lunedì 8 marzo 2021

NAZARIO PARDINI: PREFAZIONE A "OLTRE I CONFINI DEL PENSIERO" DI EMMA MAZZUCA

Lirismo d’inverno

 

Lirismo d’inverno, un bisbigliare di cespi,

quando prossima è già la celere partenza;

sinistri accenti di malinconici canti

che, al vespro, enunciano abbandoni.

 

Immagini dei miei sogni sepolti

nella tomba stessa di un colpo fatale.

Carità veronica di sconosciute regioni

dove a prezzo d’etere si lascia la vita.

 

Guardando l’aurora andrò via piangendo;

e mentre i miei anni si andranno piegando,

curverà tralci il mio solerte percorso.

 

Nel gelido crisma di luna agognante,

con marchi d’acciaio in terra indolente,

- ululando – i cani scaveranno un addio.

 

Iniziando da questa poesia testuale si può entrare fin da subito nel mare magnum della poetica della Mazzuca. La forma si fa aderente ad un animo in continua ricerca della verità, del sogno; le parole si fanno ardite, scorrevoli, senza tregua per una confessione estemporanea e diretta. Si può senza dubbio affermare che la poetessa è in piena sintonia con il suo animo che chiede una confessione immediata, senza ripensamenti o dubbi. E la parola, il sintagma, il fonema si fanno compagni di una emozione che affida loro il compito di reificare gli impatti emotivi. Ci colpiscono da subito le impennate creative e le invenzioni verbali della Mazzuca:  bisbigliare di cespi, sinistri accenti di malinconici canti, enunciano abbandoni, sogni sepolti, colpo fatale, i miei anni si andranno piegando, luna agognante, terra indolente, i cani scaveranno un addio.”. Un linguaggio di grande iconicità visiva, dove le parole nelle loro euritmiche iuncturae ci dànno il senso di uno spartito complesso  ed armonioso. Ci colpisce anche il sentimento di spleen o di malum vitae di cui la Mazzuca è preda.      

Oltre i confini del pensiero, il titolo, che, con grande impatto emotivo è teso a reificare sentimenti e pensieri sulla vita, il suo travaglio; su tutto ciò che comporta riflessione e emozione, illusione e delusione che sono i cardini portanti del nostro esistere. E “La vita è un’attesa continua e, per riprendere una celebre frase di Victor Hugo, «Rêver, c’est le bonheur; attendre, c’est la vie», «Sognare è la felicitàaspettare è la vita» (Le Feuilles d’automne). Sì, tutta la vita è una attesa di un qualcosa che non arriva mai, una leopardiana verità che lascia l’animo amaro. Aspettiamo sempre ciò che tarda, che non dà piena soddisfazione, forse perché il tempo dell’attesa è stato troppo lungo. 

Ibi omnia sunt: il sogno, la realtà, le memorie, i propositi, l’amore, la sconfitta e la rinascita. Proprio tutto della vita e dei suoi segreti nascondigli. La poetessa compie un viaggio, una traversata, in  mari a volte in bonaccia altre burrascosi, pieni di scogli e di trabucchi, in cui è facile perdersi o sfasciare la barca prima di giungere all’isola  agognata, all’isola della quietudine. Navigare  il sogno della poetessa, andare, viaggiare, senza tregua, forse per ovviare alle sottrazioni della quotidianità. Andare oltre i confini dei nostri orizzonti, oltre le colline, i mari, alla ricerca di un bene dimenticato, di figure e volti che sono scomparsi lasciandoci dei vuoti che fanno male. Forse è la memoria che può sopperire a tale sottrazione, riportando alla luce fatti e storie che tanto ci rappresentano. D’altronde la vita è un percorso breve e articolato, durante il quale ci lasciamo alla spalle episodi che parevano indistruttibili. Ora che tornano alla  mente ci commuovono e ci lasciano un cuore gonfio di saudade, di nostalgia, di riflessione, anche, sulla durata di una esistenza che fugge lasciandoci incapaci di reagire a tanta voracità: “… E se almeno sapessi che potrà tornare;/ se sapessi in quale domani verrà a riportarmi/ le vesti pulite, quella mia lavandaia dell’anima!/ In quale domani varcherà la porta appagata/e felice di dimostrarmi che può/- e come non potrebbe! –/sbiancare e spianare tutti i miei caos.” (In quale domani?). Sì, tornano a memoria episodi che pungono e ci fanno soffrire per non avere fatto o detto a suo tempo frasi che avrebbero alleggerito il cuore: Settembre In quella notte di settembre/ fosti  così buono per me…fino a dolermi!/Io ignoro il resto; a quel fine non dovevi essere paziente, non dovevi./Quella notte gemesti nel vedermi chiusa,/ forte e addolorata./ Io ignoro il resto; a quel fine non so perché/  fui infelice…tanto infelice!/      In quella soave notte di settembre/ guardandoti compresi tutta l’essenza di Dio/ …e ti fui amabile!/E fu ancora una notte di settembre/ che da una vettura…”. Ma c’è sempre l’amore, gli affetti, il calore, la vicinanza che frenano il nostro ardire, riportando pace e serenità, come scrive Van Gogh al fratello Theo, “I mulini non ci sono più, ma il vento è sempre lo stesso. Quel vento che ci rende umani, consapevoli del fatto di esistere in un mondo in cui le persone care coi loro affetti ci rendono felici di vivere in questo spazio ristretto. Se è vero che “la poesia è qualcosa di oscuro che fa luminosa la vita (Pasolini)”, è “un viaggio nell’ignoto (Majakovskij)” e “non è poesia se non racchiude un segreto (Ungaretti)”, è pure vero che ci libera da patemi che abbiamo dentro e che non vediamo l’ora di  esternare, perché, come scrive T. S. Eliot in East Coker, nel secondo dei Quattro Quartetti: “C’è un tempo per la sera sotto la luce stellare, un tempo per la sera sotto la lampada accesa, (…) L’amore è ancora più di se stesso quando qui ed ora perde d’importanza.”: E qui l’amore sembra dominare la scena, un amore totale, plurale, per tutto ciò che riguarda la Nostra: l’uomo, la natura,  gli affetti, i cari, le memorie, anche, che riportano giorni e ore di un passato lontano, di primavere che parlano di vita: “…In questa notte piovosa,/ già lontana da entrambi …sobbalzo…/sono due porte che si aprono e si chiudono/due porte che al vento vanno e vengono/ombra a ombra.” (Ombra a ombra). Forse chissà anche dopo la morte: “Sono sola al mondo/ e non c’è un’altra me,/sei solo al mondo/ e non c’è un altro te,/in noi c’è un amore unico, amico mio caro,/fino alla morte, fino alla fine.// E poi ancora dopo la morte.”. Tanta spiritualità si fa portatrice di un messaggio che ci coinvolge e ci dà la voglia di vivere con in cuore una fine che non è mai fine. Anche la vicinanza a Dio, allo spirito contemplativo, ad un credo di forte impatto esistenziale fa di questa silloge un sano affondo spirituale, che rende ancora più escatologico il mondo della Mazzuca: Ascolto: “Ascolto, ma non so se ciò che sento/è silenzio o Dio. Ascolto, senza sapere/se sto udendo risuonare il vuoto delle piane/o la coscienza accorta che nei confini/ dell'universo mi decifra e imprime./ A stento so che cammino/come chi è ammirato, amato e conosciuto/ e per questo in ogni gesto appongo/solennità e rischio.”.

Un credo che trova la sua consistenza nell’amore per la Natura, che si fa concretizzazione di forti stati emotivi. Ogni suo angolo  è vissuto come bellezza divina, come voluto dal Cielo, per cui tutto è metaforico, tutto è simbolico, tutto è cristallizzazione di emozioni nei tratti del Creato:

 

Il tuo nome

Mi lasciasti infuocata di carezze

in un luogo senza domani;

ora spoglia di emozioni

vestita solo della tua mancanza

ti regalo il mio silenzio

pugno di vento che sibila il tuo nome.

 

Una silloge complessa, articolata, proteiforme che divisa in tre sezioni (LA VOCE DELLO SPECCHIO, TEMPUS FUGIT, I GORGHI DELL’ANIMA) ci dà una completa visione del rapporto dell’essere con le diverse fenomenologie della realtà:

Natura, Dio, esistenzialismo, eros, e vita.

Nazario Pardini

 

 

 

                                 

 

 

 

   

     

 

 

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