mercoledì 30 novembre 2016

AURORA DE LUCA SU "NINO FERRAU' DI DOMENICO DEFELICE"


Aurora De Luca,
collaboratrice di Lèucade

Aurora De Luca su NINO FERRAÙ di Domenico Defelice, Il Croco, Novembre 2016, «Pomezia-Notizie»


Sono belli questi Crochi perché sono animati dalla voce e dalla poesia: dalla voce perché, negli scambi epistolari, si possono sentire anche le inflessioni roche del discorso; dalla poesia perché essa è il centro.
Defelice ha amici che gli somigliano, che come lui amano la terra, che come lui amano la vita e che hanno un profondo naturale rispetto per la poesia e per l’arte. Sono, per questo spirito irriducibile, dei combattenti e degli innamorati: «non si consuma/ di pianto né di fuoco, / ma quando poi sentiamo di bruciare, / la fiamma ci distrugge a poco a poco/ ed è l’amor che insegna a lacrimare».
Sono belli (I Crochi e i due poeti, Defelice e Ferraù) perché non si confondono nel baccano che c’è dentro alcuni salotti e fuori in certe piazze, ma piuttosto fanno come fa la poesia e cioè non si lasciano addomesticare, né comprare, né diminuire, fedeli a quella cosa che non ha mercato. Per questo sono salvi dall’invidia e possono provare veri entusiasmi per i meriti altrui: «Chi mi uguaglia lo sento fratello, chi mi supera lo riconosco maestro».
Domenico rende a Nino un libricino che è un abbraccio fraterno e, nel contempo, «ossigeno per coloro che sono ancora innamorati dell’arte e della poesia». Il mondo cantato da Ferraù è un mondo “pieno di spine e rose” ove regna, seppur non vista, la forza della poesia: «io sono la poesia seppellita sotto la cieca forza del materialismo invadente e che tuttavia continua a rinascere su di esso, come la ginestra sulla lava».
Non può scindersi la dolcezza dalla tristezza, né l’andare dal tornare, come un lento languore rivolto alle cose amate e che non possono essere più raggiunte. Ma Ferraù è una nave che non può stare al molo e che imbarca su di sé tutte le contraddizioni della vita, quelle dell’umano e dello Spirito.
Ho incontrato Ferraù in questo Croco, il direttore di «Selezione Poetica», il poeta delle pietre di fiume, del pensiero sofferto, l’ho incontrato intimamente, nelle passeggiate amicali, negli incontri che non si sa più quanti siano stati, perché Defelice ha concesso al ricordo d’un sodalizio di non essere perso.
La poesia, quella no, non può perdersi né morire.
«Ho letto il tuo volume Canti d’amore dell’uomo feroce e vi ho trovato il mio stesso mondo fatto di tenerezza e di sdegni, di dolcezza e di ribellione, di intimità famigliare e di tormento cosmico» (Nino Ferraù, Lettera del 9 Agosto 1978).


Aurora De Luca 

2 commenti:

  1. Non ho letto "Il Croco"...,ma nella recensione c'è una dichiarazione che condivido fin nelle fibre più profonde-la malinconia del vivere-:"Non può scindersi la dolcezza dalla tristezza, né l’andare dal tornare, come un lento languore rivolto alle cose amate e che non possono essere più raggiunte." Grazie del pensiero.

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  2. La ringrazio Maria Grazia, è un pensiero che è profondamente mio e che sento sempre vero, mi è sembrato ancora più vero leggendo questo Croco. Si dice che dalla poesia non può togliersi certa essenza di malinconia, ma forse è la vita in sé che è così, anche la più gioiosa!
    Val la pena leggere questo Croco (come tutto gli altri, del resto).
    Un caro saluto a Lei e al Professor Nazario che abbraccio.
    Aurora

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