venerdì 2 maggio 2014

N. PARDINI: LETTURA DI OPERE DI GIOVANNI BILOTTI


Recensione
a
Giovanni Bilotti: Stazioni dell’anima. Versi di dentro Edizioni Cinque Terre. La Spezia. 2009. Pagg. 52. € 5,00
Giovanni Bilotti: Dettagli. Versi sotto traccia
Edizioni Cinque Terre. La Spezia. 2009. Pagg. 64. € 5,00
Giovanni Bilotti: I ragazzi del campetto. Un paradiso chiamato Rebecco
Edizioni Cinque Terre. La Spezia. 2009. Pagg. 114. € 10,00




Poesie di evidente freschezza realistico-esplorativa che, distese su un ductus poetico di solida tenuta, evitano l’insidia dei luoghi comuni. Un realismo lirico di polisemica significanza dove l’ardore allusivo delle metafore spinge il verbo verso vertigini paniche di grande impatto allusivo. E l’autore narra il tutto con non chalance, en passant, osservando l’apparire e lo scomparire simbolico delle configurazioni naturali. Perché Bilotti fa un grande uso del naturismo. È a esso che si affida normalmente per raccontarsi. Ed è così che con rampicante visività riesce a dare corpo agli input vicissitudinali e a dare loro un senso di forte umanità, caricandoli di sostanza fonica e cromatica e di  sinergetica fusione fra dire e sentire. Un dipanarsi di euritmica sonorità dove la coscienza del tempo che implacabilmente fugge, lascia un melanconico sentimento di precarietà sulla vicenda umana. Ma i profumi, i colori, le vampe di una solitudine vengono spesso leniti da tramonti che dormono silenzi. Da riposi di fragorosi usignoli:

Hai smesso di sognare
e ti risvegli in un tramonto
coi fiori che dormono il tuo silenzio.
Ti accende il dolore, madre,
e t’abbandoni, forse ti riposi,
ma fragorosi senti anche gli usignoli (sei rimasta sola. Da Stazioni dell’anima).

E la parola fa di tutto per seguire gli impulsi emotivi del Nostro. Si svincola, si addolcisce, si abbrevia, si espande per assecondare il movimentato percorso di una storia; andando persino contro il canonico uso della morfosintassi tradizionale per un urgente bisogno di dire, di raccontare, di descrivere ambienti, emozioni, fughe, ritorni. Sì, di narrare la vita nel suo terreno dipanarsi, nel suo pascaliano contrasto fra terrenità e naturale spinta a superare la demarcazione del nostro esistere.

… E mentre ai cancelli m’incammino
perché l’ora della visita è finita, 
uno sguardo va alla foto e per incanto
un pensiero ti riporta quasi a vita (Nel camposanto.  Da Dettagli).

Una successione di quaternari che dà ritmo al verso; un ritmo che si trasmette all’anima vogliosa di imprese impossibilmente possibili. Un importante uso del significante metrico che denota abilità, concretezza, e conoscenza prosodica. Un poeta che non si disperde in un articolato linguistico di stampo “modernista d’assalto”. C’è tanta musicalità. La si percepisce non solo dai nèssi semantici. O dagli incastri versificatori, ma dall’uso del verbo: una vera sinfonia della parola impiegata con grande frequentazione introspettiva. E se il dolore spesso si affaccia per un gioco sottrattivo della vita o per un accident voluto dal destino, il poeta sa ricorrere al memoriale come a un rifugio di edenico sapore. E là ritrova persone care, ambienti naturali, antiche primavere. E li ritrova con tale generosità emotiva che tornano a vivere; con tale forza visiva da esplodere in riccioli al sole, in luce attorno ad una fontana, in donne che giocano a tombola, o in ragazze bionde e snelle; anche se si stanca la memoria a ricordare, a ricercare, cosciente di essere parte di quella fragilità umana che segna la coscienza del nostro esser/ci:

Stanca più non cerca la memoria   
quei nomi di amici rimasti senza storia (La memoria. Da I ragazzi del campetto).

Tre plaquettes di un ars inveniendi e di una vis creativa che fanno dell’autore un abile tessitore di sentimenti in velluti di fulgidi colori. Il ricorso a vaghezze semantiche, ad assonanze, consonanze, rime interne e a figure stilistiche allusive dànno al tutto un tono di piacevole vicinanza; un tono di perspicacia sapidità disvelatrice, dove uno strisciante melanconico sentire fa da leitmotiv al procedere del canto. Ma, al fine, c’è l’amore per la vita a dominare su tutto in questi versi. Il poeta è cosciente della sua unicità; dell’unicità della sua venuta: ed è ad essa che dona tutto se stesso; al miracolo del suo mistero; cercando di viverla con l’intensità che richiede, con fughe verso primavere che vincano il mortale autunno della fragilità terrena:

Voltati: già t’insegue la memoria
sempre a caccia della vita.

Cercando di sognare, anche; di sognare il modo di poterla trasferire con sé en haut, col sacro bagaglio del vissuto:

I sogni sai, sono il parlar
                 dell’anima.
Chi curerà i miei sogni
                quando dovrò lasciarli? (i sogni, sai. Da Stazioni dell’anima),

di poterla trasferire in cieli che sanno tanto d’azzurro, e che azzardano sguardi oltre il limen del nostro spazio ristretto di un soggiorno:

 … Ma sarà il primo sogno
che passa per la via
a  dirti se sai vedere
oltre le ferite delle cose
e sentire Dio nel vento (se vuoi sapere. Da Stazioni dell’anima).

26/04/2014        Nazario Pardini        


DA STAZIONI DELL’ANIMA

a parlare


Nel camposanto con la luce
a parlare di garofani
là agli altri fiori
mentre il sole s’insinua
tra i capelli e accende
le segrete stanze dei ricordi.


DA  DETTAGLI

Non state in ascolto


Sul mio letto di morte
non state in ascolto. Una preghiera
di silenzio dolce placando
darà all’anima l’indirizzo della luce.


DA I RAGAZZI DEL CAMPETTO


Lei lo seguiva


Lei lo seguiva
con lo sguardo ogni mattina
sino alla fermata del tram
che se lo portava via.
Poi, in attesa del ritorno,
col caldo di quel ricordo

rientrava in cucina.

4 commenti:

  1. dopo una lettura critica così accurata e approfondita,è difficile commentare .Provo solo a dire. con umiltà,ciò che sento leggendo queste poche poesie.
    L'autore riesce a tradurre con parole semplici ed essenziali,ma al contempo poetiche e vibranti,immagini,sentimenti,sensazioni.
    Grazie per avercelo fatto conoscere

    RispondiElimina
  2. Ho provato ad entrare nella poesia di Bilotti: ne sono rimasta catturata; ho scritto. Ma Pardini apre, ad esempio con un aggettivo di sintesi, altri spazi, altri percorsi.
    Professore, Lei è un "grande" e limpido umanista.
    Maria Luisa Tozzi

    RispondiElimina
  3. Carissima Maria Luisa,
    la ringrazio dell'apprezzamento. M'invii due o tre sue poesie accompagnate da una breve nota biobibliografica. Le inseriremo su Lèucade:
    nazariopardini@virgilio.it
    Auguri
    Nazario P.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Professore carissimo e chiarissimo,
      chi è il poeta? E' colui che scrive, compitando un innato, enigmatico spartito, sapendo ascoltare il tempo (psicologico, fisico, metafisico), per diventarne l'interprete, il profeta, lo sciamano di memorie. Non può essere poeta colui che divide questa unità, che professa piccole memorie personali, senza elevarle. Ecco perché, nel definirla frettolosamente "grande", ho ravvisato in Lei la felice, umanistica professionalità, caro "Professore", di suffragare, spiegare con tenerezza culturale gli approdi altrui. Lei è il Poeta. Io non mi ritengo tale, ma Le invierò alcuni miei esercizi, timorosa e a un tempo grata, per apprendere, dalle Sue indicazioni, a consolare il mondo. Quando Le dicevo che "ho scritto", parlavo di un mio modesto lavoro sulla poesia di Giovanni Bilotti. Grazie.
      Maria Luisa Tozzi

      Elimina