IL
COMPIANTO DI TUROLDO PER LA MORTE DI PASOLINI
a cura
di Maria Luisa Daniele Toffanin
La
nota di Silvana Serafin, presidente del Cilm di Udine, in apertura al decimo
numero della rivista Oltreoceano, tratteggia con felice intuizione
la figura di Pier Paolo Pasolini ‘americano’, quale migrante da luogo a luogo
alla ricerca di trame comuni fra tradizioni proprie e altrui, sempre più
sensibile ai nuovi micro-macrocosmi avvicinati, teso a trasmetterne la viva
voce in forme reinventate nel suo continuo itinere «tra linguaggi espressivi
molteplici». E ciò crea nell’affresco storico del migrare amalgama fra più
lingue e culture e affina nel nomadismo di ogni autore le potenzialità del
proprio ego.
Ora
questa pagina che conclude il cammino pasoliniano riprende l’immagine
dell’autore come antico migrante che ritorna alla terra amata con il suo carico
di esperienze per ricevere là l’ultimo conforto al suo corpo dilaniato, al suo
spirito offeso. E la riprende da “L’ultimo saluto” di Turoldo espresso alla
madre di Pier Paolo in una dolce e dolorosa lettera da lui letta ai funerali, a
Casarsa, nella chiesa di Santa Croce, il 6 novembre 1975.
1
L’orazione funebre di David Maria Turoldo venne poi inserita con il titolo
“Chiediamo scusa di esistere” nel volume Pasolini in Friuli. Tutte le
citazioni della lettera di Turoldo sono tratte dal sito internet: http://www.centrostudipierpaolopasolinicasarsa.it/itinerariopasoliniano/chiesa-di-santa-croce/lultimo-saluto/.
Un
ritorno, afferma l’amico fraterno friulano, al grembo dell’umile suo Friuli, al
grembo della madre quale nido di purezza, nido della prima poesia nata «in nome
della madre» (Zanzotto XVII) per usare l’intensa espressione di Zanzotto
relativa all’origine della lirica di Turoldo, ma ben riferibile allo stesso
Pasolini. E pure Bandini conferma che la sua poesia è parlare poetico succhiato
dal latte materno come nutrimento. Un ritorno quindi il suo alla casa materna,
a questa innocenza primordiale, fonte sorgiva della bellezza che purifica la
sua fine devastante e diviene catarsi alla sua vita di figlio divorato dalla
stessa vita che tu gli hai dato: una vita rovinata dalla troppa umanità. Là c’è
suo padre, ora in pace nella morte, c’è l’altro figlio ucciso pure lui per la
nostra liberazione, e ci sono gli altri morti; e ci sono gli amici ancora vivi,
tutta una gente di cui ti puoi fidare… Così Turoldo si rivolge, nella sua
sofferta partecipazione, alla madre incitandola a riportare alla casa il suo
corpo di linciato, come figlio della stessa colpa […] ora simbolo della morte
ormai dissacrata per sempre […], perché «C’è troppa violenza su Roma. Non c’è
un fiore più che sbocci e non un alito di vento che ne spanda il profumo; non
un fanciullo con la faccia pura; non un prete che preghi… E le messe in piazza
S. Pietro servono a poco, né convincono molti a credere che sia questo davvero
un anno santo, e che Roma è la città di Dio, secondo la parola del cardinale
[…]. Mamma, ti parlo per lui, che ora ha la bocca piena di sabbia e polvere, e
non ti può chiamare: ma ha tanto bisogno di te, mamma; come l’ha sempre avuto
lungo tutta la sua martoriata vita: una vita di povero friulano, solo, senza
patria e senza pace. Eri tu la vera sua patria, il luogo della sua pace, il
solo asilo sicuro. Lui così timido, fino al punto di aver paura di ogni cosa,
per cui era diventato tanto spavaldo… Tu, che sei stata la sua madre addolorata
sotto la croce…
Solo
là a Casarsa nel luogo delle origini, incontaminato dalle scorie della città,
della società malata, si può ricomporre, nel ritorno del corpo e dello spirito
pasoliniano, una vita di ricerca appassionata del bello che è essenza dell’arte
ma anche ricupero di verità attraverso luoghi, persone, che diviene conoscenza,
quindi urgenza di esprimere ogni messaggio in forme altre nel suo percorso
poliedrico. Sempre con l’atteggiamento di un nomade che con pensiero e fantasia
creativa riconosce nuove realtà trasfigurandole, riprendendo la nota iniziale
della Serafin. E in questo suo impegno etico e civile, più avvertito da lui di
umili origini, non si risparmia di andare fino in fondo, di indagare anche le
borgate romane dove, secondo il nostro Turoldo, c’è solo gente ingrumata e
torva, gente che urla dalle baracche; oppure gioventù che pensa a strappare e a
uccidere, caricando la ragazza morta nel bagagliaio, e l’altra viva appena, per
poter raccontare come “finalmente ce l’hanno fatta” ad ammazzare.
Quindi
ancor più orrenda è la sua morte deturpante perché tradito proprio negli spazi
che voleva riscattare, dai giovani che voleva salvare, e ancor più bisognosa,
la sua morte, di sua madre e del Friuli che è la sua chiesa, la sua preghiera
condivisa ora nel dolore corale di tutte le donne friulane vestite come la
madre. Con le gonne lunghe e nere, con il fazzoletto nero in testa legato al
collo che scende dietro le spalle sono figure ieratiche, sentimento di un tempo
mitico, chiuse nei loro muti silenzi in cui gli occhi e l’espressione del volto
parlano di un dolore eterno che ha tormentato il Friuli. Figure simili alla
Madonna, alle donne altre ai piedi della croce nel suo eccelso “Vangelo secondo
Matteo”. E il dolore stesso della madre si sublima in questa coralità, nella
partecipazione d’una terra che ha sempre sofferto, avara nella sua
configurazione geografica, attraversata sempre da orde barbariche, segnata dal
destino, e quindi terra di conquista sottomessa ma umile come era umile Pier
Paolo che solo qui accolto, avvolto da queste donne, dalla sua gente, unito
agli altri canterà le villotte della gioia, sue prime composizioni
giovani, sua prima viva poesia. Perché – afferma Turoldo –,
noi siamo un popolo che canta, anche quando ha da piangere. È questa la nostra
natura migliore, come era quella di tuo figlio, vero grande poeta del popolo,
voce dei poveri! Perché, per noi, tutto il resto è “segnato”, è il destino.
E
rivolgendosi a Dio aggiunge: Quante volte in questa nostra piccola chiesa di
Santa Croce, noi ti abbiamo cantato litanie (di Pier Paolo), perché tu avessi
pietà della nostra terra! Ma ora ci accorgiamo di averti pregato per nulla…
Oggi è la morte che ci gira intorno!… In fondo il tuo Pier Paolo, mamma, ha
sempre vissuto con la morte dentro, se l’è portata in giro per il mondo lui
stesso come suo fardello di emigrante, come suo carico fatale. Ed ora che l’ha
raggiunta, è bene che ritorni anche lui a casa. Meglio che il silenzio scenda
su quella notte…
E nel
ritorno di lui nomade al suo Friuli, si conclude la vicenda di questo migrante
rabdomante della verità circondato ora dagli amici sinceri e veri che non
giudicano e non sbavano con inchiostri di ogni colore nei giorni del grande
dolore ma sanno solo accettare con dignità e con pietà com-patendo insieme.
E
proprio il compianto di Turoldo, talora espresso su registro di acuta
esasperazione contro la società e la Chiesa ufficiale, si fa così voce corale
del Friuli, nota di poesia-bellezza che vince l’orrore della morte, eleva a Dio
il patire della madre.
La
tragica esperienza personale di Pier Paolo Pasolini purificata a Casarsa dal
ricupero della freschezza della sua infanzia, diviene paradigma dell’offesa,
del dolore antico e universale subito dalla sua gente, si carica quindi della
memoria e della sapienza di un popolo. E il funerale acquista la sacralità di
una grande liturgia paesana che ha sapore di eterno.
E con
questo ritorno nella morte al nido della poesia si chiude quel
percorso-tensione ne Il ‘sogno di una cosa’ chiamata poesia, che Bandini
evidenzia quale nota peculiare di tutta la sua vita: luogo dell’assoluto,
dove ogni asserzione diventa verità e il privato può presentarsi come
universale. A questa perenne tensione verso la poesia vanno ricondotte anche tutte
le altre sue scritture, compreso il cinema. […] In una volontà poetica
ininterrotta e onninclusiva. Il tutto ora restituito, quale ricchezza
accumulata da lui migrante, quale patrimonio universale, al luogo della sua
origine.
Bibliografia
citata
Bandini,
Fernando. “Il ‘sogno di una cosa’ chiamata poesia”. Pier Paolo
Pasolini. Tutte le poesie. Milano: Mondadori (Meridiani). 2003: XV-LVIII.
Pasolini,
Pier Paolo. Tutte le poesie. Milano: Mondadori (Meridiani). 2003.
Serafin,
Silvana. “Un duplice anniversario: Pasolini e Oltreoceano”. Oltreoceano,
10 (2015): 11-14.
Turoldo,
David Maria. “Chiediamo scusa di esistere”. Corriere del Friuli e Comune di
Casarsa della Delizia (eds.). Pasolini in Friuli. Udine: Arti Grafiche
Friulane. 1976: 67-70.
“L’ultimo
saluto”, www.centrostudiopierpaolopasolinicasarsa.it (consultato il 2 luglio
2015).
Zanzotto,
Andrea. “Note introduttive”. David Maria Turoldo. O sensi miei… poesie
1948-1988. Milano: Bur. 19963: V-XVII.
Filmografia
Pasolini,
Pier Paolo. “Il Vangelo secondo Matteo”. 1964.
Grazie infinte, Marisa, per questo documento che unisce due grandissimi del '900. David Maria Turoldo, che stimo infinitamente, scrive alla madre dello scrittore, poeta e regista P. Paolo Pasolini, che in vita abbiamo capito ben poco e del quale ora si scoprono tutte le capacità artistiche e profetiche. Nell'esporre magistralmente la lettera, amica mia, asserisci che "il compianto di Turoldo, talora espresso su registro di acuta esasperazione contro la società e la Chiesa ufficiale, si fa così voce corale del Friuli, nota di poesia-bellezza che vince l’orrore della morte, eleva a Dio il patire della madre", e dimostri il valore che Turoldo attribuisce all'amico. Si esprime nei confronti della mamma asserendo "Ti parlo per lui" e ogni passaggio del compianto è fusione d'anime. Pur partendo dal presupposto di essere un sacerdote e di accompagnare in tale veste il fratello all'ultima dimora, afferma che a Roma, nella periferia della metropoli impera la violenza. Si sfoga con la mamma, tanto amata da Pier Paolo, palesando il dolore per l'assenza di un fiore, posto in nome dell'amico e rivelando che le Messe in piazza San Pietro non lo convincono. A Casarsa, come scrivi nella tua esegesi "il funerale acquista la sacralità di una grande liturgia paesana che ha sapore di eterno". Grazie Marisa mia per questa arricchente, emozionante pagina d'Autrice. Pasolini ha ancora bisogno di riscatti e tu, che hai vissuto con intellettuali come Zanzotto, sei in grado di rivelare altri aspetti della sua sensibilità tramite le parole di coloro che lo hanno saputo capire e rispettare in tempo. Ti ringrazio di cuore e ti stringo forte al cuore, insieme al nostro Maestro che veglia su tutto...
RispondiEliminaCara Maria,
Eliminasono molto contenta di risentire, nella lettura di questa struggente lettera intrisa di cultura e di umanità, le tue acute osservazioni che rivelano il poliedrico interesse per ogni espressione d'arte, di poesia ed altro. Hai ragione, Pasolini ha ancora bisogno di riscatti che evidenzino la sua geniale versatilità nella ricerca di espressioni linguistiche nuove, nella volontà di rinnovamento che ha percorso tutta la sua produzione, da quella più intima e personale a quella sociale. È giusto onorarlo assieme a Turoldo come figli del Friuli, luogo di arcaici valori e di sofferenza storica, ma anche come figure imponenti, pur scomode, della cultura del Novecento. Ti sono affettuosamente grata per la tua amicizia e per la tua presenza critica. Un abbraccio con tutto il cuore sotto l'ala protettrice del nostro Maestro ricordando sempre i bei momenti trascorsi insieme nell’incanto della poesia, nutrimento, in questo tempo difficile, all’anima.
Marisa
Mi congratulo con Maria Luisa per questa pagina. L'ho letta con vero piacere in quanto il parallelismo tra i due poeti friulani è molto ben tratteggiato, un parallelismo ma anche una testimonianza di quanto Pasolini fosse legato alla sua terra e di quanto Turoldo la rappresentasse.
RispondiElimina"[...]In fondo il tuo Pier Paolo, mamma, ha sempre vissuto con la morte dentro, se l’è portata in giro per il mondo lui stesso come suo fardello di emigrante, come suo carico fatale. Ed ora che l’ha raggiunta, è bene che ritorni anche lui a casa. Meglio che il silenzio scenda su quella notte.".
Grazie e un caro saluto all'amica Maria Luisa.
Sandro Angelucci
Caro Sandro,
Eliminami fa molto piacere ritrovarti in questa lettera di Turoldo e di sentire che tu la condividi con grande partecipazione come testimonianza dell'umanità di Turoldo e di Pasolini ma anche della storia del loro Friuli. Entrambi hanno succhiato il latte materno, come direbbe Zanzotto, dalla loro terra natale e ne hanno fatto patrimonio poetico. Questi nostri grandi poeti quindi si avvicinano sempre più a noi coinvolgendoci nella loro vocazione artistica: testimoni e profeti del loro tempo. Mentre scrivo ti penso a Salaiola, a quel mitico premio e ai percorsi culturali e conviviali vissuti insieme in cui veramente poesia e umanità si fondevano in maniera unica. È un'atmosfera che non posso dimenticare: sono preziosi i ricordi in quest’ora greve.
Con affetto.
Marisa