NAZARIO PARDINI
I DINTORNI DELL’AMORE
(Miano Editore, Milano, 2019, €
10,00, pubblicato su POMEZIA-NOTIZIE, di Domenico Defelice, settembre 2019)
Se c’è un grande poeta, capace di
interpretare il sentimento amoroso in tutte le sue più sottili sfumature,
questo è Caio Valerio Catullo. Non c’è da meravigliarsi quindi che Nazario
Pardini, volendo scrivere delle poesie d’amore, a lui si sia ispirato e con lui
abbia ripercorso le varie fasi della propria avventura amorosa. È quanto è
accaduto con il libro I dintorni
dell’amore – ricordando Catullo, che Pardini ha recentemente pubblicato per
i tipi dell’editore Miano, nel giugno del 2019, dove nella Premessa, costituita da una Lettera
ad un’amica mai conosciuta, il nostro autore ripercorre i momenti salienti
del canzoniere catulliano, facendocene rileggere alcuni versi ormai eterni:
“Passer, deliciae meae puellae, / quicum ludere, quem in sinu tenere”; “Tecum
ludere sicut ipsa possem / et tristis animi levare curas!”; “Miser Catulle,
desinas ineptire / et quod vides perisse perditum ducas”; “Vivamus, mea Lesbia,
atque amemus / rumoresque senum severiorum / omnes unius aestimemus assis”;
“Soles occidere et redire possunt: / nobis, cum semel occidit brevis lux, / nox
est perpetua una dormienda”; ecc.
Ed è proprio ispirandosi a questi versi che
Pardini ci dice a sua volta: “Amami, Delia, / e prendi poche cose, / andremo
insieme / là / dove la fine / ci ha fatto la promessa / di riscoprirci ancora”
(Amami, Delia) ; “Tu non mi guardi,
amore, / volgi lo sguardo altrove” (Tu
non mi guardi, amore); “… sei solo tu che vinci / i miei silenzi” (Ho visto ramoscelli); “Durante una
notte, / eterna notte, noi / dobbiamo riposare, / eterna, Lesbia, eterna” (Possono i soli); “Perché stamani tardi,
/ perché non giungi, / scavano nel mio petto / i tuoi ritardi” (Perché stamani tardi); “Con me ti porto
sempre / e non ho pace” (Per mari ho
navigato); ecc.
C’è poi il motivo dell’infedeltà, che sempre
ha tormentato i poeti, per il quale leggiamo: “Credo che la mia Delia triste e
sola / aspetti me, i miei baci; ma s’invola / con un uomo sopraggiunto dalla
via. / Tu piangi e ti disperi, anima mia” (Nubilo
il cielo fino all’orizzonte); “Ti odio e ti amo, Lesbia, / e tu mi
chiederai / in qual maniera avvenga / quel che mi cova dentro” (Ti odio e ti amo, Lesbia); ecc.
La seconda sezione della raccolta s’intitola Di vita, di mare e di amore e comprende
poesie maggiormente variate, sia dal punto di vista formale che da quello dei
contenuti, per una più complessa problematica naturalistica che la permea, la
quale si giova del volgere delle stagioni, come accade nei seguenti versi di Ignoto verso il mare: “Il cielo è terso
e il bianco della brina / quasi inneva i miei campi. I passerotti / rapinano il
tepore delle piume…”, una poesia che termina con questi versi: “… Ora è la
voglia d’altro / che mi riporta a un fiume / e mi trascina ignoto verso il
mare”.
Così è anche di poesie quali Chissà per quali mete, dove si legge:
“Questo rimane di un’intera stagione: / un suono lento e perso / che rinnova un
trasporto; / seccumi senza scricchi per assenza di sole…” o di È l’aria di novembre, dove Pardini
sembra godere della comunione con la natura, che gli dona un’incomparabile
gioia: “È l’aria di novembre che mi porta / sulla riva del fiume, qui mi
accorgo / quanto la densità delle robinie / ora si sia smagata…”. E si legga È
dicembre: “Riposa la campagna in una quiete / che somiglia la morte”.
L’amore per la donna sconfina in tal modo in
Pardini nell’amore per la natura, che ha da sempre costituito una componente
essenziale della sua poesia, come accade in Ottobre:
“Era d’estate quando della vita / riflessero i barbagli. Allora vissi / la
fantasia che esplose lucentezza”. E sempre è in lui un bell’impeto, che
trascina, come accade in Il fiume:
“Acqua, che riflettesti i miei canneti / con le quaglie sui cimoli e le torri /
di grigie chiese e i tremuli felceti / delle sponde…”.
C’è in queste poesie del Pardini come una
sommessa nostalgia di canto, che urge nella sua parola e lo muove a più dire:
“Sembra che il sole indugi questa sera / sulle pareti stanche del paese / mio
povero lasciato all’abbandono / di uccelli migratori” (L’indugiare del sole).
Il volgere delle stagioni fa nascere inoltre
in lui il pensiero del trascorrere della vita, come avviene in Ode, dove Pardini dice: “Passa così il
bel tempo. La natura / ritornerà di nuovo a verdeggiare, / ed altrettante volte
spegnerà / la gentile stagione. / Così passiamo Delia…”. Ed ecco ricomparire la
donna amata, emergente dal miracolo sempre nuovo della natura: “Raggi di sole
filtrano tra i pini / a cercare il tuo corpo, le tue forme…” (Onirici innesti alla tua assenza).
Le ultime poesie della sezione: Eliaca stella, Il cantico della bellezza, La
barca, sono mosse da una ricerca di perfezione formale verso cui
costantemente tendono. A sua volta le poesie di Canzoniere pagano, con le quali il libro si chiude, si sviluppano
in un crescendo di ritmi, che si risolve in un contesto altamente musicale,
dove la donna s’affaccia, creatura salvifica e portatrice di gioia, sull’onda
di compiute quartine: “Ne parlammo, ricordi, e quante volte / noi vivemmo
l’amore. Sulla riva / del fiume più lontano, nelle molte / occasioni inventate,
se appariva // nel cielo luminoso il tremolare / di un’ala di gabbiano…” (Ne parlammo. Ricordi?). Ed è questo un
miracolo antico e sempre nuovo, proprio della poesia.
Elio Andriuoli
Bellissima questa lettura della silloge. Una delle più attente .
RispondiEliminaAndriuoli è sempre Andriuoli...