venerdì 2 agosto 2019

NAZARIO P. PREFAZIONE A "QUANDO FINISCE LA LUCE" DI F. TERRONE



La dialettica dei contrari nel percorso poematico di Francesco Terrone

“Un sogno non muore/ quando è guidato/ da ali d’amore./ Le rondini volano in aria/ alla ricerca/ di piccoli insetti/ che volano anch’essi nell’aria,/ ma il loro volo,/ pur essendo utile,/ è fastidioso e senza speranza:/ finisce/ quando finisce la luce.” (La rondine e la zanzara). Quando finisce la luce, il titolo di questa plaquette editata per i caratteri di Guido Miano Editore nella  prestigiosa collana Parallelismo delle arti. Partire da qui significa immergersi da subito nella profondità del mare poetico di Francesco Terrone. Tutto è legato alla grande luce che la donna amata effonde attorno; un lucore di vita di cui il Poeta vive e si alimenta; la sua fine sarebbe morte, buio assoluto, assenza totale, aridità.      
Poesia morbida, fluente, empaticamente sinuosa, dove il verso, con scarti di semantica adesione, dà corpo a sentimenti plurali e vitali. Tutto è guidato da un senso di armoniche misure, da un tatto di ontologica intrusione; e la vita con  la sua proteiforme complessità concede ai versi i suoi vasti movimenti; le sue più nascoste peripezie; le sue più sentite conflittualità: amore, solitudine, mistero, inquietudine, sogno, eros, thanatos. Ed è dalle contrapposizioni vicissitudinali; dai contrappesi di memoria eraclitea che si sviluppa lo splenetico senso della saudade, della solitudine, dell’inquietudine; è dal polemos degli opposti che nasce e cresce il cuore dell’esserc-ci: giorno notte, luce buio, melanconia gioia. Sono questi opposti che nella loro simbiotica fusione danno il seme al fiorire del canto che richiede fatica e dolore, lavoro ed energia, memoria e potere creativo; quel lavoro che il Nostro impiega nel costruire strutture di varia portata epigrammatica, cresciute in base alle richieste di un’anima tutta volta alla ricerca di se stessa, del suo mondo e delle sue vicende emotive. D’altronde l’Autore, umano tra gli umani, soffre della sua statura terrena, del suo essere precario di fronte a quel tutto a cui aspira, anche nel mistero escatologico del suo  credo: MISTERO: “I misteri della vita/ sono i misteri della fede,/ la fede in un Dio/ che si nasconde e tace./ Più lo cerchi/ e più si nasconde/ un mistero profondo/ anni e secoli,/ che si concretizza/ nel volo degli uccelli,/ nel profumo dei fiori,/ nelle lacrime di un bambino/ appena nato/ che cerca la mamma.”.
       Il fatto sta che l’intendimento è quello di dare energia al canto, di dargli quella potenza che può solo germinare ex abumdantia cordis, dalle forze creative disposte a concedersi a versi di euritmica armonia, dove le scottature del vivere si attenuano di fronte ai ricordi o ad una realtà in cui tornano a galla speranze e illusioni; tutti giochi che si fanno motori di una vita plurale e articolata, in cui persino l’amore può essere un  sogno insperato, un fine inarrivabile, l’ancoraggio ad un’isola che rappresenta  nella sua simbologia l’aspirazione ad un edenico miraggio. Tutti bramiamo in quanto umani una terra sconosciuta, incontaminata, circonfusa da nebbie e da scogli insormontabili, e tutti nei nostri sogni costruiamo castelli ed isole che possano ospitare le nostre inquietudini a ché con la loro aria isolana si mutino in riposi, in soluzioni alle inefficienze del vivere. Ma è sempre il mare, quel vasto piano che si staglia di fronte al nostro orizzonte, quell’infinito protrarsi di cielo e di acque, che ci dice della nostra miseria, della nostra caduca permanenza. Andare là, oltre l’infinito, oltre il limen che ci delimita, è l’intenzione della natura umana. D’altronde siamo miopi di fronte al tutto, non abbiamo una vista adeguata per scavalcare tanta estensione. Possiamo avventurarci coi nostri mezzi esigui in tanta infinitezza disumana, ma non  è detto che non ci imbattiamo in  scogli tanto aguzzi da scassare l’imbarcazione che tiene le nostre passioni, i nostri sentimenti, le nostre memorie. Sì, potremmo continuare con una tavolaccia insicura, rimanenza di un naufragio, ma la navigazione e l’ancoraggio all’isola sperata si farebbero sempre più incerti. Tutto questo marcato di metaforicità e di iperbolico simbolismo sta nella silloge di Francesco Terrone. Un dispiegarsi di emozioni che tocca ogni angolo del vivere: Melanconia: “Senza di te/ ho un vuoto/ che mi calpesta/il cuore,/ mi giro e mi rigiro/ Abbraccio il cuscino/ e penso a te;/ la notte incombe,/ una lacrima/  silenzio fatto/ per pregare e ricordare/ i momenti più belli/ che hanno riempito/ la corteccia  nel vento/ della nostra dura esistenza,”, dove il ricordo dei giorni più belli può lenire il tragitto della dura esistenza. I versi si fanno brevi e concisi, il dire apodittico, dove a  volte un solo verbo è sufficiente a se stesso; la brevità e la incisività della versificazione sono indici di un cuore che segue in maniera impulsiva la vicenda emotiva. Ed il metro di natura ipotrofica si adatta agli effluvi emozionali dell’eros: Amore: “Per te/ percorrerò i passi più ripidi/ di una vita già fatta/ di pesanti fardelli,/ pesanti giganti d’aria./ Per quello che mi darai,/ sarò la gioia di sogni,/ di un’estate di mare e vento/ che non avrà mai fine,”, dove il sentimento dei sentimenti apre scenari futuri di “estati di mare e  vento/ che non avrà mai fine”. Anche se non mancano contrastanti passioni a interrompere il cammino di un amore puro e generoso: VELENO: “Hai calpestato, come un elefante,/ i miei sentimenti./ Hai distrutto tutto./ Come una casa in fiamme/ hai lasciato macerie e rovine:/ un uragano di veleno/ in balia di una vita/ scavata in trincee/ su campi minati.”. ANGELO E STREGA: “Ti penso sempre/ anche se dolcemente/ mi abbandoni,/ ti allontani silenziosa/ con il tuo sorriso/ di angelo e strega”. Una conflittualità che tanto richiama i catulliani versi di amore e odio rivolti a Lesbia.
Insomma un vero canzoniere erotico dedicato alla donna amata cagione di scosse forti e altalenati, dove le emozioni si susseguono su uno spartito di note musicali che tanto richiama notturni e melanconie di chopiniana memoria. Ma si può comunque aggiungere che gli stati d’animo dell’Autore si ampliano ad una visione più larga della vita. Tanto che l’abbraccio all’esistere per il Poeta è essenziale, determinante; c’è infatti in questa silloge un profondo ed emozionante afflato all’esser-ci fino a farsi leitmotiv, fil rouge,  tema conduttore che dal sottofondo fa capolino per tradursi in vera filosofia, in  epistemologico pensiero. L’Autore è cosciente di esistere, di avere beneficiato di una opportunità irripetibile, e fa dell’amore e della luce la strada maestra della sua instancabile ricerca: IL BELLO DELLA VITA: “Il bello/ educa il cuore,// così il silenzio/ educa la vita.”.
E il discorso si fa più generale fino a toccare i vari ambiti: VANITÀ: “Dirigo il mio cuore/ verso valli prive di luce./ Non vedo il sole/ perché temo di perderlo;/ non vedo angoli di muri/ ove si nascondono anime dannate;/ non vedo nudi fili di seta appesi a grondaie/ di case annerite dal tempo;/ non vedo canne fumarie di forni/ che bruciano i figli della storia;/ non voglio vedere il mondo/ perché è posseduto da un male che ormai/ non si nasconde più…”. NOTE DI STELLE: “Briciole di verità rantolano nel buio/ della mia solitudine./ Il gallo canta, il sole sorge,/ il giorno razzola nel tempo/ la sua esistenza./ La gente veglia gli attimi di vita/che l’energia dell’anima/ permette d’esistere/ mentre tu, luna,/ brilli nell’universo/ e canti note di stelle/ che vivono/ nell’intero universo.”. Lo sguardo del Poeta si allarga ad orizzonti senza fine; si immerge nella infinità dell’universo, col rischio di sperdere la sua identità, la sua tristezza in tanta energia naturale; e non è detto che voglia proprio trovarvi quella panica fusione per una eventuale quietudine esistenziale. Non è raro infatti assistere a composizioni in cui la natura si fa soggetto ispirativo; ed è ad essa che Terrone affida tutto se stesso rendendola interprete dei suoi pensieri in una confessione spontanea e di intensa liricità: AMO TE: “Mandami un po’ di sole” in questo grigiore di luce e parole./ Amo le stelle, ma…/ sono corpi celesti/ che abitano lontano;/ amo le acque del mare, ma…/ sono torbide e fredde;/ amo la luna che spia la notte,/ amo te/ che percorri viaggi immensi/ in fondo alla mia anima.”: sole, luce, stelle, corpi  celesti, acque del mare, luna, notte, sono tanti corpi naturali che rivestono i sentimenti del Poeta facendosi concretizzazioni del sentire.   
E anche se si alternano momenti di quiete e di melanconia, anche se il Poeta dà il via a tutte le soluzioni di un amore  non sempre corrisposto, pur tuttavia a dominare e a reggere il tutto sono i sogni della vita; quei sogni che alfine si fanno contenitori delle nostre possibili inquietudini:  I SOGNI DELLA VITA: “Perché mi abbandoni,/ mi lasci solo/ a contemplare/ un fiore che nasce,/ un fiore che muore, tu…tu…/ germoglio di donna che canti/ affidando al vento/ le tue parole cariche d’amore,/ sussurra al mio malinconico vivere/ il profumo caldo/ della tua pregnante giovinezza.”.

Nazario Pardini


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