Alcyone
2000 (Miano Editore) dedica nel N° 15 (2022) un saggio critico
di Enzo
Concardi sull'opera di Franco Campegiani
Male di vivere, terra desolata,
poeta-contadino, apologia della natura, dualismi dell’essere, nostalgia delle
origini, speranze umanistiche in Franco Campegiani
di Enzo Concardi
Sui ridenti e
pittoreschi Colli Laziali trovasi Marino, terra natale del nostro autore, dove
tuttora risiede. Egli è poeta, critico letterario e d’arte, filosofo. Le sue
raccolte di poesia partono con L’ala e la
gruccia (1975) e proseguono con Punto
e a capo (1976), Selvaggio pallido
(1986), Cielo amico (1989), Canti tellurici (2000), Ver sacrum (2012), Il letto del fiume (2002), per concludersi con Dentro l’uragano (2021): opera vincitrice del Premio Letterario
Internazionale “Golden Selection 2021” e su cui s’incentrerà maggiormente la
nostra analisi critica. In campo filosofico ha pubblicato La teoria autocentrica. Analisi del potere creativo (2001) e il
saggio Ribaltamenti (2017). Ha dato
impulso a cenacoli culturali e promosso – insieme allo scrittore Aldo Onorati e
al sociologo Filippo Ferrara – il “Manifesto dell’Irrazionalismo sistematico”
(2005), ispirato all’opera del Maestro Bruno Fabi.
La sua poetica ha
visitato fin dall’inizio talune tematiche divenute in seguito veri e propri
“cavalli di battaglia” culturali, nel senso di messaggi da divulgare ai
contemporanei, nonostante la dichiarata propensione a scrivere per se stesso.
Se prendiamo, ad esempio, Selvaggio
pallido, esso è definito dal prefatore Vito Riviello un «poema ecologico»
ed il poeta stesso identificato come «un amico vero della terra, ecologo per
vocazione e non per scelta disperata e crepuscolare». In Canti tellurici, Aldo Onorati, che da sempre segue le sue
pubblicazioni, sottolinea la molteplicità dei suoi motivi «... legati al cosmo
e alla sua conquista attraverso la conoscenza interiore e il riconoscimento
della necessità dell’inseparabile dualismo-unità di bene e di male». Natura,
panteismo, forze primigenie, dolore del limite, madre terra, ritorno salvifico
dell’Eden, visioni apocalittiche, grembo e radici, vulcanismo di terra e cielo,
trinità fra tempo-storia-uomo, morte di una civiltà, amarezza del presente e
speranza per il domani, perdita della sacralità, lirica filosofica e noetica,
crisi esistenziale e spirituale dell’uomo contemporaneo … sono tutti elementi
che poi troveremo sviluppati ed ampliati anche in Dentro l’uragano.
Ninnj Di Stefano Busà,
a proposito di Ver sacrum, parla di
«... un incoercibile malessere che è il movente motivazionale di tutta la
raccolta»: il poeta, a mio parere, non fa altro che interpretare il male di
vivere odierno, rifiutandolo e indicando altre vie per superarlo, come vedremo
tra poco. Fa parte di tale malessere l’allontanamento dall’Assoluto, che ha
piombato l’essere in dimensioni minimalistiche: il recupero di una fede
profetica, visionaria, primigenia, universale, non confessionale rientra nei
progetti rigenerativi per l’uomo. Così anche nella silloge Il letto del fiume, accanto ad immagini di bellezza rusticana,
ritornano i temi dell’Eden, dell’eterna lotta fra principi opposti, delle
questioni antropologiche ed ontologiche, dell’alfa e dell’omega, di Caino e
Abele.
Ma è giunto il momento
di entrare nel mondo dell’ultimissima raccolta dell’autore, ovvero Dentro l’uragano, non prima però di aver
ricordato, con Aldo Onorati, il suo temperamento sanguigno, che sicuramente
incide sullo stile della scrittura: «Poeta delle forti passioni, delle
brucianti polemiche, degli infuocati assiomi». Insomma, Campegiani possiede
ancora quel “sacro furore poetico” che ha contraddistinto le tempre del passato
e che manca alle schiere di esangui intellettuali odierni, non più coscienza
critica della società, ma ‘primedonne’ della mondanità. “Sacro furore poetico”
che sarebbe bene tornasse a vivere tra noi, per ascoltare voci autentiche di
poesia. Anche Dentro l’uragano porta
la prefazione di Aldo Onorati, di cui cogliamo i passaggi più significativi.
Egli inizia a mettere in risalto i toni profetici e biblici dell’opera:
«Campegiani osserva che s’è disseccato per sempre il fiume del sacro
primordiale, e a me sembra che la primordialità sia un’essenza-chiave, una
sorta di innesto vitale nel pensiero di questo autore concreto e visionario,
terrestre e metafisico a un tempo». Puntualizza poi la figura di Adamo,
contadino da millenni con un piede nell’Eden, e un altro fuori coltivando la
terra.
Ora però Adamo è uscito
dall’Eden anche con l’altro piede e una “follia razionale” domina il mondo,
basata su un falso concetto di progresso, perché non a misura d’uomo. Per ciò
il poeta – come gli antichi profeti – sembra essere come una voce che grida nel
deserto, cioè inascoltata. Gli scenari sono quelli della morte di Madre Terra e
il dolore del figlio-uomo non potrà essere superato se non con una sua presa di
responsabilità, divenendo un tutto, capace di vivere ed amare, senza attendersi
nulla dall’esterno, nemmeno dal divino. Onorati sottolinea ancora, tra l’altro,
la funzione del paesaggio in tali contesti e concetti filosofici, ovvero essi
riflettono l’interiorità del poeta, per cui sono essenzialmente “paesaggi
dell’anima”. Per il critico l’autore ama la poesia selvaggia, dalle radici
primitive, che si sposano «col mistico … col metafisico». Infine egli conclude
cogliendo un aspetto di grande verità nella poetica intrinseca all’opera,
ovvero che le contraddizioni dicotomiche (bene-male, Caino-Abele, luce-tenebre,
odio-amore…) dell’essere, attraversano l’interno dell’uomo, non sono al di
fuori di esso, sono indelebilmente stampate dentro ognuno di noi, che quindi
possiamo trasformarci, di volta in volta, in Caino o Abele – secondo le Sacre
Scritture - in Dr. Jekyll o Mr. Hyde, secondo la geniale simbologia letteraria
romanzata di Stevenson.
Dentro l’uragano è un grido di dolore epocale per l’innocenza
perduta, per le radici divelte, per l’essenza di noi stessi stravolta, per il
furto della nostra identità storica e personale attuato da un
progresso-regresso tecnologico e consumistico che ha reso tutti vittime di una
grande alienazione. Vittime in gran parte inconsapevoli, tant’è che si
trastullano in una fasulla felicità beota o cadono in profonde depressioni
esistenziali di massa. Le poche coscienze lucide ad avvertire il dramma
dell’umanità dispersa vengono emarginate, tacitate come profeti di sventura in
preda ad una schizofrenia antropologica ed ontologica, invertendo così i
termini del problema con una grande proiezione psicologica di tipo freudiano.
Il poeta-veggente-profeta autore del libro si inserisce nelle scuole di pensiero
lucide, che hanno già, dagli inizi del Novecento, denunciato il dilagare della
disumanizzazione odierna: non v’è spazio qui per nominarle tutte; sono in
genere quelle che fanno riferimento all’esistenzialismo, alle filosofie
personalistiche, all’ermetismo, al pensiero critico.
Per nulla a caso
Campegiani apre Dentro l’uragano con
una citazione dell’intellettuale disorganico, irregolare e trasgressivo – ma
lucido – Pier Paolo Pasolini, che sono “obbligato” a citare a mia volta, poiché
ritengo che i suoi versi siano la chiave di volta per interpretare
correttamente quelli del poeta laziale: «Io sono una forza del Passato. / Solo
nella tradizione è il mio amore. / Vengo dai ruderi, dalle chiese, dalle pale
d’altare, dai borghi, / abbandonati sugli Appennini o sulle Prealpi, / dove
sono vissuti i fratelli. / Giro per la Tuscolana come un pazzo / per l’Appia
come un cane senza padrone. / O guardo i crepuscoli, / le mattine / su Roma,
sulla Ciociaria, sul mondo, / come i primi atti della Dopostoria, / cui io assisto,
per privilegio d’anagrafe, / dall’orlo estremo di qualche età / sepolta.
Mostruoso è chi è nato / dalle viscere di una donna morta. / E io, feto adulto,
mi aggiro / più moderno di ogni moderno / a cercare fratelli che non sono più»
(da Poesia in forma di rosa).
Franco Campegiani gli
fa eco con la lirica Lettera a Pier Paolo,
scritta come a un fratello di sangue e d’idee, che contiene versi apologetici
sulla donna e la civiltà contadina e la loro fine, sino all’abbraccio finale
con Pasolini, compagno nella parabola terrestre e forse oltre: «Civiltà rude e
gentile, / sangue contadino /…/ Caro Pier Paolo, tutto pian piano / si è
corrotto nella storia, / ed ora che sono svanite per sempre / le pale di vigna
e d’altare, / ora che il popolo è scomparso /…/ ora si è spenta la terra / e la
donna non è più con noi. /…/ Non più contadini, noi, / non più umani, Pier
Paolo, / ma la madre non muore, / è vita perenne, un viaggio infinito. / Vengo
nel Dopostoria con te, / la palingenesi è inesorabile». La fede nella Terra
tuttavia non muore. È chiaro qui in Campegiani l’attaccamento radicale al mondo
contadino, ai suoi stili di vita, ai suoi simboli, ai suoi valori,
all’immutabilità di un modello storico, fino a farlo divenire paradigmatico ed
universale. È chiaro anche il distacco da tutto ciò che è venuto dopo, come
vedremo in alcune liriche descrittive della metropoli. Il poeta si avvale per
tali canti, simili ad epicedi collettivi, talvolta di un linguaggio diretto,
immediato, con terminologie che sono veri e propri pugni nello stomaco del
lettore; talvolta di un lessico metaforico, simbolico che parrebbe più rivolto
a lettori acculturati.
Tuttavia l’effetto è
quasi identico: provocatorio, riflessivo, da aut-aut per scuotere le coscienze.
Nella lirica seguente c’è un secondo riferimento ad un altro personaggio
influente del Novecento culturale, ovvero Sartre,
borghese mascherato, trattato però in modo accusativo, in contrasto con la
figura del “poeta-contadino”, personificata dall’autore: Roquentin (il
protagonista del romanzo La nausea di
Jean-Paul Sartre), viene messo alla berlina come larva cittadina, come borghese
mascherato che non conosce la dura scorza del poeta-contadino: «…O Roquentin,
Roquentin, / i tuoi poeti sono esangui, / son come te, larve cittadine. / Che
sai tu del puzzo di bestia, / della dura scorza / del poeta contadino? /…/ Ti
scandalizzi / per l’ipocrisia degli altri, / per l’idiozia degli altri / e non
ti accorgi / che sei solo un borghese mascherato. / La vita è brutta perché è
bella, / questo non capiscono i cittadini. / Né può capirlo ormai / questo
smorto contadino di città».
La “sacralità” della
campagna è sancita in Tellure: «E
ogni pomo è il padre, / il figlio, lo spirito santo». Ecco dunque il netto
contrasto, il dualismo tra città e campagna, tema al quale vengono dedicate
altre liriche significative, emblematiche. Case
nere lungo viali asfaltati è una di queste, dove v’è il ricordo e la
nostalgia del padre contadino e di quel mondo che, dopo il «dolore nelle notti»
regalava speranze contenute in tante albe esplosive di nuova vita. Non così
l’attuale metropoli, definita «il male d’oggi», in cui esistono «plastificate
muraglie», «una notte senza sbocchi», «un incubo, un’oscura follia», «un nulla
radicale in estinzione»: toni apocalittici che negano ogni progresso, ogni
beneficio materiale, poiché slegato da quel «supplemento d’anima» di cui
avrebbe bisogno l’inaridito uomo tecnologico, secondo il filosofo francese
Bergson.
L’incubo delle città
moderne alienate era già stato preconizzato da Baudelaire ne I fiori del male, come ad esempio in Crepuscolo del mattino: luoghi
infernali, esse non avrebbero più lasciato posto alla poesia e ai poeti,
condannati all’esilio spirituale. Stazione
metro e Piovra metropolitana sono
altri esempi in cui i passeggeri sotterranei vengono trasformati in dannati che
vanno in bolge dantesche, mentre l’avanzare del sistema economico industriale
si mangiava i campi e il mondo dei contadini. Altra è l’atmosfera che si
respira immersi nella natura: le immagini paesistiche di Campegiani
riconciliano con se stessi e con il mondo, tanto sono semplici nella loro
profondità contemplativa. C’è bisogno di un Concerto di primavera per ritrovare
un sorriso, per amare la vita, laddove camomilla, tarassaco e borrana asciugano
lacrime; laddove il ruvido ulivo rappresenta un padre davanti a cui
inginocchiarsi; laddove si può fraternizzare con un ciliegio carezzevole. C’è
bisogno di ritrovarsi spersi in un piccolo borgo appenninico (Capodacqua, vicino ad Arquata del
Tronto) a Capodanno per riprovare antiche e nuove emozioni: boschi argentati,
vetusti tratturi, presepi di case, umili chiese, vecchio camino e gagliardo
vino… per capire che «tocca a noi di amare, di vivere e morire».
Queste tematiche
occupano buona parte del libro. Vi troviamo echi di Eliot (La terra desolata) con la crisi dell’uomo contemporaneo, con la
desacralizzazione del mondo, con la solitudine interiore dell’individuo nella
massa; echi di Montale del male di vivere,
con l’osservazione della pietrificazione nei rapporti umani, con il non-senso
di una vita segnata dall’enigma; echi del mito di Rousseau sull’uomo buono in natura corrotto dalla
civilizzazione e dall’organizzazione sociale: «l’uomo è nato libero, ma
dovunque è in catene» (incipit de Il
contratto sociale di Rousseau).
Un’altra parte del
libro è invece occupata da liriche di carattere filosofico intorno alle leggi
dualistiche dei contrari che si sostengono a vicenda e che potremmo definire
ontologiche, ovvero indagatrici della sostanza dell’essere ieri ed oggi.
Dualismi e bipolarità che hanno origine nel pensiero greco, ed ecco quindi
l’allegoria del dio bifronte in una lirica surreale dal titolo Sulle ali di Giano, il dio dalla doppia
testa padrone dell’eterno in cui il tempo nasce e muore: «… Io sono Giano dalla
doppia testa, padrone del Passato e del Futuro. / Se fissate la linea che
demarca / le memorie dalle attese, / un varco si aprirà ed entrerete / negli
Inizi Perenni. / Di quel mondo io sono il dio, / nume primigenio dei Latini. /
Giove mi oscurò, / sesto figlio di Cromo, / scivolando la mente degli umani /
nel dominio del tempo. / Ma io sono nell’eterno, / da me nasce il tempo, in me
muore, / così io rinnovo le stagioni…».
Molte di tali poesie
convergono su riferimenti culturali precisi, come Epitaffio - Sulla tomba di
John Keats al cimitero acattolico. Inno alla realtà dialettica che – come
in Hegel – si forma dalla sintesi fra una tesi e la sua antitesi: «Ogni cosa è
nell’altra / e la luce appare nell’ombra, / tutto è positivo e negativo, / fratellanza
di chiari e scuri». Visione presente anche in Hermann Hesse (Siddharta). Altre testimonianze
albergano in L’essere è qui, un invito ad essere se stessi, ad aver fede nel
contrario, perché «...l’oltre sta qui» e «...l’eterno è un sosia, un doppio»
nascosti in noi; non quindi l’essere astratto dei metafisici, ma l’esser-ci (dasein) come in Heidegger,
presente nella storia e nella società. In Identità
che «è mobile e sempre altra / e altra ancora da sé», nascosta «dietro la
maschera»: echi di tematiche letterariamente pirandelliane. In Caro Emanuele, rivolta con simpatia ed
affetto a Kant, ribadendo: «E stanno in me il lupo e l’agnello, / in me il
giorno e la notte /…/ Cosa la ragione può comprendere / della legge suprema dei
contrari?». Ed anche l’amore soggiace a questa ferrea legge: «Legarti a me è
saperti libera /…/ Mi manchi e sei qui» (Frecce
nel cuore). Tuttavia in Salmo
avviene una catarsi religiosa che conduce al regno del Redentore, per cui «è
ora di scuotersi, / riaccendere la nave /…/ di nuovo è pronta a salpare» fuori
dall’uragano.
Enzo Concardi
Sono molto grato a Enzo Concardi per questo acuto saggio critico sulla mia poesia, teso a evidenziarne "il recupero di una fede profetica, visionaria, primigenia, universale, non confessionale" da cui risulterebbe animata e che, secondo il critico, rientrerebbe "nei progetti rigenerativi per l'uomo", contrastando il diffuso "allontanamento dall'Assoluto" dei nostri tempi, "che ha piombato l'Essere in dimensioni minimalistiche". Bene, benissimo: mi sento davvero a casa. In particolare laddove, sottolineando la tensione della mia poesia ad "interpretare il male di vivere odierno", egli ne coglie l'indicazione di una via per superarlo nella diretta "presa di responsabilità" dell'uomo con se stesso, "senza attendersi nulla dall'esterno, nemmeno dal divino". Mi complimento con l'esimio studioso, ringraziandolo ancora ed estendendo il ringraziamento all'amico Nazario che ospita generosamente in queste pagine il suo scritto, già pubblicato nel n° 15 dei quaderni di "Alcyone 2000" (Miano Editore).
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