martedì 22 gennaio 2013

V. SARTARELLI: I COMPAGNI DI LICEO


I Compagni di Liceo

 

 

Fra tutte le persone che gravitavano nell’ambito dell’Istituto che frequentava, un discorso a parte per la loro eterogeneità meritavano i personaggi che s’identificavano nei suoi compagni di classe. Può sembrare strano ma, a distanza di cinquanta anni, Marco ne ricorda solo alcuni, quelli che frequentava abitualmente e qualche altro che si trovava vicino al suo banco di scuola.
Tra tutti, per una sorta di priorità subliminale di sapore freudiano, egli comincia a descrivere per primo, il suo compagno di banco ed amico. La loro solidarietà era nata con il Ginnasio, stavano bene insieme e quell’amicizia si era consolidata e rafforzata soprattutto durante il periodo dell’unica malattia di Marco.
Era stato, allora, il suo amico che era venuto a trovarlo, spesso, durante la convalescenza a confortarlo psicologicamente e a spronarlo affinché si riprendesse fisicamente da quella malattia che l’aveva molto provato. Egli gli rammentava l’amore e la passione che entrambi condividevano per la bicicletta, in una proiezione mentale importante, di ritorno alla normalità, dopo una seria ed obbligata sosta.
Marco aveva apprezzato molto il suo interessamento e gli serbava gratitudine per aver contribuito, in modo determinante, alla sua completa guarigione. Quell’amicizia, poi, sarebbe continuata, oltre gli anni di Liceo, durante gli studi universitari. Il suo amico era più alto e, fisicamente più robusto di Marco, con un grosso naso aquilino sul quale inforcava un pesante paio di occhiali da vista con una corposa montatura di celluloide scura.
Il fatto che portasse quegli occhiali scuri con affettata maturità, gli conferiva un aspetto serioso che lo faceva apparire molto più grande di quello che, in effetti, era. Aveva un’intelligenza vivida e sorniona, sapeva cogliere come pochi, l’essenzialità delle cose, scoprendo gli aspetti positivi di ogni situazione dei quali sapientemente si appropriava, dimostrando un opportunismo unico. Difficilmente, se non mai, ammetteva di avere perso o d’avere sbagliato.
Marco era un tipo diverso, non gli piaceva cavalcare le situazioni favorevoli o peggio, cercare giustificazioni inesistenti, era schietto, un po’ introverso ma, leale e spontaneo, non mentiva mai. Malgrado questa diversità d’indole, tuttavia, andavano d’accordo e sono stati per lunghi anni amici inseparabili. Studiavano insieme e, a Scuola, s’integravano a vicenda, coprendo alternativamente le zone lacunose di ciascuno, sostituendosi nelle interrogazioni per surroga reciproca e volontaria.
Faceva parte, poi, del giro delle loro amicizie strette, una coppia singolare di compagni, definiti scherzosamente come “la corda e il secchio” per il fatto che stessero sempre insieme, quasi come gemelli siamesi. Uno, di qualche anno più grande di loro, con le fattezze già acquisite d’adulto, era dotato  di un’intelligenza acuta e brillante e riusciva molto bene nelle materie scientifiche, soprattutto, nella matematica.
Purtroppo, aveva un difetto fisico che, evidenziando i postumi funesti di una poliomielite infantile ad una gamba, lo costringeva a muoversi claudicante. Eppure egli non sembrava patire, almeno apparentemente, di questo suo deficit fisico, ché anzi, aveva sviluppato un carattere molto forte, con una personalità naturalmente aggressiva che tendeva ad imporsi sugli altri  lasciando loro poco spazio.
Di questo stato di cose appariva essere vittima, seppure nel senso buono del termine, l’altro amico che con lui si accompagnava, sempre volontariamente, fornendogli anche e soprattutto un appoggio fisico alla sua difficoltà di deambulare da solo, sembrava come se lo volesse proteggere dalla sua menomazione strutturale. Quest’altro ragazzo, d’indole buona e remissiva, accettava di buon grado senza mai opporsi alla supremazia, totale, dell’amico che a volte sconfinava nella burla nei suoi confronti. Eppure, egli offriva sempre la parte migliore di sé, facendogli in tutto e per tutto da “spalla” e riconoscendogli, anche, la funzione di leader.
Questa caratteristica di volersi identificare nel leader del gruppo, non fosse altro per l’età più matura ma, anche, per le doti intellettive apprezzabili ed il carattere molto forte, infine, gli fu riconosciuta anche da Marco e dal suo amico. Fu anche questa una bella lezione di vita in comune,  di solidarietà e amicizia pura e disinteressata, che quel mite e generoso ragazzo seppe dare agli altri compagni di scuola. Si formò così, un gruppo d’amici e compagni di Liceo che familiarizzò subito e s’integrò nel tessuto antropologico della Scuola, una specie di piccolo “clan” in divenire, a dimostrazione che, nonostante le difficoltà e le disgrazie, l’amore, la solidarietà, i buoni sentimenti e la gioia di vivere vincono sempre su tutto!

 
 Vittorio Sartarelli

 

 

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