Lo
stradone
Ora è
solo. Davanti al cimitero.
Ci crescono
gramigna ed abbandono.
Guarda
oltre la strada principale
con
gli occhi di un morente. È lo stradone.
Ci
passavano carri ed asinelli,
con
ceste di raccolti;
era un
viavai. Riflette su se stesso,
sulla
sua solitudine.
Si
sente abbandonato. Guarda i campi
senz’anima
vivente. Aspetta solo
che
qualcuno lo ricordi, ripercorra,
magari
anche a piedi, il suo tragitto:
“Mi
aspetto che ritorni sopra i solchi
delle
ruote dei carri
il
vecchio paesano, la sua gente,
con la
falce a tracolla ed il corbello
appeso
sulle spalle. Quando il sole
pittura
i miei capelli, la tristezza
mi
assale e mi fa suo. Vorrei solo
la
compagnia di un tempo, e che qualcuno
ricordasse
quei giorni in cui le bestie
lasciavano
le impronte sul mio manto”.
Lo
stradone è laggiù che solitario
guarda
persone correre di fretta
sulla
strada maestra. E non capisce
perché
con tanta briga, se una volta
restavano
a gioire del tramonto
e
tornavano al canto di civetta.
31/12/2017
Così, mi sovviene la toccante poesia "Lo stradone" nella quale il Nostro palesa il Suo sentire e ne preserva l'essenza del viaggio, "dal tramonto all'alba" -per una nuova alba- donandolo, al di là dello sconforto dettato dalla nostalgica compagnia vitale del passato, al canto della vita, senza cedere il passo al cambiamento dei tempi che specchia abbandono e morte.
RispondiEliminaRita Fulvia Fazio
Riflettendo sul commento da me precedentemente rilasciato, sulla poesia in cui l'autore esprime il parallelismo tra la società di un tempo e quella odierna, pensavo a come la ricerca sia correlata all'emozionante rivendicazione di una dimensione intimista, tesa a sublimare luce di libertà. Grazie, Rita Fulvia Fazio
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