Claudio Fiorentini, collaboratore di Lèucade |
Poesia e altre arti, come evolvono
La forma
veicola un contenuto che non può manifestarsi in altro modo, se non attraverso
quella forma.
Non importa
quanto sia comprensibile o razionale (la musica non lo è, eppure è un codice di
comunicazione che trasmette un contenuto travolgente), importa che sgorghi dal
profondo.
Partendo da
questo principio, parlando della forma in poesia, dovremmo dire che non è altro
che un susseguirsi di suoni e di silenzi ritmati dal respiro. Già, il respiro.
Non dimentichiamolo.
Il respiro
è una funzione biologica, senza respirare non si vive; inoltre ha una sua
misura, un suo ritmo. Ricordiamo anche che gli esercizi di meditazione, lo
Yoga, la ricerca mistica, tutta questa roba di recente degradata a “new age”,
parte dal respiro. Cambiando il ritmo naturale del respiro cambia qualcosa in
noi, qualcosa di cui, nel normale esercizio del vivere, non abbiamo consapevolezza
a meno che… a meno che non si prema l’interruttore e si illumini la stanza
segreta.
Il respiro
è lo strumento iniziatico per eccellenza e non va tradito.
Da lì,
tornando alla poesia, potremmo dire che il massimo rispetto per i versi è la
lettura ad alta voce, non una, ma due, tre, dieci volte, fino a trovare la
lettura giusta, il ritmo, le pause, i silenzi, il respiro giusto, come se si
trattasse di un Mantra. Solo allora la poesia decolla in noi e diventa parte
della meditazione iniziatica che ci rende migliori.
Bene, e
allora, facendo un passo indietro, verrebbe da dire: perché la rima, perché
l’endecasillabo o il novenario? Semplice: perché nella tradizione orale tutto
si trasmetteva attraverso la parola detta e quale strumento, meglio di un
endecasillabo (o simili) facilita la memorizzazione del messaggio? Un esempio
tra tutti: il Corano è scritto in versi, questo ne facilitava la
memorizzazione.
Ora, però,
cosa è successo? Come per l’arte visiva l’invenzione di Daguerre e tutto ciò
che ne è derivato ha reso inutile la pittura figurativa, aprendo la porta a
nuove forme di espressione (ad esempio l’astrattismo), così per la poesia
l’alfabetizzazione, che ci ha dato la possibilità di leggere, relegando la
memoria alla carta stampata e non più alla parola recitata, permettendo a chi
scrive di disubbidire alle forme, inventando nuovi versi, nuovi metri,
scoprendo nuove potenzialità espressive che, in poesia, si traducono sempre in
respiro.
La poesia è
un’arte biologica, fisica, umana: è fatta di respiro.
Le nuove
forme poetiche stravolgono il ritmo e chi legge – o interpreta – una poesia, è
costretto a respirare con i ritmi imposti dalla struttura del componimento. Il
respiro si può spezzare, si può ridurre ai minimi termini ed espandere a
seconda del componimento. Il respiro, oggi, la fa da padrone e più si rompe il
ritmo, più si scoprono nuove potenzialità.
Un esempio
di queste novità, tutte esplorate nel secolo scorso, tornando nel campo della
musica, lo troviamo nel Jazz.
Un nome tra
tutti, Art Tatum, da molti
considerato un genio, da molti altri considerato l’assassino del Jazz, ma se
ascoltate le sue composizioni storiche, se tentate di seguire il suo
funambolesco vagare sui tasti, senza dubbio vi sentirete invasi da una
sensazione nuova: lo stupore! E lo stupore è indotto dall’imprevedibilità del
gesto creativo, e lui la musica la spezza, la modella, la nebulizza e la
rimaterializza sorprendendoci ad ogni suo guizzo di genialità (potremmo anche,
quando ascoltiamo qualsiasi brano musicale, tentare di prevedere la nota
successiva: se la previsione corrisponde al componimento, allora non c’è nulla
di nuovo; se invece la nota che ascoltiamo è diversa da quella che avevamo
previsto, ecco che saremo colti da stupore, e saremo vergini all’evento che ci
viene proposto, e forse l’arte è anche la ricerca di quella verginità).
Ma tentiamo
di ridurre questo vagabondo pensiero a pochi termini: respiro, ritmo, stupore.
Poi c’è il significato, ma ancora, il significato nella musica, possiamo
percepirlo? E nella poesia, non sarebbe sano cercare, oltre al significato
delle parole, il significato musicale, che è del tutto irrazionale, ma che non
si esprime se non attraverso un fluire inedito di respiri, suoni e silenzi?
Perché lo dico? Semplice: perché quando si legge una poesia, se si rimane
schiavi delle parole, non si legge la poesia ma le parole.
Insomma: il
significato nascosto, quello che si espande quando entra in noi, quello che si
traduce in una sensazione di abisso, di mancanza di respiro, quello è il senso
della poesia che oggi, schiavi delle parole, abbiamo perso.
Ora,
immaginate che correte e che d’improvviso vi fermate perché davanti a voi non
c’è più la terra ma il precipizio, immaginate quella sensazione, sentitela in
voi, vivetela… e ora ditemi: quale poesia vi ha dato quella sensazione? Di
certo non la paccottiglia che oggi si produce, ma non cadete nell’inganno, la
si produceva anche ieri… solo che i poeti di ieri hanno passato (o sono stati
trattenuti da) il filtro della storia. Ecco, il passato è storicizzato, il
presente ancora no… e tra quelli che oggi popolano il presente esiste chi
merita di essere storicizzato. Sapremo chi lo è solo se vivremo abbastanza.
Quindi
poesia non come messaggio fatto di parole, ma come insieme
suono-silenzio-ritmo-respiro che dice qualcosa oltre le parole, perché la
poesia deve trascenderle.
Il grande
maestro Leopardi, nell’Infinito, cosa vi dà? Non certo una descrizione di
luoghi e di stati d’animo, semmai vi dà la sensazione dell’infinito che è
dentro di voi, la percezione dell’abisso, la corsa forsennata che si ferma
d’improvviso davanti al baratro… e dopo la lettura di una poesia così grande
siamo inediti al mondo, siamo diversi, ci siamo trasfigurati in qualcosa di più
grande di noi.
Ecco,
questo è il dovere della poesia. Ieri, oggi e domani.
E non c’è
futuro se il poeta, invece di cercare dentro di sé, si mette a pontificare e si
fa bello perché ritiene di essere un poeta. Insomma: il Narciso che è in noi è
il Minotauro da stanare e neutralizzare. Il futuro viene dopo.
Claudio Fiorentini
Claudio dice: "La forma veicola un contenuto che non può manifestarsi in altro modo, se non attraverso quella forma". Sono d'accordo con lui: la forma non è un vestito da indossare e di cui ci si possa svestire a piacimento, restando nella sostanza quello che siamo. Forma e contenuto, non solo sono inscindibili, ma sono addirittura sinonimi, se la scrittura è creativa. Laddove è possibile distinguere una forma dal suo contenuto, vuol dire che i due sono "appiccicati", e questo è il segno di un linguaggio artificiale, pomposo, autoreferenziale, lezioso. Claudio dice che il filtro della storia fa giustizia di queste aberrazioni. Forse, ma secondo me esiste un metro più semplice e diretto, personale, di valutazione. La parola viva nasce dal Silenzio e porta con sé la legge misteriosa della Vita. Questa è la cifra della creatività. Una poesia è tale se risveglia in noi il segreto valore della Vita.
RispondiEliminaFranco Campegiani