domenica 18 maggio 2014

N. PARDINI: LETTURA DI "DICOTOMIE NELL'ESSERE", DI P. CINNIRELLA



Pasqualino Cinnirella:DICOTOMIE
NELL’ESSERE
Edizioni Il Fiorino. Modena. 2014. Pagg. 36. €. 5,00

Qui c’è la vita in tutto il suo dipanarsi zeppo di contraccolpi


Mi sono giunte oggi 9 maggio due opere di Pasqualino Cinnirella: una, vincitrice del Concorso Letterario “Il Cavaliere”, edita con i caratteri di Edizioni Il Fiorino, Modena; ed una di poesie raccolte in fogli stampati senza alcun riferimento bibliografico. E devo confessare che fin dalla prima lettura i versi dell’autore in questione mi hanno subito attratto. In primis per il suo messaggio umano, civile, memoriale e fortemente emotivo, trasmesso con tale comunicabilità da lasciare di stucco: un messaggio vicino a tutti noi per le questioni dell’esistere e per tutti quei perché che inquietano e che dal particolare si traslano, agevolmente, in sfera universale:

Debbo capire questi miei giorni a scalare
che senza appigli mi rotolano dalle mani.
Debbo capire perché
il tempo non frena le stagioni,
perché la notte non ha riposo
anche senza luna che da lontano
svela al plenilunio
segreti d’ombre dagli anfratti
e abissi di pensieri dalla mante insonne.
(…) (Debbo capire).

E penso sia proprio questa la marcia in più di Cinnirella. Un dire semplice e privo di tutto quell’armamentario retorico, di tutte quelle contorsioni verbali di stampo “modernistico d’assalto” che caratterizzano gran parte della poesia contemporanea. Il Nostro non è interessato a una forma che si distingua per falsa originalità; non va in cerca di voli pindarici formali che suscitino meraviglia, e che poi, in definitiva, nascondono tanta vacuità. Qui ci sono proposte chiare e convincenti ed è questo che vince e convince della sua poesia. Dicotomie nell’essere il titolo della silloge in questione. Un’opera che contiene proprio tutte le dicotomie del vivere. Le contrapposizioni della nostra vicenda umana. Affermava Vinicius de Morales poeta brasiliano amico di Ungaretti che la vita è l’arte dell’incontro e che vita e poesia sono la stessa cosa. Non esiste definizione migliore, credo, per inquadrare la poesia del Nostro. Qui c’è la vita in tutto il suo dipanarsi zeppo di contraccolpi. Parlare di polemos degli opposti di memoria eraclitea non è certamente sbagliato, dacché sono proprio le contrapposizioni dell’essere e dell’esistere a dare forza a quest’opera; le sottrazioni e gli addii: 

Dal bandolo rifuso
non scorrono che fili rotti e nodi
coi loro inevitabili intoppi
e soste di tempo e noia… assidue (Sono come Penelope).

(…)
Restano lamenti poi
e un grido muto in gola
che addolora- come un addio.
Resti pure immobile allora
e in ascolto… senti che
scardina l’io.
(…) (Sogno),

e ancora le notti e i giorni, l’oggi e il passato, la vita onesta e quella disonesta, quella civile e quella incivile, quella felice – il più delle volte con ritorni al memoriale – e quella ultimativa, da redde rationem, di cui il Nostro sente un gran peso e da cui scaturiscono meditazioni di portata non solo poetica ma anche filosofico-esistenziale:

Oltre i confini della sera
dalla memoria insonne
dove restano coattati
in involucri trasparenti
ricordi inalienabili e rimpianti
(contati da tempo in nugoli di sogni
sulle palme operose e stanche)
questi,
travasano in sintesi di niente
o in stille tremule insipide
(nella ciotola ampia degli anni)
la tua storia minima
dai pochi capitoli… e dal finale insulso (Oltre i confini della sera).

E d’altronde questa è la  vita: e questo è il sale e il pepe della sua essenza. Una simbiotica fusione di contrapposizioni vicissitudinali che ne fanno un terriccio fertile per una buona confessione. Un buon alimento per sostanziare una narrazione. E cosa è in fin dei conti la poesia se non che il repêchage di momenti vissuti e decantati, vogliosi di tornare a vivere? e cosa è se non che il rientro del nostro animo da una fuga in spazi di fiorite primavere, o di decadenti autunni tanto vicini al nostro esistere? e che cosa è se non che l’esternazione del melanconico sentimento del correre di un tempo che implacabilmente tutto fagocita? e che cosa, alfine, se non che quel tentativo di fuga e di affrancamento dalla precarietà del nostro essere umani?

I fanciulli giocano alla strada
lieti, ignari del tempo
che con fare impercettibile
li percuote… ci percuote
(…) (Nel mio tempo di uomo).

    E tanti i motivi ispirativi di questa vicenda che in gran parte sembra distendersi su una strada da via crucis. Su un percorso che nasce dal dolore, e dal gioco dei ritorni:  melanconia, taedium vitae, pensamenti e ripensamenti, illusioni e delusioni, e amore, tanto amore in queste pagine:

Non ebbi che uno squarcio del tuo cielo,
un solo parallelo del tuo mondo,
un lembo di te stessa.
Non mi fu concesso osare, varcare confini
di quel poco io che mi donavi.
(…) (Storia).

 Amore in tutta la sua polisemica significanza, in tutta la sua pluralità: per la donna, per la natura, per il Supremo, per l’età dell’oro dove l’uomo era uomo, e rispettava quelli che erano e che dovrebbero essere i canoni del buon vivere. Insomma un amore a tutto tondo. Perché in fin dei conti anche quando il Nostro sembra scivolare in uno stato d’animo di certo pessimismo sul vivere - mai comunque eccessivo -, è pur sempre un sentimento che nasce dal rispetto e dall’amore per la vita. Per questa meravigliosa avventura in cui crede ed ha sempre creduto. E da cui ha preso sempre ispirazione per il suo canto. Un substrato questo che corre come un fiume carsico ora sotterraneo ora in superficie; ma pur sempre ricco di acqua fluida e cristallina a dissetare in un poema ricco di sano umanesimo, e di slanci lirici di rara fattura:

(…)
M’accoglie questa luce nell’aria
che l’anima schiude come le corolle
dai calici verso il sole.
E levo piano le mie mani al sole
e canto alto alla vita un inno
un salmo – che invento dal profondo (Portato dai fogliami il vento).

E anche quando la coscienza della precarietà umana e dello spazio ristretto in cui siamo destinasti a vivere sembra prendere il sopravvento, c’è sempre una virata in questo “poema”, una virata che ri-porta il poeta a credere. E lo fa anche affidandosi all’atto onirico, a quell’azzardo che fa dell’uomo un essere votato all’azzurro. Sì, uno slancio verso mondi che superino lo spazio ristretto del nostro soggiorno, e che avventurino le nostre memorie in alcòve di edenico sapore, in alcòve rigeneranti:

(…)
Coglieremo nella quiete,
nell’angolo in penombra sul sofà
grappoli di sogni appesi alla memoria
tra pampini d’attesa
e brilleranno le iridi che sanno ogni cosa
del mio travaglio a vivere ( Se con me rimani),

 dacché il sogno fa parte della vita come ne fa parte la morte. E chi dice che non sia proprio l’idea della fine, della sottrazione ultima a dare vitalità e consistenza all’idea stessa della vita. Una vita che spesso trova rifugio in rievocazioni che equivalgono tanto ad una volontà di prolungare il cammino di questa nostra esperienza terrena. É lì che spesso il Nostro si rifugia: in tempi e luoghi dove il rispetto e la fratellanza fra gli uomini aveva delle salde radici; dove la madre eterna, che in ogni poeta ha sempre avuto consistenza ispirativa, era sacra e  intoccabile, e a lei si chiedeva aiuto come ad una sacra divinità; e lo fa con un confronto impietoso misurando il tutto coi tempi attuali, in cui si è perso il senso del bene e del male e dove la natura è vissuta solamente come territorio da sfruttare:

(…)
Sull’orlo sferico del globo,
dove l’uomo su l’uomo s’avventa,
solo Caino si rinnova,
per rendere ancora vano
quel grido d’amore similare
che dal Golgota… ci fa eco… a Calcutta (Meditazione).

 É da qui che si snocciolano versi di un realismo-panico di tale potenzialità creativa da offrire sinfonie di struggente resa lirica.

Ho sognato fuochi sull’aia.
Erano  quei falò di festa
nelle sere estive con canti e risa
intorno al gioco vivo della fiamma.
Remota realtà fuggita e mai goduta tutta
come i bei sogni nei mattini, sveglio d’improvviso
(…) (Ho sognato fuochi sull’aia).

Il poeta ci prende per mano e ci porta su aie dove i falò nelle sere estive erano esplosioni di gioia; feste genuine e vitali, di risa e sorrisi, di abbracci e di gioie; di ammicchi e sorprese; mentre ora l’uomo si avventa sull’uomo, e solo Caino si rinnova.
      Un poema di polisemica valenza dove il verso con tutte le sue varianti metriche ritratta timbricamente gli input emozionali e tutte quelle cospirazioni intime tese a convertire in gaudio le lacrime. Così si alternano con certa eleganza e padronanza prosodica misure brevi a misure più ampie per dare consistenza alla duttilità del sentire; per cristallizzare in poesia una natura che con i suoi magici poteri ha un ruolo determinante nel rivelare i panici sperdimenti esistenziali del poeta:

Porta dai fogliami il vento l’odore dell’erba
e dei pollini annuso i profumi vaporosi
nll’aria sparsi dalla brezza d’aprile.
Godono gli uccelli questi spazi tiepidi planando
e canti hanno nel migrare dolcissimi.
(…) (ibidem).

E anche se l’Autore, cosciente della vicenda umana, si congeda con versi intrisi dell’ultimo sole di ponente :

Sento che non ci sto più dentro le file.
Solo fra gli altri che mi travalicano ai lateri
sto a guardare ormai il mio sentiero che abbandono
irto a questo peso di carne che s’aggrava nei giorni
mentre brilla ancora dalla vetta
la mia chimera impossibile
all’ultimo sole di ponente.
(…) (Congedo),

lo fa affidando alla poesia il compito di tramandare ai posteri almeno i pochi monili del cuore appuntati… alla sua roccia friabile. Lo fa affidandole il compito di sfiorare cime dove poter trasferire il carico della vita:

Amorosa pena, felice strazio che ti neghi
al mio sogno nell’ora, essenza che
divelti e scardini il ceppo
su cui poggia il mio dissenso a  vivere
e la  noia… se tu per sempre
alla mia mente muori (Amore e poesia).

                                        Nazario Pardini


 17/05/2014

2 commenti:

  1. Carissimo Prof. Pardini sono talmente frastornato per tutto quello che a momenti ho letto, che non so come dirLe quel più sentito grazie di cuore. Non credevo, anche se lo speravo, suscitarLe tanto e tale interesse nelle mie poesie. Lei ha il dono incommensurabile di critico vero, puro, chiaro e profondo. Mi sono rispecchiato fedelmente nella sua disamina dei miei versi. Grazie, grazie e ancora grazie; andrò a letto con il cuore che mi sorride. Pasqualino Cinnirella

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  2. La lettura delle poesie di Pasqualino fatta dal prof.Pardini è completa ,profonda ed empatica.Pur conoscendo le sue opere,non sarei stata in grado di farne una disamina così attenta e critica, che condivido in pieno,pertanto non posso non complimentarmi con il Professore per le belle parole che gli ha dedicato.
    A Pasqualino rinnovo i miei affettuosi complimenti per il premio e tutta la mia stima
    Graziella Carletti

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