domenica 11 agosto 2019

CINZIA BALDAZZI LEGGE: "IL BRACCIALE DI PERLE DI VETRO COLORATO" DI ENRICA DONINI


Un racconto duro, forte, etico, sociale, umano, triste e melanconico. Un racconto che ci farà pensare e forse sentire in colpa per ciò che succede mentre noi siamo vacanzieri spensierati. Leggetelo, leggetelo attentamente  e magari piangete per una storia che vi colpirà nel profondo. Esistono, purtroppo, anche queste vicende in un mondo di gioia e di sole, di mare e di luce. Il tutto è espresso in un dire paratattico e scorrevole che non mi sembra improprio definire narrazione poetica. Una scrittura che scivola fluente da un’anima pura, innocente, non ancora viziata dalle aporie del tempo. Un grande, bel racconto!!! Brava alla giovane scrittrice, una vera promessa della letteratura...
Nazario 



DAL BLOG “LA MEMORIA DI ADRIANO” DI CINZIA BALDAZZI:
https://lamemoriadiadriano.blogspot.com/2019/08/enricadonini-il-bracciale-di-perle-di.html

Cinzia Baldazzi,
collaboratrice di Lèucade

Con il racconto di Enrica Donini prosegue la pubblicazione dei testi vincitori dell’edizione 2018 del concorso “Incrociamo le penne”. Con un commento di Cinzia Baldazzi.



Il letto sopra di lei si muove ritmicamente, sbattendo contro il muro di lamiera come un tamburo. Bum-bum-bum-bum-bum.
La vecchia rete arrugginita si lamenta ad ogni affondo, cigola, stride, geme. Geme di dolore, come sua madre. Geme di piacere, come quell'uomo.
Shamoli schiaccia forte le mani sugli orecchi, tiene gli occhi chiusi. Cerca di appiattirsi il più possibile sul pavimento e contro il muro, non deve essere notata, non può fare alcun rumore. Respira a fatica, il suo nascondiglio diventa ogni anno più piccolo e scomodo.
I due corpi sopra di lei aumentano il ritmo, quell'uomo geme più forte, grugnisce. Hanno quasi finito, ancora pochi minuti e lei potrà uscire dal suo rifugio.

È l'imbrunire, Shamoli corre per le strade sporche di Kandapara. La mamma le ha dato alcune commissioni da sbrigare, rischia di arrivare tardi. Quando giunge al chiosco all'angolo c'è la fila, e Shamoli si mette pazientemente in coda.
Ha il fiatone, il fianco le fa male per la lunga corsa e le gira un poco la testa. Le sue mani stringono forte i soldi che la mamma le ha affidato, sono contati e non può certo rischiare di perderli. Ormai ha 10 anni, quella commissione l'avrà fatta un milione di volte e lei è una brava bambina, educata e responsabile. Sa bene che è così, perché lo ha sentito dire ieri dalla mamma alle altre donne mentre erano in coda per il bagno. Lei naturalmente ha fatto finta di non sentire, ma una punta di orgoglio l'ha fatta sorridere. Sorride anche adesso, mentre ci ripensa.
Alza lo sguardo e la bambina in coda davanti a lei le sorride di rimando. Shamoli non l'ha mai vista, dev'essere nuova. È bellissima, indossa un lungo vestito colorato e pieno di perline, il suo viso è dipinto come quello di una donna adulta ed è tutta agghindata. Sembra una principessa. Gioca nervosamente con i bracciali d'oro che porta al polso, i suoi grandi occhi neri guizzano impauriti di qua e di là. Sta tremando, e asciugandosi il sudore dalla fronte Shamoli pensa che forse è malata.
«Ciao, come ti chiami? Io sono Shamoli!» azzarda allungando una mano.
La bambina sgrana gli occhi e si fa piccola piccola. Prima di rispondere lancia un'occhiata alla donna che le sta accanto. È indaffarata a discutere con Faysal il proprietario del chiosco.
«Io sono Hashi» sorride timidamente, e le stringe la mano.
Shamoli nota che ha pianto da poco. Lo sa perché i suoi occhi sono lucidi e arrossati, come quelli della sua mamma al mattino quando prepara la colazione.
È in compagnia di una donna anziana, vestita di un bellissimo sari rosso e oro. Di sicuro è uno di quelli comperati in centro città, lo si capisce dalla buona fattura del tessuto.
Shamoli se lo immagina, il centro città, come se lo è immaginato tante volte: pieno di luci colorate e donne bellissime, e uomini ben vestiti che aprono loro le portiere di automobili luccicanti. Shamoli è una bambina con la testa tra le nuvole, lo sa bene perché sua madre glielo ripete in continuazione.
Viene riportata alla realtà da grida di rabbia. La grossa donna davanti a lei sta litigando furiosamente con Faysal: «Cos'è questa storia dell'aumento dei prezzi? Dimmi un po' ragazzino vuoi forse fregarmi? Ne ho una nuova, qui, che è magra come uno stecco! Me lo dici chi la vuole, ridotta così? Se non la metto all'ingrasso faccio un buco nell'acqua e non me lo posso mica permettere!»
Shamoli approfitta della distrazione della donna per provare a parlare con la ragazzina nuova, è strana ma le sembra simpatica. Forse ha solo bisogno di un'amica. Nelle mani stringe ancora quella di Hashi. «Ehi, stai bene? Il tuo vestito è bellissimo, te lo ha comperato tua madre? È una donna piuttosto vecchia!»
«Oh no, lei non è mia madre! Mia madre... mia madre non è più... lei...»
La grossa donna interrompe bruscamente Hashi, scuotendola con violenza per un braccio: «Ti ho detto di non parlare con nessuno, o sbaglio?»
Quando volge lo sguardo su Shamoli, i suoi occhi cattivi la fanno rabbrividire.
«E tu ragazzina, fatti gli affari tuoi se non vuoi finire nei guai!»
«Madame Asma mi scusi,» Faysal attira la sua attenzione, tentando di concludere l'affare «le prende o no queste pillole? Guardi, non sono certo io che decido i prezzi di mercato, il costo dell'Oradexon è aumentato qui, come in qualsiasi altro bugigattolo del quartiere. Lo vedrà lei stessa se non crede alle mie parole!» Madame Asma lo trafigge con lo sguardo. Shamoli osserva il povero ragazzo che fronteggia la prepotenza della sua cliente con audacia. La donna ritorna alla sua trattativa. Agita il pugno in aria e minaccia il ragazzetto con un grosso vocione rauco nella speranza di ottenere uno sconto. Shamoli le fa una smorfia e veloce come un fulmine infila nel braccio di Hashi uno dei suoi bracciali di perle di vetro colorato. Il suo preferito. Un segno di amicizia.
Quando la donna si allontana trascinandosi via la piccola Hashi, Shamoli le fa l'occhiolino. Si sorridono.
«Di' un po' ragazzina, hai intenzione di fare una brutta fine? Ma lo sai chi è quella lì? Se metti i bastoni tra le ruote a Madame Asma finisci in brutti guai, te lo dico io che lo so! Allora dimmi... cosa vuoi, il solito?» Il sorriso di Faysal scaccia via il gelo che quella donna aveva instillato nel suo cuore. La bambina annuisce felice. Shamoli lo conosce bene Faysal, viene spesso a far visita a sua madre.
«Mi dispiace bambina, ma il prezzo dell'Oradexon è aumentato e con questi soldi posso darti solo una confezione... e ora smamma! Fuori dai piedi che devo chiudere!»
Nonostante tutto Shamoli è contenta. È una bambina ottimista e questo è un dono. Lei lo sa perché la sua mamma non fa che ripeterlo a tutti quanti. Sorride tra sé e sé mentre trotterella verso la stanza che condivide con la madre.

Shamoli è una bambina fortunata e lei lo sa bene. La sua mamma è ancora giovane e bella, e riesce a guadagnare abbastanza per poterla mandare a scuola.
Molte delle bambine con le quali gioca abitualmente per le strade del suo quartiere stanno scomparendo un po' alla volta. Lei sa che non vanno da nessuna parte, semplicemente entrano nel mondo del lavoro. Cominciano a lavorare, proprio come lavorano le loro madri. E le madri delle loro madri prima di loro. Quasi tutte sono nate a Kandapara, come lei d'altronde.
Un po' alla volta “entrano nel giro”, come dice la mamma.
Sa anche che molte ragazzine della sua età sono costrette a lavorare per quelle vecchie signore, le Madame, come vengono chiamate da tutti. Ragazzine come la sua nuova amica Hashi.
Pensa a lei sulla via di ritorno da scuola, e pensa alla sua vita e a quella della sua mamma. Pensa al suo destino.
“...e se domani dovessi lasciare la scuola? Se la mia mamma non potesse più tenermi con sé, se decidesse di affidarmi ad una di quelle Madame?
...e se domani tutto quanto cadesse in pezzi?” La paura le stringe il cuore.
A Shamoli piace andare a scuola, le piace il futuro che le viene proposto tra quelle mura. Un futuro diverso dallo squallore del suo presente vuoto e senza luce.
Lei non lo sa quello che succede alle ragazze, quando arriva il momento di incominciare a lavorare. Quando la sua mamma riceve i clienti e lei si trova nella loro stanza, è costretta a nascondersi sotto al letto. Ai clienti non piace l'idea di avere dei mocciosi tra i piedi quando sbrigano i loro affari. Se la scoprissero se ne andrebbero via, scegliendo un'altra ragazza in un'altra stanza.
Shamoli non vuole certo che questo capiti a causa sua, e allora se ne sta buona buona, rintanata sotto al letto. E quando si ritrova lì, con la testa nascosta tra le braccia, si rifugia nei suoi sogni e scappa in quel futuro che ha imparato a immaginare tra i muri della sua amata scuola.
Sta camminando per le strade di Kandapara, i pensieri nel vento e gli occhi fatti di sole. Sta fantasticando sul suo domani quando accade l'inevitabile, quando la realtà le si presenta davanti con un bel pugno in pieno viso.
All'inizio nota solo un gran mucchio di persone ammassate attorno a un carro. Sembrano tutti profondamente turbati, qualche donna si copre il viso con il velo per non guardare. Si avvicina curiosa e nessuno tenta di fermarla, nessuno la nota, tutti parlottano: «...era una chukri, si è tolta la vita. Che sciocca!»
Hanno lo sguardo fisso a terra, come se provassero una vergogna di qualche tipo. «...no, non ce l'ha fatta... ma sì, si tratta di suicidio!»
Con gli occhi pieni di ingenuità Shamoli continua a camminare. Supera il muro di corpi che la separa dalla verità, dalla crudezza del suo mondo, dall'evidenza di un domani incerto.
La gente mormora, bisbiglia: «Era nuova vero? Madama Asma dici? Ne sei sicura...»
«Shhh! Sei matta, chiudi quella boccaccia!»
Lo spettro del suicidio aleggia tra la folla, la sua disperazione infonde il terrore negli animi, risveglia qualche coscienza intorpidita.
Shamoli si ferma, e per un attimo tutto rimane sospeso nel nulla, il tempo sembra congelarsi. C'è un carro davanti a lei, uno di quei vecchi carri di legno, coperto da un lenzuolo macchiato di rosso. Piano piano i suoi occhi mettono a fuoco un braccio, che sbuca fuori da quel lenzuolo sporco e ricade floscio fuori dal carro. Un braccio, un bracciale... il suo bracciale di perle di vetro colorato. Un brivido gelido le attraversa la schiena, il tempo riprende la sua corsa e Shamoli viene travolta dal suo fluire impietoso.
Cade a terra, le sue gambe esili non hanno retto ed è caduta sulle ginocchia appuntite. Non ha nemmeno sentito il colpo, l'aria sembra essersi addensata e Shamoli fatica a respirare. Un fischio forte riempie le sue orecchie ovattate, gli occhi spalancati sull'istantanea indelebile del braccio senza vita di Hashi. Con una mano si stringe forte il cuore. La vista annebbiata da un oceano d'acqua salata, la bocca spalancata in un grido muto.
Il vento soffia tra i suoi capelli sporchi, sussurrando paure che le nascono nel cuore e le muoiono in gola.
«... e se domani... e se il mio domani non dovesse mai arrivare?».


Enrica Donini è nata a Trento nel luglio del 1991 e vive a Molveno, un piccolo paese tra le montagne delle Dolomiti di Brenta.
«Amo i libri, adoro leggere», spiega la Donini, «e da qualche tempo mi sono avvicinata al mondo della scrittura».
Nel 2017, per gioco, partecipa al primo concorso letterario organizzato nel suo paese, "Molveno, il lago delle meraviglie... e se non fosse solo il solito lago?", vincendo il 1° posto nella sezione Narrativa.
«Considero questa data come una sorta di 'inizio'», prosegue la Donini, «da allora la scrittura si è trasformata in qualche cosa di più di un semplice interesse».
Il bracciale di perle di vetro colorato ha ottenuto il 2° posto nell’edizione 2018 del concorso “Incrociamo le penne”.

commento di Cinzia Baldazzi

Il racconto di Enrica Donini, apprezzabile ed efficace nella sua coesione tecnico-semantica, ricopre perfettamente il ruolo nel ciclo narrativo letterario illustrato da Claude Bremond in La logica dei possibili narrativi: infatti, consiste in un discorso all’altezza di integrare «una successione di eventi di interesse umano nell’unità di una stessa azione». Sempre a parere del grande semiologo francese, esperto di narratologia, dove non esiste successione non scaturisce un racconto: piuttosto, prende vita uno spazio descrittivo, deduttivo, un’effusione lirica e, soprattutto, è necessario esista tra le pagine un’unità d’azione ove siano implicati interessi umani o, meglio, un progetto che dona agli eventi raccontati un senso allargato oltre l’hic et nunc, campo illustrativo della storia.
Ciò accade ne Il bracciale di perle di vetro colorato, dove la voce narrante onnisciente procede sicura sin dalle prime parole, al suono ritmico di quel “bum-bum-bum-bum-bum” che, alle orecchie della bambina nascosta sotto il letto, sembra un gemito di dolore della madre, di piacere dell’uomo-cliente. Poi, appena finito il tutto, all’imbrunire la piccola Shamoli corre sulle strade sporche di Kandapara per adempiere a una commissione. Sì, proprio Kandapara, “la casa-quartiere di tolleranza” più antica del Bangladesh (è lì da due secoli), la seconda del paese per grandezza; venne distrutta nel 2014, in seguito ricostruita con l’aiuto di ONG locali, perché le donne lì nate e cresciute non disponevano di ulteriori rifugi o residenze. Oggi, avendo legalizzato nel 2000 la prostituzione, la zona a luci rosse nella città di Tangala, a nord di Dakha (capitale del Bangladesh), è circondata da un muro: bancarelle di alimentari, negozi di tè, venditori ambulanti, e le donne - o le ragazze - vivono là, nelle stanze, con i servizi igienici condivisi.
Però, l’acquisto affidato dalla mamma alla figliola di dieci anni, dopo essersi messa in fila, non riguarda cibo, né bevande o abbigliamento: la piccola deve comprare una dose di Oradexon, ovvero il Desametasone, un potente steroide usato dagli allevatori per ingrassare i bovini e utilizzato dai protettori allo scopo di gonfiare il corpo delle giovani così da apparire più in carne e attraenti. La bimba, ancora affannata per la corsa, stringe fra le mani il denaro con enorme senso di consapevolezza, in quanto - lo ha sentito affermare dalla mamma alle altre prostitute in coda per il bagno - «è brava, educata e responsabile». Ecco, alzato lo sguardo, scorge «bellissima […] con un lungo vestito dorato e pieno di perline […] il viso dipinto come quello di una donna adulta», un’altra giovanissima davanti a lei. «Sembra una principessa», eppure trema, si asciuga il sudore sulla fronte, «forse è malata».
Il lessico del racconto possiede una competenza discorsiva: tuttavia, il rapporto tra le parole-significato, fuori dalla consuetudine appunto “conversazionale” - direbbe Umberto Eco -, instaura con noi lettori una tecnica letteraria interpretativa, immediata, seria, drammatica: in termini specifici, la Donini riesce a far rivivere un’intelaiatura di presupposti non detti (essendo, in una “logica di senso comune”, inammissibili), piuttosto evocati quando, attraverso i segni scelti per la comunicazione della trama-intreccio del brano, il riquadro aberrante di quei meccanismi lascia purtroppo presumere come essi si concretizzino e si perpetuino.
Shamoli, quindi, incontra la coetanea Hashi, con «il viso dipinto come quello di una donna adulta, tutta agghindata», mentre accompagna la protettrice Madame Asma, pure lei in procinto di acquisire un improprio filtro magico (per rendere accattivante, appetibile la sua “merce”: «Ne ho una nuova, qui, che è magra come uno stecco!»). Asma è una Madame, potrebbe essere un “babu” (fidanzato, protettore, amico), con il ruolo di gestire l’infame traffico di scambio economico.
Ma non è così raro. Ragazze-madri, orfane lontane dal regolare sistema di sostegno, cadono vittima di un mercimonio di vite umane condotto da bande criminali queste ultime superano il confine indiano - in genere Jessore o Benapole - tanto che la polizia ha stimato in quindicimila il numero di donne e bambini introdotti ogni anno clandestinamente in Bangladesh: insieme al Nepal, il paese con il maggior numero di minori coinvolti nello sfruttamento, nella tratta di persone, dell’Asia meridionale. Adolescenti e giovanissime vengono poi anche esportate nelle “sin cities” dell’India, del Pakistan, della Malaysia, degli Emirati Arabi Uniti.
Tra la debolezza e l’abuso dell’autorità, il margine è stretto. Dopo aver protestato con il povero Faysal nel centro-vendita del chiosco, la maîtresse fulmina con lo sguardo Shamoli, colpevole di aver abbozzato un breve colloquio confidenziale con Hashi, sua “proprietà”. Concluso quel rapido contatto, la tenace paladina rientra a casa. «È una bambina fortunata e lo sa bene. La mamma, ancora giovane e bella, riesce a guadagnare abbastanza per poterla mandare a scuola», a differenza di molte amichette del quartiere che, nella precarietà totale, via via scompaiono. Ma lei, fra i banchi della classe, intravede un arco reale oltre il muro, costruendo con la coscienza gli strumenti per scavalcarlo al momento giusto.
La nostra scrittrice, a questo punto, proprio evocando la bimba mentre sogna un destino benevolo (nel timore, comunque, di vederne abbattute le ipotetiche basi da un istante all’altro), se non fosse che coincide con un evento fatale diffuso nell’ambiente, come ricorrendo a una sorta di deus ex machina, inserisce nella trama una vicenda tragica. Queste bambine, quasi fossero protagoniste di una fiaba maligna, anche loro, per sopravvivere, hanno bisogno di eliminare intralci sull’iter percorso: con ogni elemento possibile, da sole, o magari con l’aiuto di un alleato in grado di comportarsi da creditore del beneficiario (la madre di Shamoli). Di frequente, però, l’avversario ha la meglio, e nessuno riesce a infliggere danni tali da isolarlo e ostacolarlo nel colpire in modo ulteriore la vittima. Purtroppo la sventurata Hashi, all’esordio del cammino, senza alcuna negoziazione capace di trasformare minimamente l’antagonista in complice, si toglie la vita prima di aver saldato il debito inavvertitamente contratto.
Nella confusione, per strada, Shamoli si ferma: «c’è un carro davanti a lei […] coperto dal lenzuolo macchiato di rosso. […] Da quel lenzuolo sporco ricade floscio fuori un braccio, un bracciale […] il bracciale di pelle di vetro colorato» che, nel breve incontro con l’infelice bambina le era stato regalato come mezzo di fortuna, di sollievo, per combattere le avversità più crudeli.


3 commenti:

  1. Grazie per la bella attenzione riservata a questa promettente scrittrice. Veruska

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  2. Davvero un'eccellente prova letteraria, questa di Enrica Donini. La giovane e promettente scrittrice possiede la rara grazia di raccontare vicende le più disumane senza moralismi retorici, ma con fredda ed analitica, convincente e travolgente capacità evocativa. E giustamente, da par suo, Baldazzi commenta: "un'intelaiatura di presupposti non detti (essendo... inammissibili), piuttosto evocati quando... il riquadro aberrante... lascia presumere come essi si concretizzino e si perpetuino". I miei complimenti ad entrambe, Enrica e Cinzia , unitamente al capitano Nazario Pardini per avere accolto e superbamente commentato su Leucade,questo prezioso gioiello letterario.
    Franco Campegiani

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  3. Ti sono grata, Franco, per le tue parole.
    Con il brano riportato, hai colto nel cuore del mio approccio critico: in particolare, a quella parte del racconto della Donini dove si elude di rendere esplicite alcune circostanze di base, che rischierebbero di contaminare le due bambine, e l'interpretazione del loro presente-futuro da parte del lettore. "Dicendo" ulteriormente che io ho sottolineato quanto la nostra autrice ha omesso di esplicitare, finalmente hai dato spazio aperto al "non detto", cuore semantico della story.
    Grazie per la puntualizzazione.

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