sabato 2 novembre 2019

M. GRAZIA FERRARIS LEGGE: "ASFODELI" DI A. DE CARVALHO MASI


Adriana de Carvalho Masi- Asfodeli


Maria Grazia Ferraris,
collaboratrice di Lèucade

L’ultima raccolta di poesie di Adriana de Carvalho Masi ( Asfodeli, ed. Europa )comprende 68 poesie che l’Autrice dispone in rigoroso ordine alfabetico, rinunciando volutamente ad altri criteri  espliciti di titolazione, estensione, scelta o di classificazione tematica. Una scelta originale che induce a riflettere, quasi la Poetessa non volesse stabilire né una gerarchia cronologica/ storica  né una gerarchia tematica, e tantomeno stilistica, il che permette al lettore di fare individuali scelte di lettura, di seguire le  proprie preferenza,  di gusto e di stile. Una scelta libera e coraggiosa.
Eppure  una spia che possa articolare la nostra lettura c’è, a cominciare dal titolo: Asfodeli (al plurale), i fiori della vita oltre la morte, titolo che infatti la Poetessa  spiega e commenta  efficacemente in quarta di copertina: “ Ho chiamato questa silloge Asfodeli da un verso in una delle poesie. L’asfodelo è pianta ricercata e particolarmente utilizzata anche nell’antichità, associata alla vita dell’aldilà con duplice valenza: rimedio per i vivi e anche per la vita ultraterrena….”.
Il tema della morte infatti compare con prepotenza in questa silloge: quello della guerra, lontana, la seconda guerra mondiale, gli anni del 1940-45,  che l’Autrice ricorda in modo vivido :
la seconda sirena!/ la bottiglia dell’acqua/la coperta, la borsa dei soldini/ Stai attenta ai gradini”.
È il ricordo dei bombardamenti, dei rumori tragici  delle esplosioni, delle scale buie e paurose alla ricerca del  rifugio antiaereo, in braccio alla mamma, desiderosa di normalità e dei propri giochi quotidiani (la bambola, il pinocchietto, le matite, il libro dei colori…)
Il racconto si dipana preciso nelle pause e nelle alternanze delle paure e delle speranze della protagonista, fino alla sperata liberazione finale:
 “ la nostra casa è lì, solida e bella… qualcuno disperato piange e invoca / mi abbraccia la mia mamma. Ci inginocchiamo e ringraziamo Dio.”.
A tale andamento rievocativo- narrativo si rifanno altre poesie calate nella drammaticità disumana di quei momenti tragici, ad esempio:  Com’era brava Miriam! …Una storia  legata al dramma ebraico, alla disperazione di chi cerca rifugio in una soffitta generosa per sfuggire a rastrellamenti e morte, eppur si presta a lavorare, a provvedere a sé col cuore in tumulto…fino al momento catastrofico finale:
 “ sulle brande sfatte/ pezzettini di stoffa colorata/ creavano un disegno / il rosso scuro, marcio, dominava / a terra, rotto, il libro di preghiere”. Momenti incancellabili che hanno segnato la crescita della bambina che sarà la poetessa di oggi, facendone una donna con valori sicuri, ricordi  indelebili, che la grande capacità di sintesi sa rendere commuoventi nella dolorosa e mai ridondante  forza rievocativa. Una scelta di emozioni, sentimenti, modalità espressive che si ripresentano anche nella rievocazione di momenti più vicini ma altrettanto tragici, come il terremoto (del 2016 di Amatrice, Accumuli, Ascoli Piceno), che ci viene narrato per immersione in quella vitalità dirompente, anarchica, senza freno e disperante, quasi  il terremoto diventasse  protagonista autonomo di una vita imprevista e drammatica:
   si sveglia bruscamente,/fuori dal sonno stira gambe e braccia./ Dapprima lentamente, sospirando/ ai massi sovrapposti le unghie aggrappa/ s’inarca la squamosa gobba/ la pazza corsa inizia..da una vallata all’altra in cerchio/…spaccando il travertino/… tremano le montagne… /vite spezzate, tonfi, silenzio/  ricordo di civiltà annientate.. Mai più certezze di case/ mai più certezze della terra amata/…perfino al camposanto le pietre son divelte/, perfino là il silenzio fa paura”
Ma è ancora morte, quella dello spirito, la protagonista  del nostro tempo , superficiale immemore vivere quotidiano,  ( Bambole sempre giovani….Bello, ho mangiato bene…) , è morte della natura violata… gli animali impazziti (“i gabbiani di posano sull’acqua/ come fiori sulla tomba comune:/ e garriscono una musica triste/ che un grande pesce inghiotta il dolore/ e si chiuda il cerchio dell’indifferenza”), perfino quella delle cose che si sgretolano seguendo il destino comune (“ogni giorno si sgretola un mattone/..arroccato nel crepaccio di un muro/un alberello stenta la sua strada”)…
E a suo modo, allargando il cerchio del vedere e del sentire  è ancora la morte dell’umanità insipiente, “sopravvissuta, che odia il mondo svuotato di pietà”, che riduce l’umanità a “ creature di cemento”  che fa sentire la sua drammatica voce, quella che  vive di egoismi, di ingordigia, non vede più i mali sociali che urlano la disperazione , non sa cogliere il dramma delle angosce senza riscatto, i deliri dell’umanità, le sofferenze sociali.
Il mondo è ostile, indifferente, l’umanità smarrita:
“il muro di gente avanza compatto/calpestando le spighe./Disperata la piccola quaglia/ avvolge tra l’ali/ i suoi piccoli implumi tremanti/ nell’attesa dell’inevitabile impatto finale.”
Assistiamo nel proseguo a una maturazione dell’ars poetica, a una consapevolezza  nuova nella scelta della parola poetica e del suo ritmo. Una meditazione nuova, pregnante ,consapevole, sicura. Il nuovo ritmo della parola poetica fa nascere così  le incisive bellissime poesie brevi.
“Carta e parole si macerano/ nell’acqua/ vaghi pensieri rimangono/ sospesi nel tempo/ impressioni sfuggite/ al bailamme ingiurioso/ della vanità”
 La poesia si fa portavoce ed  espressione di un pensiero stanco ed indignato, balenante, stremato, di estrema efficace  sintesi:
“Sparano, la fuori,/ ai conigli/ alle quaglie/ alle pernici./ Sparano per gioco/ per sentirsi qualcuno.”
La meditazione sconsolata assume un valore universale:
“ Mi chiedo quante eclissi ci perdiamo/ che la notte e le nuvole nascondono/ e quante cose non vediamo/ che la vista insufficiente non distingue/ e quanto amore non assecondiamo/ che la coscienza assopita non rileva”.
Fanno irruzione il tempo, la storia e la memoria: i motivi intriganti di questa poesia che fatica a credere a se stessa, al pensiero poetante che non perde lucidità: l’uno che cattura l’altro, confondendo i confini, i ritmi, i colori, la musica, i significati…. ,chiedendosi e dandosi reciprocamente conforto nella distinzione sempre più difficile, fino a non sapere più come dipanarsi e ritrovare la propria individuale storica verità. Domande inquietanti:
“Che cos’è il tempo?/ il tempo per che cosa?…di te conosco/ l’intensità del momento…/parole non dette, silenzi e rabbie/ dell’attimo sfuggito…
La pergamena delle rimembranze….le reliquie della storia….che ne sarà della Memoria?”
E poi compare, mai esibito,  il canto personalissimo, individuale che non può non farsi strada nella mente commossa e nei sentimenti più profondi. Qua e là balenano con pudore, quasi reticenti  cenni di vita privata, strettamente personali, affettivi, preziosi:
“…com’è fredda la neve/ quando gli anni son tanti/ e scende sulle croci/ di chi non viaggia più/ con me”…. “..le dita sfiorano veloci la tastiera/ che non sprigiona musica/ ma imprime fredde lettere/ senza personalità/ per  la schermata che tu riceverai,/.. senza la mia firma o un segno/ che ti conferma  il mio amore.” E la ribellione dolente:
“Mandami una lettera/ scritta di tua mano/ nella busta che anticipi il mittente./ E ch’io la stringa al petto!…mandami una lettera vera/ che abbia il tuo cuore nella penna/ e che non le nasconda, le emozioni…”
Eppure  l’illusione, la speranza, pur così messa alla prova, nonostante tutto, riesce a  rinascere.
“Dimmi che è rimasta/ una zolla di terra nel mondo /senza sangue di guerra/o macello di povere bestie…”
“….Allora l’hai capito?/ è proprio lì nel ritmo la nostra soluzione./ tu coi tuoi balli, io stonato e inconcludente/ ognuno col suo passo/ e tutti con passione/ avvolti nella musica di una stesa canzone.”
“….In circolo, le mani allacciate,/ abbracciamo la quercia gigante/ del mondo di pace/ che ascolta la nostra canzone/ e guarda benigna/ il girotondo di mani colorate.”
Grande pietas in questa poesia così segnata dal tempo. Messaggi sobri, ma sicuri, come lanciati in una bottiglia, perché l’umanità finalmente  li raccolga. Grande desiderio di chiudere positivamente il bilancio della vita, in un quasi  autoritratto conclusivo che serva da monito:
“Ti insegno l’infinito di verbi/ che non so più coniugare/ perché il passato è scritto sul sentiero/ cosparso di sterpaglie,/ il presente è una cacofonia assordante/ di suoni ed interessi/ incollati in costumi di cartapesta,/ e il futuro frusciando avanza/ nello spiraglio dell’incerto passaggio/ a momenti infiniti sconosciuti”.

Maria Grazia Ferraris 
Gavirate 29.X-2019

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