mercoledì 9 novembre 2022

FRANCESCO ROSSI: "SCORIE D'ESPERIENZA"- Guido miano

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GUIDO MIANO EDITORE

NOVITÀ EDITORIALE

 

È uscito il libro di poesie:

SCORIE d’ESPERIENZA di FRANCESCO ROSSI

con prefazione di Floriano Romboli

 

 

Pubblicata la raccolta poetica dal titolo “Scorie d’esperienza” di Francesco Rossi, con prefazione di Floriano Romboli, nella prestigiosa collana “Alcyone 2000”, Guido Miano Editore, Milano 2022.

 

 

Dare un senso alla vita: il coraggio, la fatica e la rabbia di un poeta

 

Si ritiene generalmente tramontata l’idea, legata in special modo alla stagione estetica e critica del Romanticismo, secondo la quale l’arte coinciderebbe con l’immediatezza intuitiva, farebbe tutt’uno con la schiettezza e la spontaneità fantastico-sentimentale, e sarebbe tanto maggiormente coinvolgente e riuscita, quanto meno appesantita da ingombranti bardature intellettualistiche, quanto meno subordinata a estrinseche finalità ideologiche, ad astratti presupposti culturalistici.

A ben vedere da sempre la poesia è sublimazione di cultura, frutto di attenta elaborazione stilistico-formale, occasione privilegiata per un confronto ponderato e sollecitante con figure e opere della tradizione storica e letteraria coeva o passata, momento impegnativo di una aemulatio rivolta alla precisazione di un nuovo punto di vista, alla prospettazione di opzioni ideal-problematiche diverse.

Infatti non casualmente la prima sezione della raccolta consiste nel richiamo sistematico a titoli della produzione lirica di Pier Paolo Pasolini menzionati nella loro specificità referenziale, da Le ceneri di Gramsci (1957) a L’usignolo della Chiesa Cattolica (1958), da La religione del mio tempo (1961) a Poesia in forma di rosa (1964) a Trasumanar e organizzar (1971); a Francesco Rossi lo scrittore di Casarsa appare intimamente contraddittorio, diviso fra il rigore della razionalità argomentativa e la passionalità immedesimante, istintivamente e vivamente partecipativa: «…/ In teatro strenuo s’esibisce / il voler che il viscere lacerato, / l’intelletto e il sentire rappresenta. // Vasta delle esistenze la distesa, / il brulicare di vite e passioni / onde il cerebro la tragedia incarna. /…» (A miglior vate le ceneri…).

Soccorrono dei versi compresi nel poemetto eponimo del primo libro pasoliniano rammentato poco sopra: «Mi chiederai tu, morto disadorno, / d’abbandonare questa disperata/passione di essere nel mondo?» (corsivo mio, come sempre in seguito); il nostro autore vi si richiama esplicitamente («…/ Disperata vitalità s’afferma / il valore del personale obiètto, / onde nell’Inferno / si brucia e perde / d’autostrade e di città degradate, / burelle orrende al brulicare ostesse. /…», Trasumanar in forma d’inerte rosa…) e ne fa spunto per un interessante approfondimento della contraddizione alla quale si è fatto cenno: Pasolini è testimone invero vigile («…/ ma nella condizione fuor di speme / s’assedia al proprio tempo il Testimone, / scontrosa erma di corrucciato orgoglio / contro il reo disperdere armonia», La religione del tempo), non nasconde la propria forte vocazione pedagogica: «Smania il Poeta di parlare al mondo, / di raccontare, di offrire se stesso, / a un contesto sociale di valori! // Religioso oscuro cerimoniale, / lugubre cattolico sensuale / per l’ossessione di barocca tinta, / involve ìtere d’Ideologia, / dai riti della tradizione avita, / attraverso la colpa per il vizio, / fino alla scoperta d’agito Vero. /…» (L’usignolo che stonato canta…); nondimeno approda infine a una condizione di disorientamento, di ripiegamento etico-intellettuale, di scacco: «L’abiura scocca come al giovanile / errore, al mondo perso d’ideali, / belle bandiere per sempre vanite. // Rimorde allor l’oratoria all’impegno, / trasumanar organizza l’esistenza, / flusso che non s’arresta al personale / d’occasioni e d’incontri all’abbandono, / polemica riflessa condizione / di qual difficile uman sia salto» (Trasumanar in forma d’inerte rosa…, op. cit.).

Anche la riflessione sulla passione, sulla morte e sulla resurrezione del Cristo è svolta da Rossi sotto il “segno della contraddizione”, ricondotta fin dall’inizio alla duplice natura – umana e divina – del Redentore; l’ultima fase della vita di Gesù è seguita con interesse e ammirazione in componimenti caratterizzati da un maggiore respiro narrativo: «Primo caso dell’animo divino: / lo spirito umano incespica in dosso / di debole resistenza all’errore, / errare in qualità di pellegrino / verso il sacrario della sofferenza, / Gòlgota pei tormenti della carne, / non per rinunciare alla divinità. // Un sentiero intricato di minacce / è quel che fa da scorta al condannato, / salutato da beffe e acclamazioni: / “Chi sarà questo re che il boia serve, / che porta gli arnesi del mestier truce, / il legno non piallato della colpa…”» (Cristo cade la prima volta).

La vicenda del Salvatore implica la determinazione di un gioco di forze contrastanti e soprattutto si risolve in un rovesciamento delle precedenti, consolidate tavole di valori: «…/ Stoltezza per i sapienti e sapienza / per i fedeli nell’ispirazione / del muto ostendere assenza di nuovo / prodigio dell’indeterminazione, / di quanto il silenzio sorpassi il tempo / e lo riduca a norma di passione / per specie d’intelligenza in azione! /…» (Cristo cade la seconda volta). L’ultimo corsivo sottintende la sottolineatura di un concetto ben focalizzato dallo scrittore nella sua rilevanza basilare: il sacrificio del Figlio di Dio, meditato altresì alla luce del formulario del latino sapienziale («…/ nomine ex salute totìus mundi, / spiritu ex Uniusgeniti rege. /…», Cristo crocifisso), ha consentito la via della salvezza; tuttavia può solo valorizzare, ma non sostituire la positiva cooperazione individuale e collettiva degli uomini celebrata mediante il ricorso all’antitesi “buio/luce”: «…/ Ecco, sulla croce Vittima asperge / del suo sangue e il carnefice immerge / nel bagno lustral della confessione, / lavacro spirituale di Umiltà / che ciò che salva l’uomo è la Verità, / il mistero della Nuova Libertà / quel miracolo mostrato d’ovvietà, / disarmata docile insegna Vita, / lume che arde quando il sole si spegne / sulla Terra d’esperita identità / di ragione, che a sé prova domanda / e si rimette al dubbio dell’assurdo, / tenebra che splendore d’astro schiude» (ivi).

Come credo che risulti pur dalle limitate citazioni proposte, i testi compresi nella silloge Scorie d’esperienza sono contraddistinti da un linguaggio cόlto e ricercato. Ne è indizio palese innanzitutto l’aulicismo lessicale quale, ad esempio, si riscontra in passi come questi: «…/ Nel poema coevo religioso / mòlce la purezza della Natura, / incontaminato animo a passione / …» (La religione del tempo, op. cit.); «…/ non per contesa rivolta a uno stupro / santificata con sangue ferace / che alla fauce sconta la sua preda, / ma perché s’assida senza cesura / di plasmata vicenda in funerale / la trasposizione della Verità / in iconòstasi di celebrata / tra primordia in deposta deformità /…» (Cristo cade la terza volta, cors. nel testo); «…/ Il cristallo dell’azzurro non si apre / al miracolo del senza confine, / pèlago d’acquòrea indistinzione / in spazi colorati d’opinione / perché le fughe della prospettiva / sono una benché misera attrattiva / al pensiero che tenta di scalare / le cime in precipizio ascensionale…» (Il cielo della Marca); «Tutto quanto è tornato come prima: / che qualche avanzo di liberalismo / sfiorisse pria del suo rigoglio / e fosse obrùto dalla reazione / di mastini addestrati alla battaglia. /…» (Grazia privata, cors. nel testo); oppure lo attesta una sintassi non lineare, rallentata e icasticamente tesa dall’anastrofe o dall’organizzazione nominale del discorso lirico: «…/ repentina vicenda di conquista, / rivoluzione di costumi regi / svirilizzati al dominio dei servi / ribelli a dell’eleganza autorità. // Sotto il lucernario della memoria / una fiaccola flebile il silenzio / accende d’ombre…» (Decadenza infra la storia); «…// Stinto l’incanto del nativo mondo, / luminosi paesaggi, figure / di natura e umane specie solari, / ma anche inquietanti forme minacciose…!» (Predicatore visionario).

Vorrei d’altra parte porre in risalto la vivace inventività linguistica connaturata allo stile compositivo del poeta marchigiano incline a significative arditezze sintagmatiche, a inattese soluzioni combinatorie, a mix sorprendenti: «Non avrei mai più pensato che l’odio / fosse un’anima d’acciaio, corazza / loricata sul viver quotidiano, / sulle incombenze del sèrmo ordinario / che sconta la sua ripetizione. //…// Viva allora l’alieno che dentro me / arde e prospera muto per un gesto / che al cògito risulti solutore /…» (Poltrone su misura).

In siffatti procedimenti formali è insito il rischio della costruzione intellettualistica sterile e meccanicizzante, una situazione che l’autore sa spesso evitare attraverso l’impiego intelligente dell’enjambement («La libertà s’attende dopo un lungo / patire fatto dalla costrizione / attraverso un calvario di dolore, /…// Dove finisce il pianto e inizia il lieto / sollevare il calice del dovere, / se il veleno che si beve risana / e il filtro del benessere ci perde / in fondo al suo contrario di sempre, / più che ora esteso in vero di profondo / gorgheggio su volute d’alchimia? //…» (Cristo incontra la madre); «…/ Globi, sfere d’edenica autorità / disegnano geometrica un’era, / la strada coi lampioni che fan luce / sulle illusioni della giovinezza, / il ciclo che si chiude della sagra / paesana, carnevale e rivista / dell’umanità che si pavoneggia / e si trastulla nella sua infanzia, / la prova generale d’un maturo / salto al trapezio in ordine di fila» (“Amarcòrd” (Vita allo schermo)) e di un sistema di rime in grado di assicurare varietà e ritmicità alla versificazione: «Non vedo prospettive definite / in questa particella di meschina / approssimata al civile decoro / figura in sagoma di sciatteria. // Il bellimbusto del can da guardiano / è un avviso a chi entra a stare lontano, / ché non morde, ma il puzzo sa di strano / corrotto ventrume da deretano. // Eppure lo si misura cereo / come un bassorilievo intirizzito, / come un anello incorporato al dito / che non si scalza se non amputato, / che non si schioda se non imputato. /…». Ho citato da Attenti al cane!, un componimento ben indicativo dell’animus complessivo della terza parte del volume intitolata Ozio di Marca e sovente contrassegnata da una chiara nota polemica. Le liriche di questa sezione sono il risultato di una considerazione libera e penetrante della realtà naturale e storica (persino dell’attualità), corrispondono a molteplici, differenti momenti della puntualizzazione di una vision du monde, all’interno della quale è vibrante la protesta contro l’ipocrisia dell’ufficialità meschina e ingannatrice, contro l’impostura pseudo-ideologica e l’imbroglio passivamente accettato dal conformismo di comodo, da sempre nemico dell’autenticità culturale-morale.

Non è possibile nell’àmbito, di necessità limitato, di una nota prefatoria seguire l’ampia articolazione tematica della ricerca artistico-letteraria di Rossi, che spazia da episodî più antichi a vicende recenti (dal ricordo del martirio di Giacomo Matteotti per mano di sicarî fascisti alla strage di via Rasella durante il secondo conflitto mondiale, dall’assassinio di Aldo Moro alle gesta criminali del terrorismo al “caso” drammatico di Enzo Tortora): il tono è di frequente indignato («…/ L’indignatio sarebbe troppo forte / anche per un Giovenale dal pelo / corto…» (Poltrone su misura, op. cit.), e dinanzi alla problematica politico-sociale la resa stilistica conosce esiti di vivace espressionismo: «…/ Giù allora quella maschera deforme / che vi occulta il volto, ma il deretano / è troppo tardi per rifarlo sano, / dopo virtuosi agoni all’imbottitura / col decoro del Popolo Sovrano / e la speme in Progresso del villano / che fidava almen nel Comune pagano! /…» (Un posto a tutti!). Lo scrittore dà poi di sé una definizione che solo parzialmente mi persuade: «…// Sono acuminato d’indifferenza: / per questo forse il tempo e il luogo sferza / come al solito chi non ha tendenza / a specchiarsi nel fonte di narciso /…» (Loco metafisico); mi trovo d’accordo circa la notevole acutezza dell’osservatore, meno relativamente all’indifferenza: questa non si esaurisce nella presa di distanza dal malvezzo del narcisismo, bensì coesiste con una spiccata passione intellettuale che alimenta la vena filosofica della sua poesia, metodicamente e criticamente rivolta alla ricognizione coraggiosa dei dati dell’esperienza storico-umana e della vita naturale, di cui sa apprezzare fin dall’inizio lo stimolante vitalismo: «…/ Guardia d’un passato che non conosce / specchio della Natura che la investe, / insegna del rigoglio che la impone / la quercia espande il suo “Serro” al Tempo, / il suo mistero all’esposizione, / all’aere denso d’ogni vapore / che s’intride ai muscoli del robore, / corteccia che un’anima tende al cuore / della pianta che è legno linfa umore, /…/ anche se un seme contiene potenza / che non muta, ma cresce distanza, / e la forma è tutta in propria esperienza…!» (Chioma di maestoso legno). Ad ogni modo il rigore analitico dell’autore coglie il tratto sfuggente e labirintico dell’ordine delle cose, che induce in lui un atteggiamento di ineludibile, costituzionale perplessità cognitiva e assiologica: «Non sono più neanche una funzione; / chi potrà salvarmi seriamente? / Mi trovo sempre al punto di partenza, / ogni volta Sisifo dell’umiltà / a scalare pareti immaginarie, / la lubrica mediana tonalità / che inclina la luna calante d’ombra / della mia inesperienza globale. //…// Forse vari pesi e varie misure / posson cambiare il corso della vita / oppure è l’esistenza che rilutta / alla sua macra definizione, / anziché evento riveli possanza / di sua incoercibile frequenza…? //…» (Metro scazonte).

La fondamentale ambivalenza del vivere permea altresì la sensibilità estetica, il lavoro poetico; e all’enfatica caratterizzazione positiva segue il dubbio riduttivo e limitante: «Un poeta non nasce e non muore mai, / vive nell’Eterno a se stesso eterno, / oltre il fisico decadere esperto / di malanni, ma non della coscienza, / non dell’animo che apre all’esistenza. //…/ Non stimo la scrittura, o Poetessa, / o voce del nostro poetico evo; / non mi ritengo un vate, ma non vedo / come possa la Poesia un credo / rivelare, un Vangelo dalle note / con una disarmonia per tempo, / come il braccio che non tiene séguito / al nervo panico da epilessia. //…» (La veste del poeta).

Floriano Romboli

 

L’AUTORE

 

Francesco Rossi è nato nel 1973 a Jesi (AN); nel 1997 si è laureato in Lettere Classiche presso l’Università degli Studi di Perugia. È docente di Materie Letterarie e Latino c/o il Liceo Scientifico Leonardo da Vinci di Jesi (AN). Ha al suo attivo in campo letterario le seguenti pubblicazioni: Controcanto pasoliniano (antologia poetica); Il cerchio dell’ombra (antologia poetica), 2010;  CredereRicordareRiflettere! (romanzo storico), 2010; Eccezioni del tempo (racconti), 2011; Il gigante di Dio (antologia poetica), 2012; La divisa del prefetto (romanzo storico), 2012; Immemoriale (romanzo autobiografico), 2012; Proprietà transitiva. Autobiografia su commissione (romanzo autobiografico), 2015; Anch’io sono figlio della Crisi (romanzo autobiografico), 2015; L’assalto al treno e oltre (romanzo storico), 2019; Una medicina per l’anima (romanzo giallo), 2021.

 

 

 

Francesco Rossi, Scorie d’esperienza, pref. di Floriano Romboli, Guido Miano Editore, Milano 2022, pp. 188, isbn 978-88-31497-90-9, mianoposta@gmail.com.

 

 

 

 

 

 

 

 

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