Franca
Alaimo 7 poemetti Interno Libri, 2022
Nota di
lettura di Annalisa Rodeghiero
Leggere
e sentire subito il bisogno di rileggere lasciandosi attraversare dai versi che
fluiscono come una cascata d’oro, ascoltare percezioni che giungono da un luogo
germinale e si traducono in parole che si aprono a un mondo di suoni, uscirne
pacificati come in armonia d’universo: questo accade tenendo tra le mani 7
poemetti di Franca Alaimo. Tra aliti di terra e soffi d’oltremondo è un
continuo elogio alla natura e alle creature sue tutte, animali e vegetali, tutto
sta in ascolto di qualcosa, /più lontano, che piange o che canta, ma è
soprattutto un elogio alla vita il cui tessuto non cede al dolore ma si
ricompone in mille fecondazioni.
Ecco
come si percepisce, intatta, la consapevolezza della poeta d’essere dentro la
bellezza dell’esistere, nell’essenza del canto cercata dentro l’esperienza. Di
volerci essere appieno nella vita, dopo battaglie silenziose combattute con
una corona di latta sopra il capo, nella solitudine di un’infanzia lacerata
e – dolorosamente e magnificamente – già tradotta nelle opere precedenti: certe
volte, al buio, mi batte, /forte il cuore/ come quando, di notte, /sentivo
pigolare le altre bambine/ come pulcini senza il calore della chioccia (in Elogi,
Ladolfi Editore, 2018). Così, quella che nel testo sopraccitato era la
mamma di prima – quella naturale – che m’immergeva nell’acqua di
fiume, nei sette poemetti diventa la madre-rosa che l’asperg(e)
con l’acqua del battesimo. Colpiscono fino alla commozione le parole
delicate e dolcissime riservate alla madre, girasole che, nella memoria
ancora le parla con la voce luccicante della pioggia.
Una scomparsa
gentile, così riesce a definire la perdita, una scomparsa che diventa il
segreto. C’è da chiedersi quale segreto venga coltivato nella memoria, dopo
aver impara(to) l’abbandono, se non forse quello di una costante ricerca
di luce e di senso pieno da dare alla vita attraverso l’amore incondizionato
nell’esistere e il credo assoluto nella parola poetica: Scrivo per
ricordare, ricordo per non sparire ma soprattutto: Parole di tutte le
pagine e le bocche, // e di tutto ciò che esistendo non è, /battesimo sacro,
/pentecoste di rivelazione. /Poesia, bocca divina! Ecco dunque la parola
poetica che nella scrittura si fa carne ma anche spirito. È infatti uno spazio
di profonda spiritualità ad affiorare tra i versi e Dio è così necessario, così
vicino all’uomo, ai passeri, ai rami, ai fiori che sognano, da poter
essere invitato dalla poeta a dialogare fraternamente, fino a esprimerle il suo
credo, come nel testo che rimanda alla
morte suicida di tre amici, in un dialogo fraterno: Che tutto ciò che è, non
è/ – Rispondi – / che è ancora, sarà ancora. (In “Il vuoto è pieno”, terzo
poemetto).
Non solo
l’amore per la parola, l’amore in tutte le sue manifestazioni sostanzia la scrittura
di Alaimo da sempre: l’amore mistico adolescenziale, l’amore del frutteto
bellissimo sotto gli sguardi degli dei, l’amore nella sua espressione ora
panica, ora trascendente, ora carnale, l’amore-mistero della continuità della
vita: Domani. Per sempre. / Tutto accadrà di nuovo.
Nella
preziosa musicalità e nella libertà del verso, la cui lunghezza si modula al
sentire dell’anima, nella ricchezza di una scrittura che custodisce gli
universali del sentimento poetico, ciò che colpisce e incanta nella poesia di
Alaimo è l’autenticità, a dispetto di ogni forma di conformismo, è la sua forza,
in grado di abbracciare la trafittura dell’esistere e che in questa complessità
si fa annunciazione. Ciò che si percepisce è anche un senso di necessità della
scrittura che di ogni cosa bisogna scrivere in una visione
prettamente rilkiana del “fare” per creare bellezza che rimanga nel mondo. Sfiorire,
fiorire e rifiorire sempre. Tutto ricomincerà (…) Quando saprò che
qualcuno dei miei versi/ si è impigliato nei capelli dell’eternità. Solo le
parole sono testimoni.
Collocata
all’incrocio tra natura e sogno, tra
realtà e visione, tra umano e divino, tra mortale e immortale, tra sacralità e
profanazione delle cose, tra spiritualità assoluta e impetuosa fisicità, la
versificazione è flusso inesauribile di sensazioni che attraversano il lettore
in un continuo rimando alla necessaria compresenza di opposti, nei luoghi del pianto
e della gioia, del vuoto e del pieno, nella grazia del mondo e nella barbarie,
nel buio e nella luce. Sempre vita e morte insieme a riequilibrare l’universo
intero:
Tempo che cadi nel nulla del futuro/
aspettando nell’inverno del morire/ che risuonino i passi della primavera.
Annalisa Rodeghiero
[…]
Tutto sogna quando cade:
i rami
sull’erba, i nidi dai rami,
le piume
dai nidi così leggere,
leggere
più dell’aria.
Tutto
sta in ascolto di qualcosa,
più
lontano, che piange o che canta:
c’è
sempre qualcosa o qualcuno
che
piange o che canta
mentre
se ne va.
La notte
è così immensa,
così
piena di Dio.
Tocca
con tenerezza i capi dei passeri,
le cime
degli alberi,
i
fianchi delle montagne
e poi si
raccoglie dentro i fiori che sognano,
dentro
il tempo che va,
bussa
alle porte celesti,
preme
con le sue gote
d’ombra
i vetri delle case.
La mia
casa ha la porta spalancata.
Attendo
che la notte avanzi
con il
suo profumo di ginestre
con le
sue dita fresche sulla fronte.
Non so
fare altro stanotte.
So solo
tacere.
E nel
silenzio trasalire
come chi
finalmente ha intuito
il
segreto più profondo e china il capo […]
Grazie di cuore caro Nazario per l'attenzione e lo spazio riservato.
RispondiEliminaAnnalisa Rodeghiero