definirlo fotografo o pittore, ma sarebbe riduttivo. Vero che alcuni versi
dell’autore si potrebbero riassumere in un quadro di Hopper, ma è anche vero
che il poeta mette in opera un’autentica rilavorazione del simbolo:
Lì in paradiso
ti perderò.
Guardo i giardini,
roseti di stelle,
ti perderò.
I due presi per mano
durante il deserto,
città luminosa,
neon in festa,
ti perderò.
Quindi, immagini come “roseti di stelle” e “i due presi
per mano”, acquisiscono il significato di un simbolo (symbolum – contenitore/riassunto
di qualcosa), di ciò che prima faceva cadere la gente in ginocchio e che oggi,
riattualizzato, riassume il sentire contemporaneo e lo contiene per intero.
Attualizzare il simbolo proponendo immagini del quotidiano, questo è uno dei
valori dell’opera di Pérez Zuñiga.
Mi abbracciava il suo odore di arance, vestito con la sua
rossa vestaglietta cinese, e la sua mano perfetta nella delizia dello spazio
nel suo tempo. Lo spazio nel suo tempo. E qui solo una pioggia di grandine.
La profondità del verso che trova, come racconta Del
Valle Inclán nei suoi esercizi spirituali, la sacralità nei gesti quotidiani, è
una delle chiavi di lettura della raccolta. Certo, si può parlare di Dante e
del suo percorso, come giustamente spiega il curatore Edoardo Franchi, ma
occorre attualizzare la lettura dei simboli, immergersi nello Spazio
contemporaneo e godere delle immagini che sono accessibili a tutti, per trovare
in esse qual qualcosa di più. Insomma, Dante e Beatrice sono delle guide, ma lo
spazio viene riempito dalle immagini.
I gatti cercano nella
sabbia vicino
alla barca arenata.
Guarda il passeggio della
mia infanzia
a dicembre.
Dolgono le luci sopra
la notte d’acqua
e mi guardo crescere
la profondità dei versi di Pérez Zuñiga si scopre col
tempo, occorre leggerlo varie volte, soffermarsi su ogni parola e trasformarla
in immagine nella nostra mente per riuscire ad entrare nell’essenza della sua
poetica. Personalmente, essendo stato il su primo traduttore in italiano
(L’altro lato, Emersioni, 2019), ho avuto il privilegio di affogare nei suoi versi
privandomi della guida razionale. Ebbene, le immagini hanno preso il
sopravvento e la poesia ha fatto il suo lavoro. Il poeta, quindi, non è solo
uno scrittore, ma un mistico che cerca, attraverso i suoi esercizi linguistici
e spirituali, un cammino verso la trascendenza.
Esco da questa città per
cercare
Il tunnel che va verso il
bosco.
Esco da questa città dove
abitano
I miei spiriti,
i morti che ho via via
accumulato,
e gli altri che sin da
bambino
mi sorvegliano
e i libri alati della
vita:
il vento scandisce
e girava le pagine,
e facevano l’alba.
Nulla è effimero, tutto lascia una traccia, anche il
suono dei passi, un colpo di tosse, uno schiocco di dita… ogni suono scompare
lasciando traccia di sé. Ogni immagine si trasforma col suono che l’accompagna
in quell’istante e non in altri. Per questo ogni attimo è unico e irripetibile.
In conclusione, citando il curatore e traduttore, “il merito dell’autore è
quello di riuscire a riscaldare la propria creazione letteraria alle fiamme
vive della Commedia, attualizzandone e rielaborandone il mondo simbolico in
chiave personale e contemporanea…”. E questa è la chiave: attualizzare e
rielaborare il mondo simbolico, traducendo l’istante in un insieme di immagini,
suoni, odori, lamenti e brusii, che accendono in noi l’esperienza.
Per questo io invoco i
poteri più vecchi e addormentati
Nella pietra
Nell’erba
Negli occhi della volpe
Dotto carapace della
tartaruga e tana di drago
Inseguiti rifugi di lupo
Invoco vecchi poteri
addormentati
una notte senza te
Claudio Fiorentini
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