NOTA
DI LETTURA.
rivendicata nei
silenzi
abitata di memoria
questa parola
in cui partorire
immagini
tra
abissi e arterie
scorro l'inverno:
folle condividere i suoi muti cenni
passo
tra le tue vertebre:
chiavi che aprono cammini.
Iniziare
da questa composizione incipitaria significa andare da subito a fondo nel
panorama vario e articolato della silloge di Matteo Cattaneo. Una poesia
d’amore, di vita, di empatiche armonie dove tutto è diretto a reificare l’animo
schietto del poeta. Una poesia rivoluzionaria, dove il verbo e il suo contenuto
esplosivo si collegano per dare al lettore una significanza di allusioni
sinestetiche-allusive. I versi si fanno
concretizzazione di sentimenti franchi; ibi omnia sunt: silenzi, memoria,
parola, immagini, inverni, muti cenni, cammini. Tanti riferimenti che ci aprono
la strada alla lettura di un’opera plurale. Cenni che si fanno concretizzazioni
di un cuore vòlto a confessare input emotivi che non reggono più la loro chiusura
ma che vogliono con ansia uscire allo scoperto per rivelare tutte le emozioni
che provano. E il poeta asseconda il loro desiderio creando una parola a volte
apodittica altre espansa per accompagnare i movimenti di un animo in continua
agitazione. Lo spartito si fa ondulatorio, ora ipertrofico, ora ipo per
assecondare il percorso del cuore. Un vero viaggio tra tormente e agitazioni
marine, dove l’autore nonostante gli impedimenti di scogli aguzzi e onde
giganti, non molla la presa e va
diretto all’isola della quiete, dove ogni poeta vorrebbe approdare per
incontrare quella serenità dello spirito a cui ognuno vorrebbe arrivare. Ma il
viaggio è lungo, pieno di ostacoli, e di traversie, e l’isola non è detto che
esista, come può darsi che sia soltanto nella nostra immaginazione. Il fatto
sta che il poeta freme, si emoziona, per l’avventura. Spesso viene attratto da
immagini vaste e profonde, da orizzonti infiniti, dove reifica il suo amore, la
sua idea della poesia. Tutto è vasto, sentito, amato, padrone di una parola che
si fa armonia, musicalità, nelle iuncturae significanti. E dove il dolore si carica di odeporico pathos soggettivo a beneficio della
donna amata:
vorrei condurti
dalle voragini
della poesia
non più paese
abbandonato
ma alba su un
borgo
che fa piccole
le stelle
spighe bionde
fiammanti
chiudo gli occhi
giurando di non
aprirli,
in tasca un
biglietto
per dove
vuoi toglierti
la tristezza di dosso.
Anche la memoria
viene in soccorso alle creazioni innovative del poeta facendosi ponte su cui
costruire una storia; un messaggio di rara conurbazione poetica.
La donna e la
sua storia si traducono in un canzoniere erotico nel suo impulso sentimentale.
Nel suo intervento memoriale che abbraccia il tutto per dare senso alla vita:
qui
non sono mai
stato
eppure ti chiamo
casa
da queste
persiane
intrise
di memoria sensoriale
luoghi
che sanno
come bruciare la
sete.
Opera plurale,
significativa, polisemica, dove il verbo con tutto il suo potere significante
accompagna l’animo in una impresa di grande positura epigrammatica. Positura
che niente ha a che vedere con sperimentalismi prosastici, ma che, con tutto il
suo bagaglio esplorativo, resta
aggrappata con pathos e logos alla tradizione, pur con tutte le sue invenzioni
verbali.
Nazario
Pardini
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Mattia Cattaneo
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Mattia Cattaneo
PARTITURE
DI PELLE
poesie
Prefazione
abitata di memoria
questa parola
in cui partorire
immagini
tra
abissi e arterie
scorro l'inverno:
folle condividere i suoi muti cenni
passo
tra le tue vertebre:
chiavi che aprono cammini.
ho lasciato cadere mani
nel pane delle mattine,
spezzatspingevi il giorno
e il male lontano,
ma l’inclemenza del tempo
avrebbe saccheggiato
la tua età
nella terra dei morti
i sigilli del silenzio
sono tessere di filigrana
ho preso il tuo nome
per scrivere questo mio vagabondare.
ancheggia
nella sua nudità
trascinando
venti brutali,
bruciori agli occhi
la scrittura che mi salva.
in questo vuoto
non così vuoto
è il mio braccio d'edera
che costruisce
una notte aperta.
grido
sotto il mio nome,
mi vesto
nel tempo di un fiato
e corico
i giorni
che mi aspettano
assieme al silenzio.
parlami di quelle stanze
dipinte a mano
dove il vento
mi porta
l’urgenza della rugiada,
io,
ancora,
combatto con queste parole.
è ora
di tornare
in quest’aria di abbandono,
tra labbra dure
che suonano male
e ad accarezzare il mare
non ho che poche,
piccole,
mani
resterò
sul greto
dove l’acqua ruota
nel dorso d’un pianto
t’ho
vista allungare la notte.
vorrei
condurti
dalle
voragini della poesia
non
più paese abbandonato
ma
alba su un borgo
che
fa piccole le stelle
spighe
bionde fiammanti
chiudo
gli occhi
giurando
di non aprirli,
in
tasca un biglietto
per
dove
vuoi
toglierti la tristezza di dosso.
ho spinto fuori il volo
oltre ogni zona proibita
da questa distanza dimenticata
ho un luogo di riposo
che pugnala il mio guanciale
senza sete la tua presenza
perde foglie
ma a te scrivo la notte.
è’ sulla parte destra
del fiume
la zona vergine del silenzio,
una macchia di canto
è veglia
d’un movimento esausto
avvolta nel sudario
sei il mio pronome,
ti scrivo contro le paure,
conosco il varco che riporta a me.
del suo esserci segno,
afflitta scrittura,
nuova misura,
linguaggio liquido
un’assenza che si beve
in cerca dell’impossibile,
e qualcuno
singhiozza.
ho slegato la porta
lavoro di silenzio
non chiedo lune
per i miei errori
è l’istante in cui sommergo
le ultime parole
che perforano
fioriere malnutrite.
riprendo
il sentiero dell’andare,
felicità ricomposta
ausilio per la vita
veli di cielo
risalgono lentamente
in questo presente interrotto
dove una cicala stanca
canta ancora.
corro tra spighe,
è così semplice il grano,
e sospendo il volo
in questa pianura
profumata dai rovi selvatici
è un travaglio
pensare di non cadere nei greppi
ma la mano della terra
d’aranceti in fiore
muta il suo corso.
ascolto
e sento
il senso del disagio
che piomba
con apocalittico grido funesto
vorrei vivere
nel mio viso accanto
al tuo
e dimenticarmi
di che colore è la tristezza.
mi racconti
in un valzer fatto
di sguardi e nebbia?
tra i miei passi
l’alibi del cielo
è piangerti
dicono che
i sogni ci prendono per mano:
nulla separa
un salice
dal suo caduco movimento.
non germoglia
questo fiore di campo,
inespressa carezza di sete,
adeguerai il ritmo
a questo passo
abbi cura
di un soffio verticale
davanti al cielo di febbraio:
ho una goletta
a riva
che mi porta
in questa cornice di parole.
questi angoli mediati
a volte fuggevoli,
pieni di petrolio,
si mescolano
al tempo,
ruga aperta,
solco globale
non c’è sempre
banalità
che opprime l’immenso
tagliere
su cui i
versi si stendono
in variegata sintonia.
cadono a stento
le mani,
nei riflessi di brace
di sere soffiate,
strade
che sembrano sfinite
a oltranza curano i passi
spalanco porte
dalla casa materna
per appoggiarvi la fronte:
tu vedi dal tramonto
che dissangua.
tra
i soffi
di un albero
castrato
nelle sue arterie,
frugo
nella tempia
che pulsa
e fa girare la penna,
ribellione del cielo,
nudità rossa
repellente
dorme in gola
questa parola che perfora
salviamo il tempo.
ogni tanto
di notte
i lampioni somigliano
a quando ci siamo salvati
dopo
esserci battezzati
con la pace
senza palazzi intorno
tra il lastricato bianco
le nostre dita
sembrano svenare
la terra
un dovere sciolto:
non c'è tempo per l'odio.
loggia silenziosa
piangi
dentro al mio pianto,
il sentiero
esercita il suo mestiere:
qualcuno s’addormenta
dopo aver camminato
con bocche cucite.
andai
alla ricerca di chi sono.
guardati
da una parete che trema
giura
di chiudere gli occhi
fino a quando
le parole dimenticate
si spoglieranno
nel paradiso
della loro memoria.
da questo
canto
che smentisce,
imbavaglia le tempie,
batte il vento
con le sue ossa
in questo luogo
che non è spazio
dico ciò che non è
ma conosco.
la limatura del cielo,
come se avesse
sparato le nuvole,
è la cura
che sostituisce
l'ordine disfatto delle cose
grandina sui vetri,
la luce rovista tra le finestre
e
i pensieri fabbricano
respiri viventi.
non c’è abiura
in questo quadro di affetti,
un solo retaggio
il compiersi dell’anima
più mani
in questo gesto di sera
raccoglimi
da una brace affievolita:
una voce vana
increspa l’acqua.
qui
non
sono mai stato
eppure
ti chiamo casa
da queste
persiane
intrise
di memoria sensoriale
luoghi
che
sanno
come
bruciare la sete.
il gemito
strazia il silenzio
in un tempo che si rinnova
presa lenta
non calibrata
questa ghigliottina
di mani
stesa
estesa al raggio
del tuo collo
l’acqua
ha il sapore
dei tuoi occhi
a sera.
guardarti
senza l’ardire del silenzio
e l’irascibile cielo
che sotto le dita
saluta la versione inesatta
della tua sazia solitudine
ho un mare sconnesso
senza porto felice
il mondo
diventa un coma sfinito.
in questo nodo
d’acquilone al dito
all’interno del fato
ho una crosta d’anima
che sanguina
ma non muore l’aurora
se ogni discesa
è per te
il corpo che manca.
sfioro
la violenta pianura
d’aranci che trattiene
la tua bocca,
questo cadere all’indietro
mi grida forte
con le tue labbra bianche
se tieni la mano
questa pioggia sarà
solo figlia di un corridoio spezzato,
io che parlo di poesia
e la cerco come un segugio,
una bestia da stanare
un petalo immaturo da crescere.
s’infittiscono i lati
di questo tempo stordito,
nel peso che trasporta
ancora non so fin dove
ma anche le radici
nascono dall’asfalto
assorto il paesaggio,
non calibrato atto di bellezza
la luce
non molla la presa:
spiegami ad occhi aperti.
sui precipizi
la mia fuga
da un deserto senza peso
fino alla fine
ho visto fiumi stringersi
da schegge di pianura
cieli alcolizzati
che fanno l’amore a sera
tirando al molo nuvole asciutte
resto
affacciato ad un balcone
per capire meglio
il senso reincarnato dei muri
un treno in ritardo
da una qualsiasi galleria distratta
è lo specchio di fronte al mio:
cade il silenzio
tra partiture di pe
PREFAZIONE
Si vis amari, ama e cotidie morimur, i senechiani input
filosofico-esistenziali nella poetica di Mattia Cattaneo
Sarò Notte o forse Inverno, il titolo della silloge in
questione, dove ritmi di varia portata reificano la compolessità delle vicende
emotive, facendo delle figure retoriche, delle sinestesie, delle assonanze, e
delle metafore un terreno adatto al distendersi del canto. C’è eros, la
passione, la concretizzazione degli stati d’animo in trionfi di panica
consistenza. Ma soprattutto c’è la vita, i suoi ambiti più nascosti, tutte le sue interferenze epigrammatiche che
la caratterizzano: illusioni, delusioni, saudade, memoriale, coscienza
dell’esser-ci, della brevità di un viaggio che ci vede spesso spersi in un mare
di scogli e trabucchi in cerca di un mondo
di quietudine e di edenico riposo: “… Posso sorriderti/ nella gioia di camminarti/ e
percorrere/ con te/ tra fiumi gremiti/ l’immenso viaggio” (Non invoco il tuo
nome). Un viaggio lungo e tormentato come lo è la vita; Cattaneo parte da un
porto reale ma non sa cosa l’aspetta in questa navigazione soggetta a scogli e
improvise temperste. Cerca un faro che
illumini il suo approdo, ma non è semplice l’ancoraggio; misterioso è il
cammino, dato che i lividi della vita sono anche oltre: “Non scrivo più./ Il dolore mi è ospite/oggi/ come ieri/ anche se
il domaini/è già qui.// I
lividi della vita/ sono anche oltre/ di gelida incomprensione./ Canto canzoni/
nell'ombra dei giardini/ e di quelle favole/ che si raccontano ai bambini.//
Succede/ che mi stanco di essere/ ombrello per una terra/ già tristemente
bagnata/ dall'aridità di spade umane” (Succede). D’altronde cercare un’isola
per rinfrancarsi dale aporie del quotidiano è cosa terrena, come terreno è
l’intento del Nostro, stanco di essere ombrello per una terra bagnata
dall’aridità di spade umane. Metaforicità, metonimica iperbolicità, invenzioni
verbali in una architettura morfosintattica che va oltre il senso canonico
della tradizione. Il fatto sta che il poeta, come lo è Cattaneo, è
soggetto a inquietudini esistenziali; e dare risposte a certi interrogativi
escatologici o di natura esistenziale comporta un tavaglio umano; una
malinconica visione sul fatto di esistere.
Il poeta si chiede spesso il perché del quando e del dove, e con animo
franco, come franca e onesta è la sua
poesia, non ha soluzioni esatte per tali impatti filosofici. Sì, crede
nell’amore, in questo quanto mai vasto sentimento, e lo vive in tutte le sue sfaccettature;
in tutti i suoi àmbiti a volte contrastati e inquietanti nella simbiotica fusione tra
naturismo loquace e amorosi sensi di foscoliana memoria:
“Non invoco il
tuo nome,/ dolce,/ come l’uva dell’autunno/ nei filari,/ in mezzo alla
pioggia,/ e al suo abisso./ Il suono della tua pelle/ coprirebbe anche il
cielo,/ circondato/ dalla piena delle onde solitarie” (Non invoco il tuo nome).
Si ricorre anche a memorie di antiche primavere,
di giornate luminose di sole e di abbracci, di speranza che brillavano negli
occhi della compagna, o nelle feste di Natale. E per rendere più concreto e
iconico il suo sentimento, il poeta chiede aiuto alla natura affinché collabori
con le sue immagini, rendendole visive e
concrete; intervenga con ogni suo palpito di luce o di ombra a dare un senso
metraforico e antropomorfo a tanto senire: “…
Passeggio con calma/ e vedo/ cantare questo bosco/ dalle pianure sollevate.”
(Rosa del mare). I versi si susseguono incalzanti in questa confessione
ontologica; da quinari, a trissilabbi, a sttenari, a novenari: una varietà di
monemi, lessemi, sintagmi che danno voce ad un animo carico di vitalità; di riflessi che la natura
offre a piene mani con policroma generosità. E il linguismo in braccio a
invenzioni di rara suggestione si fa ambasciatore di un poièin armonioso e
fluente: “… Luce rotonda/si
rende ferita/ nel gemito della terra./La casa buia,/ raccoglie la notte lenta/
ed io accarezzo/ suoli che si fanno/ sottili e vuoti.// Sei la mia Liturgia/
dove m’assedio/ a piedi scalzi/ edificando sogni” (Sei la mia Liturgia). Gemito
della terra, edificando sogni, la casa buia raccoglie la notte, suoli sottili… Tanti gli accorgimenti
etimo-fonici che, l’autore, con la sua forza creativa, incide in un percorso
poeticamente nuovo e piacevolmente suasivo per tanta intrusione sinistetica-allusiva.
D’altronde essere coscienti del senechiano cotidie morimur; vivere con in animo
la coscienza del tempo che rumoreggia e che s’invola senza alcun rispetto del
nostro patrimonio vitale, significa dare alla poesia quel substrato di
precarietà esistenziale che rende fortemente umano il messaggio: “… No,il tempo
vola via/ e se qualcuno si perderà/ sarò nell’inquieto/ moto della tua mancanza”
(La vita fa rumore). Ma il poeta ricorre al ricordo, al sacco del patrimonio
memoriale, per sopperire alla voracità del tempo; è così che può vincere la
forza dell’oblio; lo può fare ricorrendo ai momenti più fulgidi della sua
storia: “… Ricordo/ le cartoline di Natale/ tra il sapore di neve/ e i
narcissi/ giù per i campi.// Solo le ombre,/ ora,/saranno luce/ intensa,/ nella
radura” (Ricordo). Tutto scorre con empito lirico in una versificazione di
sapida verticalità, dove una sola parola può essere sufficiente alla misura del
verso, tanta è la sua limpidezza formale e il suo nitore significante. Non è
certamente arduo ricorrere a parallelismi letterari, per dare consistenza al
nostro scritto; allo stile spezzato che
riporta a memoria la frammentata liricità di Saba o al patema del tempous
fugit, del vivere e morire che tanto richiama il travagliato percorso di
Vittorio Sereni. Questo nella poesia di Mattia Cattaneo: una complessità
contenutistico formale che oltre a mettere in rilievo l’equilibrio dei due
aspetti, ci offre una chiara contezza di un volo che rasenta dedaliche cime nella ricerca
della parola giusta nel giusto verso. E forse è proprio il mare che meglio
rappresnta la totalità ispirativa del poeta; quel piano infinitamente ondivago,
quell’immenso umanamente inarrivabile, che più ci è vicino nel nostro tentativo
di allungare lo sguardo all’eterno.
(…)
Vengo da quel
mare lontano
che appoggia la testa
sulla bianca sabbia
e riposa
confondendosi
nell’eternità primaverile.
Resto
ammutolito
tra le ombre del tramonto.
Me lo doni un sorriso?
Ne ho uno speciale
che vaga tra le
valli del silenzio.
Nazario Pardini
Sarò Notte o forse Inverno
Mattia Cattaneo
ROSA DEL MARE
Rosa del mare
che ti fai passeggera
navigante,
immobile,
di un notturno amore
battuto nel petto.
Attorno a queste
radici
sono cresciuti visi,
ombre,
spazi,
che attraversavano
arcipelaghi tremanti
come porte mai visitate.
Sei la luce,
il pane della terra
da cui bevo
e soffro ogni giorno.
Passeggio con calma
e vedo
cantare questo bosco
dalle pianure sollevate.
SEI LA MIA LITURGIA
Il mare
ha dimenticato
il suo
spazio,
diffidando
di ogni prua.
Le
farfalle
volanti,
sui
fiori,
danzano
come il vento
questa
notte
per noi.
Luce rotonda
si rende ferita
nel gemito della terra.
La casa buia,
raccoglie la notte lenta
ed io accarezzo
suoli che si fanno
sottili e vuoti.
Sei la mia Liturgia
dove m’assedio
a piedi scalzi
edificando sogni.
LA VITA FA RUMORE
La
pioggia mi cattura
tra le
ali del tuono
e
scaraventa
al suolo,
le grida
d’un inverno.
La vita
fa rumore
e si
cancella
la nudità
cerula dell’Anima.
Domani me
ne andrò,
pensi che
la valle
si
riempirà
di erboso
silenzio?
No,
il tempo vola via
e se qualcuno si perderà
sarò nell’inquieto
moto della tua mancanza.
RICORDO
Guardami.
Nella speranza
del giorno
nasce una
margherita,
per te,
per noi.
Odo la
gracile voce
della
tristezza
che è
Anima bianca
di questa
notte.
Verso i
crateri
del
sogno,
il Cielo
parla
ancora di lei.
Ricordo
le cartoline di Natale
tra il sapore di neve
e i narcisi
giù per i campi.
Solo le ombre,
ora,
saranno luce
intensa,
nella radura.
NON
INVOCO IL TUO NOME
Non invoco il tuo nome,
dolce,
come l’uva dell’autunno
nei filari,
in mezzo alla pioggia,
e al suo abisso.
Il suono
della tua pelle
coprirebbe anche il cielo,
circondato
dalla piena delle onde solitarie.
Acqua
feroce,
che morde
e solleva
istinti
senza volto
dietro la
trasparenza
del
tempo.
Posso sorriderti
nella gioia di camminarti
e percorrere
con te
tra fiumi gremiti
l’immenso viaggio.
TRA LE MANI D’UN VASAIO
Non resta
che il taciturno letto,
la fragranza
della tua ombra
s'inabissa
tra i passi al crepuscolo.
La mano
sostiene gli occhi
che si completano
in un solo fiume.
Quando laverò
il mio vizio?
Se gustassi
le praterie
con l'oro in bocca,
come fai tu,
sarei meno affamato
della pallida pietra.
No,
non è oggi
il mio mondo.
E' l'alba empia
che scioglie il miele
tra le mani d'un vasaio.
DIMMI CHI SEI
Sceglierei
il tuo riposo
qualora i respiri
vegliassero aria mutilata.
Vive nel mio petto
questo brulichio di spazi.
Dimmi chi
sei,
quale acqua cadde,
senza far rumore,
nell'acre vapore
di lingue taglienti.
Vorrei solo mutare
tanto dolcemente
- perché non riesco ancora a darti l'aurora -
e dove ci sarà il mio grido
un suono buio
giacerà tra le copiose terre.
SUCCEDE
Non scrivo più.
Il dolore mi è ospite
oggi
come ieri
anche se il domani
è già
qui.
I lividi della vita
sono anche coltre
di gelida incomprensione.
Canto canzoni
nell'ombra dei giardini
e di quelle favole
che si raccontano ai bambini.
Succede
che mi stanco di essere
ombrello per una terra
già tristemente bagnata
dall'aridità di spade umane.
IN TE MI ACCOLGO
In te mi accolgo
lasciando che la notturna chimera
sia fragranza di colomba,
aroma di pelle stellata
e che possa,
ancora,
orchestrare le furiose tempeste.
Non raccolgo
da tempo
conchiglie sulla spiaggia,
in un attimo ho perso
anche le rive azzurre del silenzio.
Del tuo braccio
immerso nella potenza delle acque
ricordo solo il profondo pulsare.
Gremite le strade,
i balconi fioriti,
e quella candela di fuoco che soffocava la nostra bocca?
Solo in quell’istante
potevo essere nella tua arena.
LA STRADA DEL CUORE
La strada del cuore
ci troverà ovunque.
Palmo a palmo,
prende le carezze
e ci dona canzoni.
Ho sogni come te,
ho forze come te,
immagini e ombre.
Mi abbandono in mezzo
alla via, senza voltarmi.
Oh, tu
radice mia,
terra
e Patria
mi sei voce
da ascoltare.
Quel seme,
dalle forti dita,
che si rende promessa
è il silenzio delle fiabe,
quel fuoco vero
che mi brucia dentro
e lenisce i suoi perché.
Voglio
la frescura,
la sera,
le labbra serrate,
gli occhi nuovi.
La mia Eternità.
E’ TEMPO DI VIVERCI
La tua
bocca
è lido e
specchio
in cui
approdo,
riflettendomi.
L’aria mi
cinge
e il
viale è deserto.
Dispongo
parole
attorno a
noi,
e non si
sente
altro che
l’erba
nel vento
che
canta,
e tesse,
le sue
lodi.
Siamo
dentro
quel buio
che agita
le braccia
mentre le
tempeste estive
saranno
solo
un lontano
ricordo.
E’ tempo
di viverci.
VENGO DA QUEL MARE
Sono il
fiore
dei
vostri pensieri
ma
accecata
dal
nulla,
l’alba
non farà magia.
Vengo da quel
mare lontano
che appoggia la testa
sulla bianca sabbia
e riposa
confondendosi
nell’eternità primaverile.
Resto
ammutolito
tra le ombre del tramonto.
Me lo doni un sorriso?
Ne ho uno speciale
che vaga tra le
valli del silenzio.
LO SENTO QUEL SUONO
Soave la linea
dell'Amore errante
che si nasconde
in un piccolo addio
tra rive gremite di istanti.
Spargi
dal tuo Universo d'oro,
quale calice e abside,
quel raggio lucente
che diventa tuono bianco.
Lo sento quel suono:
le nostre metà che guardano il mondo
- sapessi nutrirmi del giorno anche nell'ombra -
Ora riposo,
mi sollevo dal tuo litorale
senza sapere ciò che dirà
la mia bocca.
SE STASERA SONO INVERNO
Se stasera sono inverno
domani vorrei
essere la tua primavera
che brucia
e si pasce
nelle nostre mani.
Accarezzami
il vento,
anche io
ho bisogno di
occhi stupiti.
Brama l’alba
di un domani
che verrà silente.
Accogli ora,
questa fioca luce?
MI SEMBRA DI GRIDARE
Dov’è
l’ora di grazia?
Dentro
questo piccolo
letto si
piange
come ogni
sera
e il
tormento
mastica
il dolore.
Il mare è
scomparso,
mi sembra
di gridare.
Anima
sorella
dove sei
che non ti trovo?
Hai
versato,
per me,
le ultime
lacrime
di questa
casa vuota.
I lembi
della luna
si fanno
sottili
e nel
canale purpureo
il cielo
s’annuvola.
IL TUO NOME
Il tuo nome
non
dimentico
ma la
notte tocca
la bufera
senza
vederti.
Vorrei
andare
verso la
solitudine
che si
chiude
e
aggrapparmi alle
tue dolci
mani.
Nasce
timido
il
profilo delle vette
dentro
una stanza buia
e ricordo
lo
strazio primaverile
che
incupì la terra
diventando
nuda e
muta.
ED IO T’ASPETTO
Salgo
alla sorgente,
capelli
di pioggia
scuotono
scie remote
ed io
t’aspetto
nelle
soglie spente
del
cielo.
Mossi da
una
grande
nostalgia,
il
candelabro brucia
e mi
riporta,
silenziosamente,
all’enorme
biancore
che
s’affolla sui vetri.
L’acqua
cristallina
attraversa
la dolce via
e l’alito
del tuo nome
s’affaccia
come
voce
piangente.
UN TEMPO VUOTO
Ricoprirò di rovi
la riva delle tue debolezze
così che possa
percorrere l’anima
cucendo ferite irreparabili.
Voglio ascoltare
ancora il mare,
che in un tempo lontano,
si fece tronco vuoto
bruciante d’acqua
immerso in
pallide lontananze.
Ora,
prendimi le mani
e fa
che possa vivere
un tempo nuovo
in cui le braccia
siano lago scavato
nella roccia.
OH, QUALE SERA
Non so da chi ho preso
forse dalla bianca acqua
che scivola sulla muta brezza
o dallo splendore del cielo
che acuisce il giorno.
Quanta furia gridava
la vita,
e non me ne accorgevo,
perché,
esausto a contare
i grappoli del glicine
davanti a finestre vuote.
Oh, quale sera
non era scavata di lacrime
e l’Agape vagava,
lento ed invisibile
mentre mani cresciute
piangevano da occhi malati.
DIMMI, NOTTE
Ti ho vista nascere,
Notte,
senza che i miei occhi
vedessero il tuo riposo.
Ho custodito antiche
pareti,
già vuote di fibre stellate
ma riposate
dal bacio della tua terra.
Sento il rumore
della città
dietro queste persiane
e quanta gente si
fa deserto delle
mie acerbe praterie.
Dimmi,
Notte,
se potrò incatenarmi
di nuovo a te,
e ai tuoi fianchi nudi
che sono fuoco e cenere.
DI BIANCA BELLEZZA
Tu porti la tela
al limite del giardino,
pieno di fiori
fragili e biondi.
Scaglio il vento
che scuote l’immenso,
di bianca bellezza
si vestono le rondini.
Per celesti sponsali,
migro dalla tristezza
e stenderò la mia croce
sulla fiamma
del solitario mondo.
IN RIVA AL SUO SILENZIO
Ho fame
di carta,
su cui
lasciare
vuoti
sepolcri
e mani
aggrovigliate.
Torre
tenebrosa
sprofonda
nell’Anima
come
arcobaleno fiorito
e cammina
senza scarpe
verso di
te
senza
accorgertene.
Si fa
onda suprema,
che
sfavilla,
furibonda
e ti
riempie di
nuove
melodie.
Sembra
una sposa
nel suo
agognato giorno
- sapessi
quante volte
m’ha
toccato il cuore –
e diventa
bacio
fuggitivo
in riva
al suo silenzio
L’ECO DEI MIEI SILENZI
Passeggio
tra le città
che
ancora non abbiamo vissuto,
alzando
gli occhi
dove
nessuno è ancora stato.
Sei l’eco
dei miei silenzi
quando di
parole,
forse,
ce ne
sarebbero state a milioni.
Passo
dopo passo,
muovo le
mani
in cerca
di pioggia
che sia
lieta frescura
tra la
pelle squarciata e dolorante.
A pugni
chiusi,
m’inoltro
in strade
già
conosciute
e
t’aspetto da tempo,
lì,
dove
soltanto
io e te
sappiamo
ritrovarci.
SEI GRANO
Lento il
suono,
fragoroso
rumore il silenzio.
Sei grano
che matura,
e
vagheggia il mio canto.
Non
tollero errori,
oltrepasso
il vespaio
passione che arde
come
fiamme attizzate.
Grondano
i calici
di
nettare balsamico,
volgo a
te gli occhi
nel
pensiero che m’immerga
in quel
sorriso salutare.
NEI TORMENTI DEL BUIO
Salvami
da pareti
scolorite
che
sembrano spine
di rose
pronte a ferire.
Non è nei
tormenti
del buio
che
tu,
hai
imparato a farmi vivere.
In un campo
rifiorito,
ho
svuotato tasche amare
di tempi
sofferti
e uva
arcigna.
Su un
letto di margherite
raccontami,
ora,
il tempo
nuovo
della
speranza che
diventa
saggezza.
Mi
nutrirò,
ancora,
di pane
buono.
ECCOTI MADRE
Vita che riempie
di spazi vuoti
l’universo che non conosco.
Impenetrabile lo sguardo
del clochard avvilito,
del povero emarginato,
del giovane bullizzato.
Vita violentata
eccoti Madre,
ancora possiedi coraggio
invitandoli a
non consumarsi
tacendo la disperazione.
L’AROMA DELLA NOSTRA
PELLE
Non sa
che dire
l'abisso della tua Anima,
immagine ferita
di piantagioni
sparpagliate dal vento.
Aspetto
che s'uniscano
gli archi
della nostra bocca,
nella penombra,
tra la solennità
delle radici del miele
e le onde pure
di quel frammento
notturno.
Mostriamoci
al cielo solitario
e solo così
ci diremo chi siamo
e da quale nudo amore
proviene l'aroma
della nostra pelle.
NEL FIUME DELLA NOTTE
Offro il
mio calice
per un
nuovo ritorno
tra il
mare notturno
e le
barche al molo.
Profilo
di tramonto,
voce
nuova si dirige
verso le
vele
di oscuri
presagi.
Il gridio
dei campanili
allieta i
sensi
e la pace
dei mandorli
in fiore
tra il filo
lieve
della speranza
che mi porta via
nel fiume
della notte.
NELLA BRUCIANTE NOTTE
Vorrei percorrerti
per sapere dove
nasce il sole
e muore il giorno.
Dal rumore della neve
che poggia suoi
tuoi fianchi
sentirei il tocco
di un’alpinista
trascinare il suo cielo.
Odor di verde
emana il tuo nome,
Montagna,
ma la luce
dona poesia ai tuoi
occhi e imbiondisce
i torrenti ghiacciati.
Nella bruciante notte,
sei culla,
e viva,
torni,
con le tue candide creste
ad essere pascolo
per le mie gambe.
TRA STAGIONI ORFANE
Tra stagioni orfane
sfioravi strade
dal biancore accecante.
Era l’addio alla stazione
che ci univa,
dividendoci.
La malinconia
arrivava a mordere i pianti,
dai finestrini,
e il fumo della pioggia
suonava i passi
di sorde gocce.
Ciò che non vivo,
ora,
è metafisica attesa?
In ogni tesoro,
scorgo le tue crepe.
IL TUO GREMBO ROSA
Verso ogni tuo passo
il chiarore del sole
s’immerge
nello spazio dell’acqua.
Bruscamente,
tutto rimane immobile,
come quel meriggio
dove cercavamo le grida
delle nostre mani.
Si propaga la luce
rotonda che
riempie le ali
di questa casa buia.
Ora dimmi,
ti prego,
in quale tempo
abbraccerò
il tuo grembo rosa.
TORNARE A CASA
E’ giunta l’ora
di tornare a casa.
Anche lo splendore
del cielo è una furia
che grida il suo passo.
La sera
scende col tremore
di stelle scoperte.
Quei fiori,
laggiù,
mi fissano
nella loro semplicità.
Dietro porte chiuse
mi nascondevo
senza smuovermi
d’un sol passo
e non avevo paura
di sorridere.
Ma avevo un sorriso,
nascosto dalla paura.
MARE
È solo un grande arrivederci
come fa il vento
che dirige le sue ali
verso l'incanto del tuo spazio,
Mare.
Altare di desideri che solo tu
mantieni e custodisci gelosamente
restituendo virgulti di pace.
Ho passi enormi da donarti
e forse nuovi lidi da cercare.
Sai,
il pontile dell'Anima è punto
prezioso dentro cui specchiarsi.
Portami a riva,
slegami dai tormenti
certo che il tuo cullare
sarà per me un naufragio felice.
IL CUORE CRESCE IN
CIELO
Ho un tormento che scava
nelle recondite stanze dell’io.
Ho segni che mi nutrono
di giorni nuovi.
Fuggo da tempeste di stelle
che possano raggiungermi e cambiarmi.
Il cuore cresce nel cielo,
seme di terra e grano d’oro
si prepara la Notte delle voci.
I pioppeti,
con i loro rami indissolubili,
si rendono bocca per il mio respiro.
Un clamore di tamburi.
C’è ancora vento nella selva degli
inganni.
VOGLIO ESSERTI SIGILLO
Raccoglierò
le
tue
lacrime tra
le mie
promesse.
Siamo
tramonto
che
s’ascolta,
dita tra
le dita,
meravigliosa
confusione.
Voglio
esserti
sigillo
profondo
e pulsare
nelle vene
del
deserto,
cosi che
tu non sia sola,
abitandoti
in nuovi spazi.
Vedere la
tua ombra
sulla mia
pelle
ridona
luce
al cuore
sofferto.
Sei,
nel
ricordo del giorno,
respiro
del mondo.
TROVAMI NELLA NEVE
NOTTURNA
Ho fame
dell'amore che amo
nelle regioni
del mio perduto inverno.
Portami lontano
dove gli occhi
si cercano ancora
e le tue mani,
come mandorla intatta,
popolano
il mio stesso corpo.
Non si consuma
la Primavera
in un giorno,
aspettandosi
nella distanza.
Trovami
nella neve notturna,
incatenato alle tue onde.
TRA LE TUE PALPEBRE
Pelle
che ora fa silenzio
e si getta nella stanza segreta.
Vivo nei moti
del tuo grido disperato
che mi circonda indifeso.
Non sei più
nella tregua,
imperfetta sospensione del tempo,
che mi dilegua da porte vecchie
e dal vento mascherato
in una notte qualunque.
È tra le tue palpebre
che voglio conoscere
ogni pagina di
questo libro.
Tra il silenzio e il mare,
il guado immenso su cui maturare.
SEI LA MIA BELLEZZA
Sei la mia bellezza
le braccia
fatte per i miei baci,
le mie guance,
i miei silenzi muti.
In fuga,
saprò che nel tuo cuore
avrò caldo riparo
e canzoni d’amore.
Il mio oro,
argento sottile
sarà un corsaro pronto
a battersi nelle maree
agitate
ferme
ma sempre vicine.
Propaghi acqua che dà voce
al suo scialacquio,
mio candelabro,
rischiari anche le stanze più buie
dei miei moti interni.
LE MIE MONTAGNE
Ho visto montagne
nascere di bianco vestite
con rocce pronte
a far loro da corazza.
Il sole abbaglia,
l’acqua rinfresca
la cima accoglie.
Ho conosciuto nelle montagne
la meraviglia della scoperta continua
e mi perdo,
ancora,
nel frastuono del silenzio puro.
Ascolto questo bellissimo cielo
che sembra così vicino al mio orecchio.
HO ANCORA POESIE
Ho ancora poesie
da far camminare
nelle mute foreste
che circondano la valle.
Cerco di risalire,
fin dove penetra il gelo
e attendo stanche campane
che interrogano
il muto mistero
d’una lampada fioca.
E’ così,
il triste cammino
delle povere parole?
Non siamo abisso,
né profondità
dell’anticamera
d’un luogo buio
ma siamo
il suolo sacro della Luce.
IL MIRAGGIO DELL’AURORA
Ho gridato la gioia
come un bimbo che nasce
prendendo per mano
la Vita.
Vorrei il mare sotto ai piedi
come via dorata
dall’azzurro delle sue dita
e giocare fino ad infossare
l’Anima.
La sabbia si rovescia
in archi fiammanti
di pianti selvaggi
e dalla riva
guarderò,
nuovamente,
il miraggio dell’aurora.
HO DONATO IL CIELO
L’argine boscoso
nasconde
quel nodo in gola
che la mattina schiude.
Quanti passi
nei tuoi occhi silenti
a cogliere
eriche profumate.
Ho donato il cielo
al vuoto enorme
e la bronzea voce
si è fatta lido,
e poi porto,
per le mie cicatrici.
Da dentro,
sino al più piccolo ramo
sei Primavera.
ODOR DI INFANZIA
Nei tramonti
tace
la poesia
e mi manca,
e mi perdo.
Guardo ruscelli
nel sereno,
odor di infanzia
dove il profumo
del tormento
accoglie nude vesti.
Nasce dentro di noi
il canto del cuore
e boschi stanchi
bevono raggi di sole
avvelenati
dal brusìo della delusione.
VENTO STRANIERO
M’incamminai verso i campi
tra abeti e laghi deserti.
Pensavo all’aria
che si rifrangeva
su di noi,
in quell’isola lontana,
mai vissuta.
Costeggiando la riva,
barche nuove
accompagnano
il mio destino,
laggiù,
dove si fa vento
straniero,
la Notte.
NON MI SENTO CANTORE
Bevo le fatiche del tempo
muovendomi tra le rovine
d’una valigia senza destinazione.
Mosso è il canto degli anni
che gioca nei prati colorati
respirando il respiro
fluttuante degli arbusti spogli
Non mi sento cantore,
mi misuro tra i sepolti arpeggi
di pesanti drappi
che colgono il senso delle cose
e restituiscono,
lievemente,
il tuo soffio.
NOTTE ZINGARA
Chiedo a te,
gemme scure,
che si lavano
di candida luce
e riscoprono
passi arcani.
In ogni lacrima
che s’immerge
nei canali del viso
tu mi rinsaldi,
mi riempi di canto.
Solo allora
potrò allontanarmi
riscoprendomi
figlio e fiore,
in una stanza buia.
Non c’erano rami
che non fossero
imbevuti delle tue lacrime.
La brezza le asciugò
oltre i valichi,
oltre le creste,
e lentamente
caddero cerchi azzurri
sulla resina dei pini.
Aspettami,
non tardare,
pure stille lacrimanti,
limpide al sole,
avevano ridato vigore
ai tronchi
sino alle viscere dell’Anima.
Ora,
non sai che
bacino d’acqua
potresti far fiorire,
nella notte zingara,
dove crescono
muti abeti e profili di colline.
AL FUOCO BIANCO
Stanotte
spegnerò le luci
e sentirò
i salici piangenti
seguirmi
per la stanza.
Il mio
cuore
è scalzo
e
scompare tra
il sordo
fruscio
delle tue
labbra.
Non torno
nella
nostra città,
in altre
vesti,
perché
ciò che mi
ha rapito
di te
non si
esaurisce
in un
gracile addio.
Hai
raccolto
per noi
sillabe
d’acqua
e
lentamente,
correndo,
le hai
gettate
al fuoco
bianco.
L’ODORE DEI CANNETI
Nello
spazio puro
rimane
solo
l’odore
dei canneti.
A volte
il
coraggio spalanca
le porte
dei corridoi
e si
ritrovano
bocche
cucite dal tempo.
Nell’alba
buia,
senza
angosce
mi
riempio di racconti
vicino al
mare
e accolgo
l’aroma
della tua
pelle stellata.
CHI SEI?
Da quel deserto
mi metto in viaggio
e scorgo panorami
mai vissuti,
erbe falciate
che nascondono il pianto.
Colorate d’ingnoto
ascolto il volo
degli angeli
che sublima
la notte del ricordo.
Bisbigli infiniti.
Parla il vento dei rami.
La notte esplora
la terra verniciata
dalle intemperie.
Chi sei?
Sono il silenzio
che è dentro di te.
ROMA
S'è fatto giorno
e il profumo
segreto del pane
attraversa
le mura di San Pietro
cibando l'Anima
di Spirito.
Tutto è un gran vociare,
le case piene,
il traffico impazzito,
lo sfolgorio di gambe
che s'intreccia
tra le vie gremite.
Dentro di me,
scorre il mare
di ogni giorno
e accolgo
quella sete d'arte
che cade nel
silenzio fuggiasco.
Qui,
hanno esistenza
le parole,
i gesti,
gli artisti di strada,
i colori
e le vite
come conchiglie nell'ombra
delle ali di farfalla.
IL CANTO DELLA SPERANZA
Ho
calpestato fiori,
senza
accorgermi dei
loro
effluvi sublimi.
A piedi
nudi
vagavo in
percorsi
aridi e
tortuosi
senza
conoscerne il senso.
Vuoto,
il canto
della speranza,
si
concede a noi
come
fuoco che stempera
ghiacciai
enormi.
Tu,
i miei
occhi,
io,
il tuo
sentiero.
ARCHITETTO DELLE PAROLE
Guardando avanti
mi nutro di quelle lacrime
che spiovono dalla seta dell'Anima.
Ogni goccia è sale di stelle
tormento nel tramonto
oltre cui essere brezza.
Folle la corsa
verso rive sperdute
e rimirando quei flutti marini
non posso far altro
che sostare e pensarmi.
Dove è il confine dell'infinito?
In quale raggio accoglieró ancora
le pianure dei tuoi amorevoli sorrisi?
Getto lo sguardo laggiù,
certo che il vento
mi porterà ad essere
architetto delle parole.
SARO’ NOTTE O FORSE
INVERNO?
Sopra il nudo cuore,
diafana onda emerge
dal tramonto delle buone stelle.
Ho grazia
che cade dal cielo
del silenzio.
Sarò notte o forse inverno?
Dietro le tenebre
i pilastri di un cancello
ci conducono a spiagge remote.
Dolci le gocce assorbite dalla terra
nella purezza di un fresco torrente.
Torna a donarmi
quel pensiero che si scaglia
come lontananza senza confine
e saprò dirti cosa
racchiuse,
senza argini in me,
quel porto in fiamme.
INDICE
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