martedì 1 marzo 2022

MARIA RIZZI LEGGE:"ETEREE METAMORFOSI" DI FEDERICO CINTI

Maria Rizzi su Eteree Metamorfosi di Federico Cinti - Fuorilinea Edizioni

 

La silloge del Professor Federico Cinti, che al nostro Premio Internazionale «Voci» Città di Roma ha vinto il primo premio nella sezione intitolata a mio padre Nicola Rizzi, è il tributo più alato che un Poeta amante del metro classico possa ricevere da un altro Poeta. Sono fiera di averlo avuto sul podio e ringrazio la Casa Editrice Fuorilinea del caro Franco Esposito per avergli donato la pubblicazione. Il titolo è emblematico della Raccolta di liriche che il Nostro ha composto. Sin dai primi versi mi sono sentita catturata da una rete di impalpabili, sublimi sensazioni, che hanno invaso i meandri della mente con la tenerezza di quel vento che si ascolta e non si riesce ad afferrare. Ho avvertito infinite increspature al limitare del pensiero. E ho inevitabilmente pensato al senso di incompletezza che mi avvolge, quasi un rimpianto, qualcosa che poteva essere e non è, qualcosa…  Quel tarlo è sbucato dal passato, dal rimorso di non essermi lasciata trascinare nel vortice appassionato del metro classico. Di non aver donato a mio padre la gioia di una composizione in endecasillabi. La musica assordante di Federico Cinti è monito. Mi sono ritrovata a fluttuare in un mondo quasi surreale e ho pensato al sorriso di papà. La prima lirica ha il respiro della stagione in fiore: «Tiepida l’aria, il cuore la riceve /nel suo respiro dolce di fragranza: /nella sua nenia il sibilo di danza /all’urgenza del tempo troppo breve» (Primavera) e dà la certezza che solo chi è capace di incarnare i crescendi pucciniani saprà recuperare la parte di umanità che stiamo perdendo. L’Autore compone testi in levare, che trascendono l’universo visibile, eppure sono calati in esso. «Un caffè al bar. Due chiacchiere / assieme a un vecchio amico. L’impassibile / pomeriggio s’adagia / su ogni cosa. S’affoltano al semaforo// impazienti le macchine /nella fuga dell’ora. Il Reno indugia /Oltre la strada» “Al caffè Margherita). Il Poeta sembra dotato di un terzo occhio, in quanto noi nel guardare spesso non riusciamo a vedere quello che vorremmo sentire. Questo non vuol dire che nel profondo non si celi il mondo che vorremmo ascoltare. Federico Cinti guarda con l’anima, ascolta con la sensibilità e vede in modo diverso. La sua visione del mondo è specchio del pensiero di pochi uomini superiori. «Nel lago /del cuore annega / il ricordo, ombra vaga tra mille altre / ombre. Il verde del muschio sotto il monte / sa di storie passate, sa di giorni / persi, racconti /chiusisi dentro l’anima» (Canto d’aprile). Scorro il cantico del Poeta e so che non il metodo, bensì la percezione rappresenta la via della verità. Si tratta di uno stato di consapevolezza irrazionale, duttile, non critico. Se le porte della percezione fossero sgombre, ogni cosa apparirebbe com’è: infinita. E le metamorfosi sono intrinsecamente legate alla capacità di sentire la realtà. Se grazie a esse si avverte lo stupore e la serenità dell’Artista, non è a causa delle trasformazioni, bensì grazie a ciò che muta dentro e dietro di lui e di noi. Esaustiva in questo senso la lirica Miracolo: «Ti ricordi quel piovere? /Anche ieri pioveva. In quel prodigio /la tua presenza eterea, / così consolatrice, così unica. // Un alone di grazia / ti circondava, simile a una nebbia /aurea. Un sorriso tenue /dietro quel velo timido, impalpabile». L’Autore viaggia sul registro di tutti i versi, da funambolo del metro classico, e adotta le figure retoriche con raffinata maestria, lasciando che diventino parte pulsante dell’eterea atmosfera. L’enjambement, ovvero il procedimento che consiste nel separare due parole concettualmente unite, collocandone una alla fine di un verso e l’altra all’inizio del successivo, gli è particolarmente congeniale, forse perché giova alla fluidità del ritmo delle liriche. Non a caso èra una figura retorica molto amata dai grandi della nostra letteratura, come Torquato Tasso, Ugo Foscolo e Giacomo Leopardi. In tempi difficili come quelli che attraversiamo una Silloge come questa è balsamo per i cuori. In ogni metamorfosi c’è l’ombra di un’illusione, ogni illusione è la proiezione di un sogno, in ogni sogno c’è la possibilità di un risveglio, ma al tempo stesso l’eventualità di un altrove e ogni altrove è annuncio di un viaggio … Non importa la meta, lo scopo del vivere stesso è il cammino e Federico Cinti sembra scegliere di essere costantemente altrove. «Siedo anch’io, in attesa /dell’ora che mi salvi. Il tempo inganna /la mia speranza, ombra d’un frutto acerbo / che già rosseggia /lontano. Nell’azzurro siderale /si placherà quest’ansia d’infinito» (Come sospeso). L’eterea vertigine nella quale veniamo trascinati mi induce a riflettere sul fatto che in fondo la patria da cui veniamo è altrove. Siamo tutti legati alle forme d’esilio, inteso come allontanamento dalle origini, dalle isole della memoria. I versi di raso della lirica Nel vecchio asilo sembrano darmi conferma: «Aleggia il giallo tenue. Una vertigine /mi sorprende, stupita meraviglia / di quella prima volta. /Tutto già fu. In un alito // dilegua la memoria. Lungo il ciglio /del prato i miei ricordi si rincorrono / simili a bimbi». I versi di questo Poeta che incatena i venti, fa tremare le nuvole, si fonde con la Natura, raggiungono in certe liriche vette mai immaginate: «S’intravide la luna: in un pallore / di perla sgranò lieve il suo rosario /di stelle e fiorì lieve lo stupore» (Sogno d’una notte di mezza estate). Penso a Khalil Gibran che scriveva: «Un sospiro dal profondo dei mari dei sentimenti, una lacrima dal cielo del pensiero, un soave sorriso dal campo dell’anima». Il profeta si riferiva all’amore, ma non è forse sublime tutto ciò che ci trasporta fuori di noi, in quell’altrove immacolato, che è radice, essenza, limite e confine? Federico Cinti ci allontana dallo scontato, ci trasporta in una dimensione che dà senso al tempo, risarcisce e salva. «In alto il cielo in cui inoltrarsi liberi /Nuova realtà ineffabile, // cadere profondandosi oltre i limiti /a noi concessi, perdersi // e ritrovarsi. Placida vertigine / lassù: si fa possibile // un sogno antico, l’unico sorridere / mistico dentro l’anima» (A ferragosto). Una Silloge come Eteree metamorfosi attesta che, se c’è sulla terra e fra tutti i nulla qualcosa da adorare, se esiste qualcosa di santo, di puro, che assecondi lo smisurato desiderio dell’infinito e del vago che definiamo anima… è solo la Poesia. 

              

Maria Rizzi

 

 

 

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