mercoledì 7 maggio 2014

N.PARDINI: LETTURA DI "HO QUALCOSA DA DIRTI", DI AMBRA SIMEONE

UNA CHIACCHIERATA CON AMBRA SIMEONE

Ambra Simeone: Ho qualcosa da dirti. (quasi poesie) 
deComporre Edizioni. Gaeta. 2014. Pagg. 64


Seguendo Ambra fin dalla prefazione del suo Ho qualcosa da dirti, libretto di “quasi poesie”, come lei definisce, (forse ci sarà qualcuno che un giorno leggerà questo libretto, senza dover correre subito al lavoro o in palestra o a cucinare per la famiglia, dedicando una trentina di minuti, tutti per leggere, senza aver fretta alcuna…), seguendola, appunto, la devo rassicurare che ha trovato quel qualcuno disposto a dedicare quella mezzoretta al suo verseggiare; e penso di non essere l’ultimo. In effetti, devo confessare, di essere stato attratto dalla novità di queste poesie, dalla loro disposizione diversa, dal loro scorrere con un linguaggio affabulante, malizioso, tutto vòlto ad attirare il lettore nella trappola della curiosità. Perché il nuovo, diciamolo francamente, incuriosisce, e tutti, penso, vogliono andare a fondo della questione: scoprirne i perché, le articolazioni, e soprattutto i motivi che spingono a tanta novità. Ed ecco che quel qualcuno si è sprofondato anima e corpo nei suoi lunghissimi “pensieri”, nelle sue “ampissime” meditazioni, e di conseguenza nei suoi “smisurati” versi che corrono col fiato in gola per tener dietro alla curiosità, alla voglia di sorprendersi e di sorprendere di una scrittrice che si ribella a un modo di dire e di pensare tradizionale. Insomma una novità che mira a mettere in luce le questioni dei comuni mortali, le loro problematiche di vita reale piuttosto che di quella esistenziale. E qui c’è tutta, proprio tutta la realtà che ci ruzzola intorno. 

Una realtà semplice, spicciola a cui tanti non porrebbero nemmeno attenzione tanto le cose sono comuni e quasi trascurabili; e lei ce le trasferisce nella loro nudità e soprattutto nascondendo, sotto la loro  essenzialità, inclusioni etico-sociali che ci fanno riflettere. Dacché qui l’attenzione è rivolta ai contenuti e non alle chiacchiere; è rivolta a situazioni d’ingiustizia, ad un ristagnamento culturale che la Nostra intenderebbe sovvertire ricorrendo a tutto ciò che è in suo possesso; a tutto ciò che faccia della parola un’ancella virtuosa per ripulire le stanze della consuetudine; ad un antilirismo per dar sfogo ai mal di pancia che definirei personalissimo. E si parte dagli accidents più consueti o meno consueti. D’altronde lo afferma la Nostra: Ho qualcosa da dirti. E noi, incuriositi, ascoltiamo diligentemente quel qualcosa, emozionandoci, anche, di fronte ad un dire che scivola via tatuando un’anima fresca, giovanile, impegnata, il cui scopo è quello di farsi intendere ricorrendo a qualcosa di diverso. E ci riesce con una semplicità disarmante. 

Perché lei ha i contenuti e non ha bisogno di rifugiarsi dietro a dei “parafrasismi” che spesso vengono impiegati per nascondere mancanza di sostanza: “cani di provincia che non abbaiano allo stesso modo”; “a ognuno la sua rivoluzione”; “il rifiuto della memoria”; “un’idea che non ha costi”; “un formicaio pronto a entrare dal colletto di un amico”; “cani di provincia che non abbaiano allo stesso modo”; “nessuno che insistesse perché lei andasse a ripetizione”;  o “l’idea balorda dell’a capo”. 
Ma non vi fate ingannare da queste citazioni che a prima vista sembrano non dir nulla. Sotto c’è sempre un’allusione, c’è sempre un riferimento ad un tipo di società fasulla e da rifare; e anche a un po’ del suo memoriale, trascinata più dall’impeto della poesia che dalla volontà di ricorrervi.
 Tu, che mi sei accanto, amico, e sei un puritano, mi faresti immediatamente riflettere sull’uso di questo linguaggio: a volte sporco (cazzo, cazzata…), zeppo di anacoluti (“va bene li usava  anche il Manzoni” ti dico “ma qui è diverso, è tutto il discorso un intero anacoluto” mi ribadisci); in effetti si può eccepire che il suo dire è sgrammaticato, che va oltre ogni regola morfosintattica, la rifiuta assolutamente (certi posti, io vedo proprio che non ci voglio andare…); e inoltre pare proprio che non ci sia tanta differenza fra  prosa e poesia nei suoi versi. 
Lo afferma lei stessa: “ci tenevo particolarmente a farle avere la mia piccola raccolta; queste "quasi poesie" nascono da un lato da una mia situazione personale che mi trova nel mezzo tra poesia e prosa…”.
       Ma è proprio Ambra  che vuole questa forma: un procedere spigliato, senza fronzoli, senza vincoli, senza regole così come esce dalla bocca, dal parlato, informale, indice della sua ribellione. Di protesta insomma. Una poesia che non sia poesia dove la rima baciata fa sorridere. È chiaro che Ambra deve rompere assolutamente con la consuetudine. E lei lo fa prima di tutto con la lingua e poi con i contenuti. Ma è anche vero che tanti bei contenuti sociali, civili, erotici, di protesta o altro si possono esprimere ricorrendo ad una poesia che sappia andare a capo quando lo richiede la poesia stessa; o ricorrendo a quella natura che offre generosa tutta la sua potenza cromatica e allusiva per configurare le ingiustizie o le giustezze di questa vita e di questo mondo, o perché no quelle inquietudini che timbrano la nostra vicissitudine umana, compreso il memoriale che tanta parte ha nella sua storia. Ad una poesia che faccia dei suoi nèssi e dei suoi versi un canto che, fregandosene di tradizioni o innovazioni o altro, sappia far venire i brividi quanto una romanza nostrana, quale quella di un Puccini, un Verdi, un Mascagni... o, per restare in tema, di un Sinisgalli, un Caproni, un Saba… Non si può certo dire che in questi versi smisurati di Ambra, in questa sua spontaneità senza misura, in questa sua vis creativa che attinge ad un realismo di memoria calviniana, in questo suo dire nutrito di neologismi, verbi ammiccanti, e nèssi scompigliati non ci sia novità e freschezza  letteraria. Però mi piacerebbe vederla misurarsi (e lo so che è difficile, diciamo impossibile. Cambiare pancia e stile è come snaturare il nostro essere) vederla misurarsi con una poesia più armoniosa, più vicina a quella tradizione che lei condanna, più vicina ad un verso che tiene in sé il tempo e il luogo del suo finire, e più vicina ad un naturismo che sappia tanto di stagioni esistenziali, di abbracci universali in cui il poeta possa anche ritrovare motivi memoriali o etico-sociali come stimolo ad un mondo nuovo, mitopoietico, o palingenico-epifanico. 
Ambra ha una potenzialità tale sia a livello verbale che umano, e una vis creativa talmente effervescente che saprebbe distinguersi alla grande anche in un tipo di canto che  traducesse la gentilezza esplosiva dell’altra faccia della sua medaglia; quella di un lirismo che serpeggia nei meandri del suo essere poetessa, del suo essere anti al suo antilirismo. Perché in lei c’è; nascosto, ma c’è; perché lei ama con pluralità, ed ama la poesia; perché tiene tutti quegli stimoli magici e misteriosi in fermento che aspettano un’equivalenza, un oggettivazione timbrica al loro polisemico ardore; un ordine; una sistemazione della loro rivoluzione spirituale.

                                   Nazario Pardini

3 commenti:

  1. Caro Nazario,

    grazie per il tuo sguardo onesto e aperto su questo mio esperimento anti-poetico, per rispondere alla tua proposta di scrivere poesia più armoniosa e tradizionale, ecco alcune mie vecchie poesie scritte anni fa, che non ho mai pubblicato perché ho preferito seguire la mia pancia:

    geografia del verso

    verso sud sempre verso sud ché
    se ognuno è a sud di un nord è anche
    per questo verso che scende e slarga
    giù lungo questa pagina e nel bianco
    che la seppellisce parola definitivamente
    e la marchia nel vuoto per restare

    così l’incontro questo pensiero
    in un posto dove si nasce e si cresce
    e lo si annoda alla penna ago di bussola
    che verte in fondo e punta nel profondo
    e chino seguendo leggi gravitazionali

    ché nell’assenza della carta affiori
    un discorso la sostanza dell’inchiostro
    come dal mare un fogliame d’alghe
    come cibo d’acqua rinfoltito al sole
    non pioggia ma mare sacca di vita
    a scandire il verso che cade in fondo
    sotto sotto a sud in un altro solco

    qui la parola resta in fondo alla pagina
    come a forzare l’inizio e il principio
    un rigo che viene per cadere e chiede
    di essere ascoltato scavato a nostra immagine
    e chiuso in limite in chi confida nel finale


    ***

    nella vasca della stanza colata
    nell’umido delle pareti
    sembra che impostata sia
    una nuova respirazione

    si resta all’ascolto del torace
    ai soffi agli spiragli del corpo lasciati aperti
    carambola il vento nelle membra
    come nella casa alle finestre soggetta

    né il cuore ha una sola stanza
    ma io intatta al centro di questa
    ci vivo dentro in apnea costante
    una Dorothy impazzita che cerca aria

    e il polso pencola tra l’aria e l’acqua
    ed è come se non ci fosse
    impegnato nella scelta della sostanza
    nella circolazione inceppata


    ***
    senza pensare mai al nocciolo del discorso
    alla semenza da lasciare prima
    di scrivere una parola
    ma solo alla sua più frugale e sofferta forma

    senza vedere mai se in quella stessa direzione
    è nata una corolla o una spina

    così accade a volte a uno che scrive


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  2. Dimostrano ancora di più la tua versatilità. E come dico: "Ambra ha una potenzialità tale sia a livello verbale che umano, e una vis creativa talmente effervescente che saprebbe distinguersi alla grande anche in un tipo di canto che traducesse la gentilezza esplosiva dell’altra faccia della sua medaglia...".
    Al condizionale, naturalmente, conoscendo a fondo il tuo indirizzo, la tua propensione, che si traduce in una personalissima poesia.
    Nazario

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    1. carissimo,

      ciò dimostra la tua onestà intellettuale e sensibilità critica, che apprezzo e per questo ti ringrazio!

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