venerdì 9 agosto 2019

MARIA LUISA TOZZI LEGGE: "I DINTORNI DELLA SOLITUDINE" DI N. PARDINI


Maria Luisa Tozzi legge: I dintorni della solitudine. Di Nazario Pardini


Nell’avvicinare la poetica di Nazario Pardini (che, da umanista,  non ritiene morta alcuna lingua: né greca né romana né etrusca), colpisce l’immediata profondità della parola, il suo  significarsi immanente e diacronico, la sua peculiarità semantica; e si è indotti a quell’indagine semiologica, che non mette confini tra ricordo e realtà, tra affettività e filosofia di vita. Alla classicità si unisce pertanto l’utilizzo di  termini famigliari, idiomatici, in quanto la separazione- del vissuto dalla rimembranza, dell’adesso dal passato  - condurrebbe   ad una pericolosa  solitudine.
 Le parole sono ferme da secoli, ma ereditate nella sacralità dell’azione fatta e detta, nell’intervento amorevole della loro coltivazione. L’attualità che dimentica, il disincanto, dice Pardini, sono  inconcepibili e già sconfitta.
Ecco dunque la tradizione farsi bilancio per il lettore, mentre è deposta  dal poeta nel suo ampio respiro necessario e profetico; lo svolgersi lirico, fiero, robusto, che tuttavia coglie  il tempo, ogni tempo, con o senza rimpianti, fa della parola un romanzo esemplare.
Nell’opera di Pardini le domande sulla solitudine sono superate da tempra e sicurezza; la tenuta versale si arricchisce di lemmi  che trascinano la storia: egli cammina nel tempo senza offenderlo; lo consacra attraverso il rito di voci, ripercorse dentro le azioni, rese compatibili e poeticamente coincidenti con la vita. Il coraggio  del presente  sa entrare in luoghi e tempi diversi, con apparenti antinomie (tra lampi autunnali della fine e  fremiti di fronde primaverili, fra voli di uccelli che chissà dove andranno a morire e loro corse da donare ancora al cielo: fra ferraglie abbandonate e loro ritorno alla lucentezza); sussiste, esule dal ricordo passivo  e nostalgico: il poeta  accenna, sì, al mistero del passato o dell’oltre, ma, irremovibile, sta in leale rapporto con se stesso,  è uomo-aedo  della vita e della natura, dentro una lirica realissima, greca, aulica e melica a un tempo, dentro la pienezza del giorno e della sua parabola, talvolta con angoscia, ma senza voragini.
 L’insidiosa  solitudine dei dintorni,  centripeta, vorrebbe entrare; tuttavia i recinti lirico-esistenziali sono ben costruiti, e concretezza, sottesa razionalità  danno significato a luoghi, fatti, cose di cui ascoltare  eco  o  interrogativi, non all’isolamento.
 La terra “tosca” appare nella sua grandezza umana e storica, aspra e tollerante, concreta e profonda, onesta e costruttiva, mai affettivamente ambigua. Il linguaggio poetico  riporta quello della terra e del mare, che comunicano simultaneamente memorie, suoni, riverberi di un passato nel presente, con apparenti antifrasi, ma assenza  di artifici. Il ricordo non è crepuscolare; è fusione, accordo speculativo e musicale  con l’adesso, a volte dolente, dalle cui vibrazioni si allargano fisicamente e liricamente onde  di silenzi verso altri confini. E la fermezza etrusca, toscana, carducciana, ma anche la bellezza di Foscolo (Vieni a trovarmi nella mia Toscana,/o nella quiete fulgida dei santi,/ o nella ricca terra dei sepolcri), l’interrogarsi metafisico di Leopardi ( Senza capire, e mi tormento,/ quello che fuori esiste; e che mi è ignoto), il candore pascoliano, la parabola delle stagioni di Cardarelli(... per correre sentieri di cannelle/ fra beccheggiare di anitre e pivieri)  sono lampi che abbagliano dall’ ossimoro apparente (perché descrittivo e brachilogico) del lirismo pardiniano.
Il mare, il vento, le battute di caccia, la casa e le sue pertinenze agresti, l’aria assaporata nell’infanzia hanno totalmente impregnato, segnato  la vita del Poeta; sono incancellabili,cioè viventi, tanto che le scontate separazioni affettive paiono non essere dissolte, ma dis-locate, aperte a nuovi cicli amorosi (struggente il lirismo in “Le parole non dette”: Facciamolo da vivi  [ comunichiamo], quando loro/ ti guardano con ansia nell’attesa/di un qualcosa che tu e solo tu/ potrai donare).
In Pardini colpisce la straordinaria, radicale capacità di non slontanamento  dalla vita concreta, che ha da essere – sempre – meritevole; non troviamo in lui un’avvilita crisi  identitaria (linguistica e personale) e  il suo  lirismo trova la contestualità  in un presente, che, pur occasionalmente mesto(Ma a pensarci/ sono tanti i mortali sprofondati/ nelle mie cavità), utilizza la dimensione ottativa, vitale del passato.
Questa struttura umanistica di fondo, elaborata, reificata, che costringe alla rimembranza dei vissuti nostri, culturalmente fragili, conferma che siamo alla presenza di un Grande: il quale ha fatto il giro culturale del mondo, conservando, con forza pudica, il ruolo solido, immutabilmente sacro assegnato all’ uomo.
 E se il suo periplo può  affascinare con Simonide al compianto delle Termopili, con la intuibile lectio rhetorica,con la fiera bellezza maremmana, con la pittura macchiaiola e impressionista; con una lingua antica (attualissima), che ha l’eco del canto delle generazioni, con meraviglia  e turbamento si scopre una poesia vera, non adulterata da  scaltrezze intellettuali o sentimentali: nella coscienza e certezza  nostre  di un teorema, che si dipana con basi liriche , filosofiche e sociali, imprescindibili per il futuro.


1 commento:

  1. Splendida recensione per un Maestro
    Conosco la serietà e la competenza di Maria Luisa Tozzi, adesso conosco attraverso lei, la profondità di un Autore che conoscevo poco
    Grazie a entrambi

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