O. A. BOLOGNA, collaboratore di Lèucade |
ORAZIO ANTONIO BOLOGNA
NOTA STRAVAGANTE SULLA
SGFINGE DI PIETRA
di
CLAUDIA PICCINNO
La
Poesia, che aleggia sovrana e invita alla riflessione e inocula un messaggio
universale all’umanità colta nel suo travaglio interiore prima che esteriore,
merita attenzione particolare per l’eterea sfumatura, che l’avvolge e le
conferisce quel quid particolare, che l’animo percepisce e cerca in ogni
modo di coglierne i fremiti e i sussulti più tenui. La vera Poesia, però, è capace
di produrre anche grandi terremoti, forieri di profondo rinnovamento interiore.
Il
lettore attento e recettivo, al di là della sua formazione culturale, coglie
immediatamente la substantia d’una lirica e assimila quanto le scarne e,
a volte, ruvide parole veicolano col loro suono, con il loro intreccio nella disposizione
sticometrica. Il lettore aperto e sensibile alla Poesia non si ferma
all’esteriorità, a ciò, che è comunemente detto accidens; distingue il
contenente dal contento e con l’astrazione scevera e mette da parte gli
accidenti, per cogliere la substantia, che sola permette di raggiungere
e assaporare il messaggio veicolato.
È
confortante sapere, e vedere, che molti si dedicano alla Poesia, cercano di
elevare il loro animo al bello, si sforzano, nel loro piccolo, di trasmettere
un messaggio valido ai propri simili, di elevarsi al di sopra del popolino, del
vulgo sciocco di carducciana memoria. Tra tanti volenterosi e zelanti
manovali della Poesia quanto ciarpame viene prodotto, quante offese vengono
perpetrate a danno proprio della Poesia, della quale si dicono cultori! E molti
di questi si considerano grandi poeti solo perché hanno frequentato la prima
elementare e, pseudoprofeti della Poesia, dall’alto del loro tripode macedone
emettono giudizi rapportati, ovviamente, al proprio metro, piuttosto misero e,
oserei dire, a volte davvero meschino. Mai come in questo caso è vero
l’apoftegma di Protagora homo est mensura rerum. E proprio per
l’inconfutabile verità di tale asserto quanti si atteggiano a giudici implacabili
è bene che sappiano che il loro chiacchiericcio, il loro pettegolume proprio
delle lavandaie non offre base alcuna per un dialogo sereno, serio, costruttivo.
I grandi maestri della critica vera e intelligente offrono insegnamenti e
orientamenti del tutto diversi.
Tra le
poche, e significative voci, della vera e grande Poesia contemporanea in debita
considerazione va presa la produzione di Claudia Piccinno, la quale, come
apprendo da colleghi attenti e sensibili, ottiene successi e riconoscimenti non
solo in Italia e in Europa, ma anche in altre nazioni, come in Turchia,
Macedonia, in Cina, negli Stati Uniti. Il parere dei critici più significativi,
soprattutto nella regione balcanica, è concorde nel considerare la lirica della
Piccinno una delle voci più genuine e autentiche nel complesso e contraddittorio
panorama poetico contemporaneo.
La
raccolta, che, almeno per ora, concretizza in modo specifico la poetica della
Piccinno, è La sfinge di Pietra, alla quale ha rivolto l’attenzione più
di un critico e della quale tutti hanno messo in debita evidenza il costante rapporto
tra forma e contenuto, sempre chiaro, in linea con un preciso assunto morale e
paideutico, insito nell’animo della Poetessa, che con la sua scrittura si pone
come tramite tra l’Uomo e la Poesia. Claudia non cerca i facili applausi, non
si pone unica maestra di vita e di verità, non presume d’essere l’incarnazione
della Poesia: scava ogni giorno nel suo animo in cerca della verità, medita con
assiduità sui travagli dell’Uomo, cerca la Poesia riposto tra le pieghe della
psiche smarrita o contenta per le piccole gioie della vita. Conscia dell’umile
compito affidato al Poeta, torna sovente sulle sue liriche e, seguendo il
dettato di Callimaco, di Catullo o di Orazio, si piega in un assiduo e proficuo
lavoro di riflessione e di lima, che, alla fine dà alla luce solo pochi versi,
incisi sul brogliaccio non con l’inchiostro, ma col sangue grondante dalle mani
mosse dall’animo travagliato e inquieto.
Invito il lettore a percepire il fremito che vibra nella
breve lirica, che si riporta. I pochi versi con ovattato silenzio trasportano
immediatamente il lettore nel mondo metasensibile e gli imprime quel quid,
del quale avverte la presenza e del quale non riesce a rendere l’idea:
Mi annebbia la visuale
il tepore dei tuoi baci,
ne conservo l’alone
perché
io sono vetro.
La
breve composizione è contrassegnata col numero XL ed è collocata a chiusa della
breve, ma sostanziosa silloge. La Poetessa con tre settenari e un ottonario dà
vita a un magnifico quadretto, nel quale l’intimo calore dell’amore annebbia e,
a poco a poco, sfuma la travagliata esistenza, che circonda e avvolge con spire
soffocanti la trita quotidianità. Qui taccio, perché ogni parola, anche la più
appropriata, potrebbe rompere l’atmosfera creata dall’ovattato silenzio, rotto
solo dai baci e dai sottesi sussulti di due anime innamorate.
Le
liriche di Claudia Piccinno, di solito, nascono e scorrono nel maestoso alveo
del vero libero. Ma non di rado la Poetessa si lascia cullare
dall’intramontabile armonia della metrica, innata nell’animo sensibile e aduso
a percepire l’intimo fremito della Poesia. Nella sfumata tramatura della
quartina si avvertono echi di letture classiche, che riportano soprattutto al
Catullo dei baci da parte di Lesbia. Ma la poetessa tratta in modo diverso il
tema e con iuncturae assenti nel poeta latino ricrea un’atmosfera
diversa, più intima e sognante, che si perde al di là dell’alone lasciato
dall’alito sul vetro appannato. Nell’agnizione di lettura emerge immediatamente
il sottile legame col modello e la novità apportata dalla Poetessa, che pone
davanti agli occhi del lettore non la bocca o le labbra brucianti di passione,
ma l’alone impresso sul vetro. Il trapasso metaforico crea un’atmosfera di sogno,
dov’è sottesa la concretezza, la certezza, la dolcezza dell’effusione, scaldata
da amorosi sensi.
Sovente,
però, il critico, e i grandi maestri lo insegnano, lascia al lettore e alla sua
sensibilità l’agnizione ravvisabile nella lirica. Non escludo l’obbligo della
necessaria operazione filologica, talvolta, però, preferisco sottenderla per
appagare la soddisfazione del lettore e permettergli di giungere a risultati
altrimenti poco appaganti.
Non si può tacere, scorrendo la silloge, la levigatezza
del verso e la serena armonia, che lo attraversa nell’incalzare
dell’enjambement, che lega un quinario o un senario col verso successivo, come
si rileva nella lirica, contrassegnata col numero XXX:
la cinciallegra
sfuggì alla tormenta
e perse il canto
per lo spavento.
Un frullo d’ali
e si sollevò,
scorse il suo stormo
che l’attendeva
mentre muta
il
cielo fendeva.
Il
gustoso componimento, formato da due quadretti di grande suggestione, crea
subito un’intensa atmosfera di idilliaca serenità; immerge il lettore in un
paesaggio di sogno con la concretezza delle parole e delle immagini. Un velo di
impercettibile mestizia segue il volo della cinciallegra e con essa si perde
nel cielo bigio, attraversato dalla tormenta. La solitudine e lo spavento della
cinciallegra cessano appena raggiunge lo stormo, nel quale si confonde e si
perde. Claudia con questa lirica richiama alla mente del lettore il celebre
componimento di John Donne, Nessun uomo è un’isola. Con questa metafora
Claudia richiama l’attenzione sulla sensazione di solitudine, che cessa quando
la cinciallegra si unisce e si fonde nello stormo. Ciascuno avverte solitudine
e distacco, nonché difficoltà proprie d’una vita convulsa, turbata troppo
spesso dalle tormente.
Nella
breve lirica, come il lettore ha certamente intuito, non mancano suggestioni pascoliane
e carducciane, opportunamente assorbite e utilizzate in una trasposizione semantico-allegorica
con raro intuito, con raffinata sensibilità, con mirabile resa poetica, degna
dei più grandi maestri. Anche in questa breve lirica l’agnizione domina il
soggetto attinto da fonti lontane, ma vive, e lo presenta con un dominio
linguistico e semantico nuovo, vibrante di luce nuova.
I
riverberi del passato, libri ex libris, prendono di volta in volta forma
e fisionomia diversa; l’idea archetipa si infutura nell’obliterazione del contingente
prossimo, per risalire alle sfere oniriche di una meditazione senza i limiti
circoscritti nella contingenza del presente. Ciò permette alla Poesia di
trascendere il Poeta e di raggiungere chi avverte nel suo intimo più profondo i
riverberi di un fremito senza limiti né di tempo, né di spazio. Da tali presupposti
la Poesia mediante la sua funzione paideutica alimenta le nobili qualità
dell’Uomo e lo trasporta dalla miseria del presente nel sublime, costituito
dalla semplicità dei lessemi e dei sintagmi.
Come
Italiano e ammiratore della Poesia sono fiero di aver ricevuto qualche mese
addietro il seguente messaggio, che, privo delle notizie strettamente
personali, condivido con quanti si sentono orgogliosi della nostra produzione poetica:
«Centro di Cultura “Aco
Karamanov” Radovish, Macedonia.
Consiglio del 48° Incontro
di Poesia Karamanov.
Tre anni fa, il Festival
Internazionale di Poesia “Karamanov Poetry Meetings” che celebrava i 54 anni
dalla prima edizione, e il Centro di Cultura “Aco Karamanov” Radovish hanno
inaugurato il Premio Internazionale di Poesia “Aco Karamanov” per l’eccellenza
nella poesia.
Il consiglio del 48°
Karamanov Poetry Meetings ha accettato la proposta del presidente del
consiglio, il poeta Borche Panov, e ha preso una decisione sul vincitore di
quest’anno che è stato selezionato tra 30 poeti mondiali precedentemente scelti
da diversi paesi del mondo. Pertanto siamo lieti di annunciare che il PREMIO
INTERNAZIONALE DI POESIA “ACO KARAMANOV” al 48° Karamanov Poetry Meetings va
alla poetessa italiana CLAUDIA PICCINNO.
Una selezione di poesie di
Claudia Piccinno è stata tradotta in lingua macedone da Daniela
Andonovska-Trajkovska (dalla lingua inglese) e Borche Panov (dalla lingua
serba) e sarà pubblicata in un libro di poesie dal titolo “A Light Hole in the
Cathedral”- Foro di luce in cattedrale.
“La poesia di Claudia
Piccinno è un sublimato della dimensione umana in cui gioia e dolore, pace e
quiete sono percepiti come interferenza della forcella lirica del ventunesimo
secolo in cui stiamo perdendo l’umanità e stiamo sprofondando nella sordità
dell’alienazione in tutte le direzioni nella caduta della civiltà. La poesia della
Piccinno ha il coraggio di farci affrontare le nostre stesse paure, ci chiama
ad accettare e a superare i nostri errori, a stare dietro lo scudo della nostra
purezza di esseri umani, a riportare in auge il nostro coraggio in modo da
poter sentire l’adrenalina sotto la nostra lingua ancora una volta, per poter
essere vivi, anche osando la rabbia se necessario e per connettere l’arco delle
nostre vite umane sulla Terra con la nostra essenza in Cielo”».
Davanti
a così importante riconoscimento conferito da persone, che vivono e colgono la
Poesia, si può solo chinare la fronte e accogliere con umiltà e soddisfazione
l’ambito verdetto. Anche al giudizio, nel quale tutte le parole sono pensate,
soppesate e prese nel loro significato più alto e più nobile, deve essere
rivolta la dovuta attenzione, per coglierne il messaggio e l’augurio rivolto
alla Poetessa, perché continui nel culto delle Muse e con la funzione
paideutica insita nella Poesia contribuisca a diradare le tenebre
dell’abbrutimento, perché l’Uomo ritrovi se stesso nella comunità dei suoi
simili, viva la sua vera dimensione e tenda alla meta assegnatagli dalla
Natura.
Parole e critica che sintetizzano la grande capacità della Piccinno nel raccontare in modo schietto e diretto la vita con le sue sfumature emozionali e vere di vita non banale ne costruita in orpelli di apparenza.
RispondiEliminaHo letto con vivo interesse questa bella pagina di critica letteraria di Orazio per la poesia di Claudia Piccinno. Quest'anno la Nostra è giunta seconda classificata al Premio Nazionale Mimesis di poesia tra le oltre 500 liriche concorrenti nella sua sezione. Anche questo riconoscimento sicuramente avvalora la sua poesia. Come ben dice Orazio, oggi vediamo poesie, di ben poco spessore, viaggiare nelle più importanti trasmissioni televisive, ma che davvero fanno piangere (non per commozione). La massima parte sono prose. In poesia non conta solo quel che si dice ma come si dice. Una poesia è fatta di versi, un racconto è fatto di frasi. Il verso, pur libero che sia, resta verso e deve nascere dalla dialettica tra forma e contenuto. Qui si potrebbe aprire una grande parentesi poiché la forma è, se ben aderente al testo, anch'essa contenuto. La parola poetica è quanto di più complesso possa esserci: un dialogo tra il poeta e il mondo; la crasi tra gli elementi fondamentali di quell’organismo che è l’umanità. Il poeta artigiano forgia la parola al suo sentire osservando se stesso in rapporto a ciò che vive, che lo vive e lo circonda. Non ho letto molte poesie di Claudia Piccinno e, dunque, non oso introdurmi nella sua poetica, ma sono certa, che i riconoscimenti internazionali le rendano merito.
RispondiEliminaGrazie di cuore al professor Bologna e a chi si è fermato a leggere e commentare. La vostra lettura e il vostro tempo mi onora. Grazie sempre al caro Nazario per l'ospitalità
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