Marco dei Ferrari, collaboratore di Lèucade |
Il “viaggio” di Nazario Pardini nella “vaghezza” di un sogno
Nazario
ci introduce con questi versi mitici e serici in una visione della vita
completamente differente dal nostro quotidiano.
La “vaghezza”
è il tema ricorrente, la cifra del poeta è una dimensione illimite, a-temporalizzata,
senza allinei concreti, ma cromatologicamente indicata dai richiami di
lontananza, dagli incantesimi di un pensiero attivo e lievitante, dal
sussurrare di uno spirito rapito.
La “vaghezza”
è amore per il poeta che la ninfa trascende raccogliendosi nelle forme rosee
dei veli, nel carminio del vento, nei sospiri di un'arca ciclicamente presente.
È
l'immagine di stordimento che Nazario si raccoglie magicamente tra luci e ombre
in un abbraccio infinito e ineludibile dove il sogno invita alla sicurezza
dell'attimo, del percorso, della necessità di una metamorfosi cromatica ricca
di suggestive apparizioni come quella dell'arca nel viaggio promesso intrapreso
senza timori.
È l'Essere
dell'esistere che circonda il poeta, ne condiziona il tempo creativo, ne
lusinga il vezzeggiarsi distillato dal sentimento immenso di un dettaglio anche
vago, ma aureo e azzurro, vellutato e profumato da rose di un Sole restìo ad ostacolare
il fascino notturno delle ombre.
Ma il
viaggio non può fermarsi: si strascina tra vita e morte, tra sorgenti di
impulsi naturali accesi nella cosmologia di una presenza ontologica
predominante (la storia dell'Arca… la vita in anima…) che l'oscurità non può
controllare anche se ci prova.
L'oscuro
di Pardini non è infatti l'ombra, ma la vitalità di essere qui, ora, dopo,
nella spiritualità umanizzante di un percorso preciso, forse silenzioso e
sfuggente, ma ricco di memorie indifferibili e indistruttibili.
Che cos'è
questa “vaghezza” del poeta, se non un richiamo soffice, tenue, ma
completamente reale ad una presenzialità costante di pensieri, azioni,
reazioni, creazioni?
Quale
“vaghezza” più sincera di un indeterminare interiore che si precisa, verso dopo
verso, sino a convergersi nel lirismo totale?
L’ipostatica
negazione del Tutto sarebbe il tormento peggiore dell'anima che Pardini celebra
nei colori della Natura, nel vorticare del vento, nel sommovimento della
porpora, nella sicurezza dell'amore, unico vascello percorribile a guida e
sostegno nel flusso/riflusso esistenziale dove non conosci inizio e ti sembra
di sorvolare la finalità dell'attimo circonfuso nell’umanizzazione di esseri e
cose.
Pardini dunque
veleggia, vagheggia, simbolizza, fuoriesce dagli schemi, si addentra nella
purezza di scintille assolute che fanno ogni differenza scoprendo l'estasi
della luce nell'orto di famiglia, nel piccolo sentiero di un tempo passato che
diventa presente/futuro, con la sublime visione del cinabro, di pesche e
susine, di zagare e iridi di frulli…
L’incanto
continua in sé trascendendo il dettaglio, le piccole sensazioni di un percepire
difficile tanto da registrare quanto da dimenticare.
Il
“silenzio” finale non è sufficiente, la vita dell’amore trionfa e il Poeta
Nazario si trasforma, s’incolora, s’indora di stimoli leggeri e profondi che lo
riorientano in una nuova dimensionalità poetica.
Marco dei Ferrari
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