ALLA RICERCA DI VOCI
Proverbi e detti raccolti
nelle campagne pisane
Quando la vigna è fredda
cerca la pigna altrove.
Se l’uliva trova posto
becca il tordo per l’arrosto.
Quando fa la goccia il fico
allo schidione il beccafico,
quando il noce spoglia il frutto
va nel bosco c’è di tutto.
Se dal campo senti il treno
prendi il carro e leva il fieno.
Troppe pigne nel tinello
sulla tavola il vinello.
Se il prosciutto è terminato
e la bigoncia ormai si lagna
prendi il pane e vai in campagna.
Se del rosso macchia i campi
se dal mare vedi i lampi, è una scena,
stai a guardar ne val la pena.
Quando il cielo rugge e frigge
vai in granaio con le pigge,
appendi l’aglio e il pomodoro
che d’inverno pesa oro.
Zolla secca e dura
anche al maglio fa paura.
Vale più un vecchio in un canto
che due giovani in un campo.
Se il tosto è nel campo
per ora non c’è scampo.
Quando ammazzi il maiale
regola le scale.
Se il tuo campo non ha il vettino
il filare non fa il vino.
Se la botte non gruma
in tuo vino sa di spuma.
Quando il ciocco brucia poco
spesso il vecchio viene fioco.
Quando la rapa mette il butto
è per il tordo un giorno brutto.
Tramonto vecchio, tramonto rosso
io guardo il campo finché posso.
La cincia nel fosso
la vigna a ridosso.
Quando l’uccello batte al vetro
c’è la fame che bussa dietro.
Vino in cantina, pane in granaio
al contadino non cal salario.
Vedo dall’alto il grano maturo
sento il mio giorno ancor più sicuro.
Quando il maiale grugna nel castro
cresce robusto il mio giovinastro.
Con il fico il beccafico
senza grano c’è il mendico.
Spauracchi nel campo
per il seme c’è scampo.
Se c’è la faina
piange la gallina.
Il merlo sulla proda
non ci resta che la coda.
Se il gabbiano viene al campo
per il mare non c’è scampo.
Quando il sole rompe il sasso
lascia stare il materasso.
Se c’è il gallo e la gallina
se c’è il papero e il covone
se nel ciel vola il piccione
stai sicuro c’è un boccone.
Pieno il pagliaio
vuota la biga
pulisci la stalla
se vuoi la spiga.
Il passero cresce
il raccolto mesce.
Quando il pero mette i fiori
lascia casa e corri fuori.
Quando il caco mette il frutto
cerca di stare molto asciutto.
Quando il campo è freddo o moscio
vai nel bosco a fare il fascio.
Se il libeccio scuote i pini
se ripiegano i vettini
le lor teste verso il monte,
lascia il fiume al proprio ponte
che ben presto le golene
d’acqua torba saran piene.
Quando la mucca bela il campo gela.
Se la massaia è esperta
con un fico ed una noce fa una festa.
Lo sguardo del veglio doma il toro
quello del giovane irrita il capretto.
Rumina alla greppia la vitella
si aggira nel tepore della stalla
il giovine garzone nell’attesa
che liberi la nebbia la distesa.
Quando piove giorno e sera,
il raccolto si dispera
e si lagna il contadino;
la cantina è senza vino
cresce il mucchio della fame
nella madia non c’è pane.
Metti i fichi sulla stoia
metti al sole il pomodoro,
se l’autunno dà lavoro
quando è freddo c’è la gioia.
Lascio, ancora scuro, il letto,
lascio il campo quando è sera,
dall’estate a primavera
poco resta per il tetto.
Stendo gli occhi sopra il grano,
liscio il bue con la mano,
della terra sono amico,
anche se non offre un fico.
Vai lontano dal paese
non ti può fare le spese.
Qui non c’è la terra mia
guardo il sole che va via,
ma non brucia come il mio,
cala giù da quel pendio,
ma mi mancano i miei peri
arrossati tra i poderi.
Prima la botte, la bigoncia, e la strettoia,
poi l’uva ultima cosa;
se ti prende la noia
prima di settembre,
il vino mal riposa,
acqua piovana a dicembre.
Pane, cavolo e fagioli,
fan la zuppa dei miei vecchi,
poi nel campo svelto voli
fra le rape e tra gli stecchi.
La fascina accende il forno,
l’uva secca e la schiacciata
ed i ciccioli dintorno
ti rallegrano la giornata.
Appostati qui al capanno,
con gli stampi sopra il chiaro,
sbatton le ali con affanno
i pivieri al nostro sparo.
Vanno i cani ammaestrati
per gli acquatici alla sponda,
si ritorna strapazzati,
ma la pancia si fa tonda.
Ricco non ti fare
ma nemmeno mendico.
Ama chi ti ama,
non amare chi fugge,
ama questo cuore
che per te strugge.
Il tempo passa
e l’età s’avanza
e così ci perdiamo di speranza.
Aprile dolce dormire
e cattivo sospirare
botti e cassoni
incominciano a suonare.
Caro Maestro, conosco molto bene queste 'voci'... appartengono anch'esse, come "La Lettera al figlio" all'ultima tua Opera "Hoc mihi contingat", che ho avuto l'onore di prefare. Sulla scia delle elegie di Tibullo hai cantato il mondo campestre attraverso i motti e i proverbi della tua terra. Una sezione che funge da passaggio e che induce l'anima al riposo. La tua e quelle dei lettori. Si torna alle atmosfere delle Bucoliche e si celebrano i momenti in cui "La fascina accende il forno, /l’uva secca e la schiacciata / ed i ciccioli dintorno /ti rallegrano la giornata." Mi permetto di dire che tutte le sezioni del tuo Volume indottrinano con umiltà su situazioni dell'esistenza che tendiamo a dimenticare. Grazie Nazario mio. Ti stringo al cuore!
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