giovedì 17 maggio 2018

N. PARDINI: "LA PIENA DEL SERCHIO"

La piena del Serchio



Piove a dirotto stamani, ed il Serchio
gonfia il suo letto; è già nelle golene,
tra gli alberi che invocano l’aiuto
frusciando melanconici richiami
col loro ciuffo sopra la corrente;
niente risparmia l’acqua inferocita,
tutto porta con sé, alla deriva.
Qui dall’argine l’occhio si spaventa
a mirare la potenza che sprigiona:
le barche sradicate dai pontili
corrono in grembo al grosso defluire,
e ciottoli, tronchi, tavole, e ferraglie
si rincorrono in gara verso il mare.
Mi sposto, e vado svelto a miscelarmi
alla furia spaventosa della foce.
Tira tramontana, se Dio vuole,
fosse libeccio chissà che inondazione.
Qui le melme del fiume si accavallano
con l’onde spaventate
che sembrano opporsi a tanta furia.
Odori di salmastro e d’acqua smossa,
di erbe trascinate contro voglia,
mi invadono narici. E mi confondo
con tutto quel fracasso naturale:
divento un ramoscello in mezzo al mare.

20/11/2017



6 commenti:

  1. Versi che entrano in sintonia con il fragore del fiume in piena, il Poeta Nazario ci chiama a guardare con lui il suo caro fiume gonfio di pioggia e di energia. La potenza seduttiva della Natura che domina il piccolo cuore del poeta, che temerario poiché attratto dal suo magnetismo, va verso la foce per osservare ancora il vigore delle acque del fiume entrare nel mare. Qui si immedesima nelle onde che accolgono spaventate la furia delle acque melmose, ringraziando Dio per il vento nella buona direzione. Nei versi si sente l’odore salmastro combinato all’odore delle erbe strappate e della terra rossa degli argini sciolta dalle acque. E nel finale l’uomo si confonde nel fracasso per sentirsi ancora come un fanciullo in mezzo al mare. Il mare come metafora della vita che ancora una volta colpisce e fa vibrare l’anima sensibile del poeta.
    Una poesia che canta l’amore per l’acqua del fiume e del mare, con abili scarti semantici euritmici nell’uso di endecasillabi ben orchestrati per esaltarne la musicalità. Fino al punto di svolta segnato da un emistichio, “con l’onde spaventate” che apre al finale in cui il poeta si immedesima in quelle onde, e “divento un ramoscello in mezzo al mare”, una chiusa di forte impatto emozionale. Un verso martelliano con accento sulla sesta di ottima musicalità.
    In questa poesia il nostro Nazario ci allieta con abile maestria regalandoci un momento di poesia di impareggiabile bellezza.

    Francesco Casuscelli

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  2. Questa poesia sembrerebbe una descrizione di un fenomeno naturale e invece ne è l’interpretazione, la lettura soprasegmentale e figurata che il poeta offre al lettore. L’equilibrio discorsivo-descrittivo dei primi due versi infatti è immediatamente rotto dagli “alberi che invocano l’aiuto / frusciando melanconici richiami / col loro ciuffo sopra la corrente”. La furia dell’acqua si fa dirompente, quasi apocalittica; certo paurosa e insieme meravigliosa. E anche se è la natura ad occupare tutta la scena, offrendosi alla visione del poeta nel doppio ruolo di agente distruttivo (la furia dell’acqua) e di parte danneggiata (alberi, ciottoli, barche, tronchi,erbe), non bisogna farsi sfuggire la spia semantica dell’ultimo verso (“divento un ramoscello in mezzo al mare”) che immette il poeta (e l’uomo) nel bel mezzo del turbinio degli elementi naturali, lasciando così spazio a un’interpretazione più che plausibile per la quale la piena del fiume alluda al vorticare della vita a cui l’essere umano è dato fin dal suo iniziale vagito. Il primo dato positivo è che, in genere e per fortuna, il “ramoscello” -piccolo, docile e leggero - non affonda; il secondo è che la poesia di Nazario è sempre affascinante.
    Pasquale Balestriere.

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  3. Leopardiana visione di natura matrigna “corrono in grembo al grosso defluire”. Naturalistica descrizione di ossimorici elementi “melme del fiume, e onde spaventate...odori di salmastro e d’acqua smossa”. Tutto invade le narici, confondendosi con il tutto, con il “fracasso naturale”. Simbiotica fusione di musica e di odori, respiri e di rumori. E una parte del tutto si miscela alla furia della foce, un ramoscello galleggiante in mezzo al mare, meta finale comune, di un fiume e di ogni fiume; tutto dipende dal vento, che sia libeccio o tramontana, come dal vento dipendono le nuvole, la pioggia a dirotto. L’occhio si spaventa dall’argine mentre ne mira la potenza, consapevole di non essere al di sopra, non essere più forte. Ma nell’azione del “mi sposto” l’umanità del libero arbitrio, e l’umile grandezza dell’accettazione. Come al solito...poetici insegnamenti senza alcuna retorica. Grazie professore Pardini. Emanuele Aloisi.

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  4. Per quanto la poesia sia sempre la via che ci fa approdare all’universale, non può dimenticare mai le condizioni umane, la nostra vita nel variare dello spazio e del tempo: l’autunno e il toscano fiume Serchio, in questo caso, sempre cari e più volte cantati dall’Autore. Pardini ci propone questa volta una insolita poesia a “portata di sensi”, deliricizzata.( “Piove a dirotto stamani, ed il Serchio/gonfia il suo letto; è già nelle golene..”)La natura non più idealizzata né carica di mito si impone contrastando il nostro desiderio di fusione e di abbandono, si ribella e leopardianamente, ci fa sentire la sua forza, la sua indifferenza, il suo potere che può essere feroce.“Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra? …Quando io vi offendo in qualunque modo e con qual si sia mezzo, io non me n'avveggo, se non rarissime volte: come, ordinariamente, se io vi diletto o vi benefico, io non lo so …E finalmente, se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne avvedrei.” … Il fiume si gonfia, straripa, gli alberi sembrano chiedere aiuto melanconicamente. Le cose nostre quotidiane sono strappate via, le povere fragili cose, tavole, ferraglie, tronchi, ciottoli insieme alle barche ( "la spiaggia d'aride cose, di remi infranti") che ci rimandano a Montale.La foce, il luogo della ricomposizione della pace, non dà sollievo: melme, onde che si accavallano, odori inconsueti di morte, rumori discordi, dissonanti, fracasso…: “l’occhio spaventato”e “le onde spaventate” sono ormai tutt’uno: la foce diventa un luogo luttuoso, irreparabilmente associato alla morte. Eppure conserva una determinatezza fisica talmente integrata con le suggestioni di impotenza da risultare fondante. E’ una specie di approdo disperato a qualcosa che è un’illusione senza rassegnazione; si riconosce a questa naturalezza feroce un potere da accogliere con malinconia confusa e palpitante. L’evocazione di una condizione dolorosa fa trapelare l’ansia interiore in una concezione della natura non epifanizzata: come non sentirsi piccoli, “ramoscelli in mezzo al mare”noi umani così pieni di superbia?.

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  5. È un quadro di potente sinergia descrittiva; è un forte e tenero trapelar d'incanto nell'emotività, indivisa e totalizzante, con la natura.
    Commossa, mi perdo nel suo silenzio, puro e cosciente, come "... un ramoscello in mezzo al mare".

    Un caro saluto,
    Fulvia Fazio

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  6. La visione di un fiume in piena, in questa poesia, non mi lascia la paura di un addio ma la dolcissima tensione di un ramoscello. Non sente alcun pericolo.... nell'immenso. Che bella poesia! Complimenti al maestro Pardini. Miriam binda

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