NAZARIO PARDINI
CRONACA
DI UN SOGGIORNO
THE WRITER EDIZIONI, 125 PP.,
16€
Cronaca di un soggiorno è una
silloge poetica densa, fluente che ti incalza con il variare meditante delle
liriche, ti cattura con il mutare dei luoghi, dei personaggi, ti riposa nel
conforto della natura, ti ripara nella sua grande umanità, perché protagonista
ne è sempre la vita. E Pardini la guarda in faccia questa sua vita e ne fa un
bilancio in colloqui intimi con i suoi familiari
(seconda parte): il figlio Samuele, Debora, Sandra, Eleonora, la madre, il
fratello, il padre e altri. Talora perfino si sofferma in un esame di coscienza
misericordioso di chi ha vissuto a fondo ogni esperienza e ne ha scoperto il
senso cioè la comprensione dell’altro nell’amore: ho amato l’amore / … questo vi posso dire afferma nella sua prima
lirica. Prova ne è la sua sofferenza nel rivelare al padre, al camposanto, la
verità del suo segreto bambino: per chiederti perdono, padre, … per
non averti detto le parole / che sono rimaste in aria per la furia / che
tradisce la vita … per non averti chiesto, / fino in fondo, le piccole carezze
/ di bambino … per non averti detto fino in fondo / vicino al fiume che
scorreva lento / verso una foce che ingollava i giorni: / “Giochiamo assieme,
padre”! … Ed è tanto grande la sua capacità d’amare che, al mio sentire,
l’autore, uomo maturo, si attribuisce ritornando bambino le manchevolezze del
padre: i suoi silenzi, la sua scarsa affettuosità giustificandole nel contesto
faticoso e duro del vivere paterno. Un modo per Nazario di riappacificarsi con
la vita intera colmando le crepe in un’armoniosa ricomposizione dei sentimenti
reciproci, operazione questa di chi ha dentro la saggezza del tempo della vita.
In quest’ottica di un bene che va oltre la comune misura umana, che ignora se
stesso ma vuole il meglio per l’altro, ricorda il fratello maggiore che
soffriva per lui, ancora piccolo, e con gli occhi lo consolava: … stai tranquillo, non finisce qui: / anche
noi avremo casa…. In diverse soste liriche afferma simili profonde verità
tanto che questa sua Cronaca di un
soggiorno diviene una ricerca continua del vero significato dell’esistenza.
Il soggiorno però è anche una metafora del nostro breve
vivere inteso nei suoi desideri, attese, fatiche, asprezze, affetti, gioie e
dolori ed altro, vita insomma che è meravigliosa e terribile nello stesso tempo
come ben diceva il mio amico poeta Cesare Ruffato che ne aveva sperimentato
l’abisso e le cime più luminose. Nazario la percorre, la ripercorre dall’alfa
all’omega, dall’infanzia alla vecchiezza, alla morte, insomma nelle sue varie
fasi, investendo col suo alito poetico spazi, visioni, le nostre stesse vite
fra le stagionali cadenze della natura, fra le
sue albe e tramonti, sotto l’azzurro di speranza e di mille altre sorprese
sempre. Nel suo poetico andare ci coinvolge proprio nella comune coscienza di
tempi duri, faticosi, sofferti di cui non si avverte il lamento ma si ascolta
il silenzio del sacrificio, dell’accettazione, delle fatiche sofferte dal
padre, dalla madre là nel rapporto duro con la terra fra sospiri di bonifica, nel
sagrato / del tempio della casa-calore
di affetti, pur fra le gelide pareti riscaldate in qualche modo: da un’apertura ampia / usciva per l’inverno
/ il bel caldo della stalla. Casa, figure, persone, tempi d’amore in cui in
uguale dimensione si muovono il padre, la madre, ancora capace di stupirsi
davanti ai quei giochi del tramonto sopra il campo, verso cui
va la devozione del poeta che nei suoi versi le innalza un altare, già elevato
in altro luogo nelle campagne venete da Camon. La casa è quindi uno stile di
vita, ricevuto da Pardini, che rappresenta la sostanza più profonda e autentica
dei sentimenti: la premura, l’attenzione sempre per l’altro così resa in “Pisa era
antica” nell’incontro tra il poeta ancora ragazzo e un mendicante suonatore: … Mi sentivo, nel cuore, / di doverlo
compensare … Ma non avevo che toppe … e l’altro pronto a rispondergli … Mi hai già pagato – disse – / porgendomi
attenzione. Valori che camminano nel sentiero dei cieli e lasciano orme di
eterno e noi che abbiamo vissuto simili situazioni di bene, di buono, o che
avremmo voluto viverle, ci sentiamo figli accomunati da queste presenze mitiche
genitoriali, familiari (chi non ha avuto nel suo percorso una zia Rosina?) e
amicali dolcemente sottratte dal prima in un’atmosfera sospesa tra passato e un
presente che si infutura in un sapore di eternità: … è vero solo il mondo antecedente / e quello che continua oltre di noi
…. Così la scala, la cucina, il cimitero, il viale rimbalzano davanti a noi
stagliati vivi, attuali: un angolo di Toscana che non si sfuma, ma grazie a
Pardini acquista il fascino di un pezzo raro di famiglia come un mobile antico senza
tempo destinato al sempre. E di uguale magia vivono le Apuane, Metato, la
primavera, la Pasqua, il profumo della rosa, i vitigni, il castello d’amore
dove vivere con la sua donna, la pineta resinosa con i sentieri di lavanda
ove muovere con lei i passi rinverditi
in un giorno di maggio quando al tramonto il
mare dipinge sulla bàttima/gli ultimi raggi della nostra fiaba. Espressioni
tutte del suo canto sereno, consapevole alla vita.
Oasi
incantata è La mia isola e dintorni (prima
parte) colma di una natura turgida che si fa dono di colori, profumi, di
bellezza, generosa, consolante come il pensiero stesso di Nazario che la
contempla, la respira e la rivive quasi arcana Madre trascurata oggi nella
furia abrasiva del tempo spirituale, ma sempre indice di rinnovo. Una natura
quindi come luogo della felicità, lontano dai richiami effimeri di una società
arida, luogo della tanto sospirata verità
/ che hanno cercato sempre i pensatori / nei secoli dei secoli, da sempre
l’unica che permane a sé uguale, fedele oltre l’umano. Nella sua intima
contemplazione del paesaggio naturale il poeta offre una forma di rieducazione,
di formazione interiore, una tensione al sacro, ad un vivere buono di valori
antichi ma sempre validi. Realizza pure questo cammino catartico anche attraverso l’ascolto della musica delle melodie più belle del Creato, in
particolare quelle di Puccini, quel coro
a bocca chiusa!, le cui note scivolano fra il verde sulle acque del lago. L’isola
è così un luogo contenitore di tanti luoghi felici come l’amata Torre del Lago,
la frequentata pineta di Pisa dove ti ritrovi rinato nella verità della
bellezza che è conoscenza, conferma delle tue certezze, consolazione. L’isola è
la poesia stessa, rifugio, oasi del nostro sentire, spazio di fiducioso
abbandono in cui rivivere, ricantare il passato, farne memoria come linfa per il futuro. È
luogo in cui si arriva per salvarsi dal mondo sconnesso, dopo una vita di esperienze personali diverse, di fatica
e di dolore anche, per ritrovare qui se stessi. Ne nasce l’auspicio di Pardini,
espresso in una bella lettera introduttiva agli studenti, che i giovani approdino
all’isola della poesia come ricerca interiore,
arricchimento linguistico ed altro. Il
libro ha il respiro dei grandi poemi: l’ardore e il coraggio omerico della
giovinezza, la nostalgia della vecchiezza e insieme la pietas virgiliana con la
sapienza, sottesa sempre, degli archetipi della vita, dei miti della terra da
cui sgorgano le grandi verità: il sacrificio dei padri, la casa, la famiglia,
gli affetti e l’amore come unica forza unificatrice. E insieme ha l’intimità di
una confessione rivolta a un tu che tutti ci racchiude e avvolge.
Protagoniste
della silloge sono anche alcune figure dei poemi omerici, innate nel poeta: ecco
le Nausichee sulle rive del Serchio e Ulisse… evocate con l’insolita capacità, che
è sua cifra, di attualizzare il passato, l’arcano, tanto da rendercelo un
presente innervato da quel senso di eternità che percorre tutta l’opera. Perché In
ogni luogo delle mie canzoni / ci sono Nausichee a ricordare / lo splendore degli anni. Il bello dell’amore. /
Il fulgore del bello. Nausichee / che si aggirano su spiagge per cantare / inni di
gioia, speranze giovanili, / sogni di dee, immagini di volti. Canti eterni
alla giovinezza. Anche se il verde … è caduco, breve è il suo furore, //
s’affaccia già il silenzio dell’autunno… lascia, dice il poeta, che la
mia voce superi i confini / dello steccato misero del mondo, e renda questi
canti appunto eterni.
E
altro e altro, le Foibe, i Campi di concentramento… in questa
cronaca del nostro breve umano scorrere, impreziosito dalla memoria collettiva,
narrata in un discorso senza fine reso unico dalla scrittura di Nazario che
sempre su alto registro linguistico crea toni mutevoli con una semplicità
eccezionale e una ricchezza lessicale unica. Nella sua casa di parole, le raccoglie tutte nella loro
autenticità: parole antiche, usate, consumate e quindi “illustri”, attribuendo ad esse però il sapore
nuovo della sua poesia. Nazario opera sempre con quella umiltà di chi sa coniugare
umanità e cultura insieme, e viverla realmente nei suoi rapporti con gli altri.
Il che è solo dei grandi uomini devoti all’Amore e alla Verità, categorie eterne
e universali.
Maria Luisa Daniele Toffanin
25.4.2018
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