Un
romanzo che avvince, che avvolge, che addolora, che sconvolge, che amareggia,
che ci rende tristi e pensosi. Ma che ci fa gioire per acribia narrativa, per
lacerti poetici, e per euritmica musicalità. Che ci fa riflettere, che ci fa
pensare, che ci fa fare autocritica, perché componenti di una società, noi
tutti, fondamentalmente sbagliata; di una società che ha smarrito il senso di
convivenza umana e civile, etica e sociale in un tempo in cui predomina il
consumo, l’egoismo, l’affarismo, il materialismo a scapito dei valori portanti di una buona
società. Ma che ci rende ghiotti, vogliosi, anche, di una lettura veloce,
scattante, arrivante, paratattica; di
una scrittura che si ciba soprattutto di grande spontaneità. Ma pur sempre una
storia di dolore, di vite abbandonate alla miseria materiale e spirituale. Quasi
quasi, senza voler cadere nel passatismo, viene spontaneo un raffronto fra l’età
dei nostri padri e il nostro tempo. Quando la fratellanza, e la convivenza, il
rispetto verso gli altri e per la vita, forse per necessità, erano alla base
del vivere. Quando la famiglia esisteva. Ed era presente con quelle leggi che
si tramandavano dagli anni più lontani. Regole di buon senso dettate da natura.
Regole e comportamenti nati dal comune vivere, nella giustezza delle cose,
nella naturalezza del bene familiare e non solo. Nati dal comune soffrire, e
dal comune gioire. Sarà perché tutto questo è venuto a mancare. Sarà perché per
consumare è necessario diventare “viziati”, spendaccioni; spendaccioni di soldi
e di valori; e di conseguenza lavorare di più, stare di più fuori dal nucleo
familiare. Lasciare i figli soli, in balia di eventi imprevedibili, senza
l’educazione di un padre, di una madre, che tale educazione, loro stessi, avevano
ricevuto dai loro padri e madri, con la presenza, con la tavola imbandita alla
stessa ora, con le sedie occupate dai commensali; lì riuniti a parlare ognuno
delle proprie avventure o disavventure quotidiane, a consigliarsi, per superare
difficoltà ed ostacoli o per acquisire quelle sicurezze che oggi latitano. Sarà
perché tante cose devono essere rivedute, perché abbiamo imboccato una strada
cosparsa di ombre e penombre, di falsi miti, di falsi rimedi, ed
insoddisfazioni, per cui uccidere una donna diventa un tiro al bersaglio, o
vendere un figlio una cosa normale nella sua brutalità. E’ tanto facile perdere
il senso della morale e, peggio ancora, quello degli affetti fondanti, compreso
il rispetto ed il bene fra genitori e figli, rifugiandosi, magari, nelle scuse
dell’indigenza, o in quelle del nostro essere presi dal lavoro, o dando colpe
ad un mondo che non funziona. Non si può mai arrivare al punto di vendere un
figlio. Né tanto meno di dimenticarlo perché presi da questa mania di produrre.
Qui Maria Rizzi affonda, con grande maestria e grande intelligenza speculativa,
il coltello nella piaga. E ci “sbatacchia” davanti una pluralità di occasioni e
di ambiti sociali su cui riflettere. Una realtà preoccupante, ed emotivamente
avvilente: adolescenze sprecate, perse, gettate al vento. E lo fa mettendo sul
foglio un’anima zeppa di pathos, di partecipazione. Si evince dalla cura con
cui delinea fatti, dialoghi, caratteri. Fino a raggiungere passaggi di vera intonazione
poetica; di un lirismo coinvolgente e contaminante per succo e per
corrispondenza. Il romanzo ci prende, ci annulla, ci rende pienamente suoi, con
le molteplici spaccature, smagliature di un thriller , o saggio sociale, o
romanzo psicologico, o d’azione - tutto questo direi - che la penna fertile
dell’autrice sa estrapolare ex abundantia
cordis. Ed è sufficiente mettere in evidenza la storia nella storia
dell’ispettore Stefano Segni; il suo sprofondare, anima e corpo, nel lavoro; i
suoi problemi di coppia, separato; il rapporto tanto delicato e conflittuale
con la figlia Valentina, coinvolta in problemi di droga; quelli di Tania,
giovane in stato comatoso irreversibile, per farmaci e stupefacenti, con cui i
malviventi cercano di inibirne ogni facoltà di reazione; le sue vicissitudini
prese a cuore dal commissario: lui padre di una figlia, che, tanto rivede in
Tania, per motivi di assuefazione. C’è tutto un gioco socio-psicologico che dilata
la vicenda, la estende oltre il fatto. La fa autonoma. La rende “Monaca di Monza” nel romanzo - naturalmente
per struttura narrativa-. E’ qui la grandezza della scrittrice. Sta proprio nel
combinare complessità emotive che vanno oltre l’intrico. Se poesia è
innanzitutto parola, se poesia è innesto di legami musicalmente attraenti; se
poesia è trovare un corpo adatto da sintonizzare ad un’anima straricca di cose
da dire (e qui c’è questa sintonia, c’è questa simbiotica fusione, questa
coscienza di un’avventura umana pensata, fatta propria, decantata ed esplosa in
figure di grande impatto emotivo), in queste pagine c’è veramente poesia. Soprattutto
in certi sprazzi naturali che aiutano la configurazione di caratteri e
avvenimenti. Una poesia che scaturisce dal dolore, da abbrivi interiori che
trovano la via giusta per farsi veri, autentici, a volte, pungenti e
aggressivi. I dialoghi si fanno incalzanti, non danno respiro, chiedono
attenzione, coinvolgimento; immedesimazione: “anche tu fai parte di questo
mondo”. Ti dicono “Questi ragazzi sono tuoi ragazzi. Tanti di questi li hai
avuti a scuola, o vicini a uno spettacolo, o incontrati per strada. Hai parlato
con loro, hai condiviso, comunicato. Non ti sembra vero? E’ così! Si sono persi
questi giovani. Tu non hai colpa? Adducevi le loro carenze scolastiche alla
mancanza di volontà. Tutto lì. Ti senti al di fuori come educatore? come
padre?”.
Due storie che si compenetrano, nella
loro diversità. Nella loro complessità che l’autrice dipinge e tratteggia con
un realismo, a volte, osservato. Quasi documentato. Una riguarda la tratta
delle schiave prostitute dell’est. Fanciulle vendute alla miseria morale e
fisica. L’altra coinvolge adolescenti di famiglie buone, figli del nostro
tempo, figli di genitori divisi, figli degli agi, della solitudine, della
incomprensione, di una smoderata ricchezza: strade sbagliate. Un “J’accuse”
che, nel sottofondo, si diluisce e impolpa di sé il succedersi degli intrecci
narrativi. E l’autrice non appesantisce; ci immerge nel racconto con tatto e
delicatezza, anche se fa trapelare l’angoscia di una madre che ama, che sa, che
vive, ed è cosciente di raccontare verità desolanti. E c’è miseria da vendere;
perversione, degrado. E Maria Rizzi parla coi suoi personaggi, chiede loro di
raccontare. Di rivelare le loro perversioni, le loro angosce. E cerca una
strada possibile. Una strada-spiraglio per la loro salvezza. E con grande
caparbietà analitica mette su tasselli, mattoncini, per una costruzione
compatta e spietata, autentica, e organica in cui ognuno di quei tasselli sia
indispensabile al tutto. Grande capacità di analisi, più che di descrizione
psicologica. Eppure da questo quadro, desolante, emerge una scrittrice disposta a comprendere, a cercar di capire.
C’è la voglia di un’altra giovinezza, di cambiar vita per le prostitute
bambine, vendute dalle famiglie. Tradite da ciò che dovrebbe rappresentare l’àncora
di salvataggio, il patrimonio sacro, incommensurabile per un giovane. E ci sono
- quasi dicotomica disarmonia del vivere - i figli degli agi borghesi; del
degrado; del benessere; dell’affetto non capito; quei figli che, isolati e
senza forza reattiva, senza un credo positivo, si lasciano andare; non vogliono
o non riescono a percepire quel sacrosanto legame che dovrebbe essere l’asse
portante della convivenza familiare, sociale. La colpa? La Rizzi lascia quasi
in sospeso il mistero del male di vivere che ci assale. Lascia a tutti noi il
compito di riflettere. Né se la sente di moralizzare, o di dare tagli netti a storie
così tragiche. Il fatto sta, però, che ci coinvolge con una scrittura tanto
snella e fluida che galleggia sulla lucentezza di un fiume che fa trapelare dal
fondo tanto pantano. Una madre, un’amica, una compagna di lavoro; sì, è lei che scrive.
E dalla trama poliziesca, ben congegnata, e sapientemente tessuta, emergono vicissitudini
che riguardano tutti noi: genitori, figli, colleghi, amici; perché trama di una
rappresentazione, complessa e variegata, i cui attori sono presi dalla vita di
ogni giorno. Una trama vera come veri i personaggi. Amara come amara la vita. Amara,
anche se, nel sottofondo, c’è la commozione e la grazia di una scrittrice che
sa stemperare le crudezze con sguardi rivolti ad un cielo azzurro e a un “mare…
infinito sentiero per immaginare”. In quel finale dove il cuore di Tania va a
sostituire quello dell’ispettore Segni,
infartuato. Proprio il cuore di quella giovane per la quale avrebbe dato la
vita. Di quella giovane sfortunata nella quale vedeva, in gran parte, la figura
della figlia con tutta la speranza di recuperarne gli affetti. E’ qui il grande
messaggio del romanzo. Un’esortazione a credere. A credere a quei valori senza
i quali la vita stessa non sarebbe tale. Un invito ad amare. Rivolto ai
giovani, sì!, ma soprattutto ai grandi, a tutti noi genitori, che siamo i
responsabili delle loro storie. E a tutti quei poteri, poteri forti, che
potrebbero e dovrebbero fare di più per il loro avvenire.
SEGUE IL COMMENTO DI ROBERTO MESTRONE
ANIME
GRAFFIATE
di
Maria Rizzi
(Leggendo
il commento di Nazario Pardini)
Nazario – in Anime
graffiate - ha saputo cogliere sapientemente una peculiarità di Maria Rizzi
che viene prepotentemente alla luce nel percorso narrativo del romanzo: saper
analizzare con pudore e raccontare con dolcezza le miserie umane dei
personaggi.
Il rapporto padre-figli,
qui mediato da un valente ispettore di polizia a contatto con giovani donne
vittime della prostituzione, viene trattato apparentemente con crudezza, ma filtrato
dalle emozioni del cuore: l'autrice non viene a patti con delitti, vizi o
perversioni né con facili e bigotti moralismi ma scava, oltre il muro delle
incomprensioni, un morbido baratro, confine tra il Bene e il Male, nel quale
ogni personaggio sembra aver gettato la propria anima: le giovani vittime
prostituendosi, pur forzatamente - e quindi meritevoli del perdono - e
l'ispettore Segni, incatenato agli ingranaggi di una dura professione che lo ha
costretto a perdere affetti familiari e spensieratezza, abbandonandolo al
rimorso.
L'autrice ci narra queste
storie di emarginazione ed alienazione con affabile naturalezza ed
incontaminato senso del reale.
Le umiliazioni e le
atrocità che la vita ci riserva e che ci costringono all'angolo dello sconfitto
vengono qui trattate con raffinatezza: i dialoghi vestono spesso i panni del
lirismo poetico, le sfaccettature del vizio e del malcostume rimangono coperti
da un velo di sovrumana comprensione, il dolore interiore che spinge alla disperazione viene placato, in
maniera spesso subliminale, dalla speranza di un mondo migliore.
Maria Rizzi, con
quest'opera, ci mette a nudo gli emblematici volti delle debolezze e delle
efferatezze umane; ce le presenta come fossero dei nei maligni adagiati sul
ventre del nostro tempo. Ma non le estirpa quelle escrescenze malvagie, sa che
fanno parte di un corpo multiforme: la Società coi pregi e i difetti che da
sempre accompagnano il suo evolversi.
E il racconto scorre
lucido, avvincente... e rivelatore, anche se in uno degli ultimi capoversi si
legge: “E tutti escono da
questa storia con troppe cose da non poter confessare. Come nella la vita,
d'altronde. Con le anime graffiate e qualche sogno in più”.
Ma noi ci siamo immersi in
questa storia, abbiamo compreso il tuo messaggio e ne abbiamo tratto
giovamento.
Come percorrere una strada buia, mano nella mano per
non perdersi e non angosciarsi.
Grazie Maria!
Roberto Mestrone
Carissimo Professor Pardini,
RispondiEliminaL'ho sentita al telefono con i brividi , la pelle d'oca e la commozione autentica che mi faceva tremare la voce.
Ho temuto che il filtro affettivo avesse condizionato la Sua lettura, ma dopo un lungo dialogo mi sono arresa a tanto Amore!
Lei ha detto che possiedo 'una penna che mi regalerà l'eternità', io sento il dovere di risponderle che a donarmi l'eterna quotidianeità sono le esternazioni d'amore che ricevo e delle quali non mi ritengo degna.
Mi creda, Adorato antico Amico,
non mento nell'asserire che mi sento sopravvalutata. Io vivo per relazionarmi con gli altri, per accoglierli e per donarmi. Scrivere è una grande passione che ho sempre praticato solo a scopo catartico. Non avrei pubblicato il romanzo, senza le spinte di cui Le ho parlato e non partecipo ai Concorsi.
Le presentazioni sono state doni di Amici, tant'è che a Roma "Anime Graffiate" non è stato presentato!
Lei ha scritto un trattato e, pur sapendo che è nato un rapporto elettivo tra noi, non ho esitato a credere alle Sue straordinarie parole!
Ha letto il romanzo e la mia anima. Si è posto tutte le domande che mi agitavano mentre scrivevo e ha colto la volontà di prescindere da ogni valutazione morale. Di lasciar riflettere il lettore.
E' andato a fil di Cuore e di Mente Illuminata, mio carissimo Nazario e sono ancora sotto choc...
Ringraziare è un verbo riduttivo, pigro, scontato... 'da davanzale'... io vorrei proprio abbracciarla, ma non per un attimo, a lungo... in magica sospensione di pensieri, in autentica affinità di anime!
Maria Rizzi
Da par suo, Nazario Pardini, ha letto "Anime graffiate" con il totale coinvolgimento dell'uomo morale in primis, al quale, sempre, in ogni sua disamina, fa riferimento il letterato. L'assunto (per me imprescindibile) che lo scrittore, per essere davvero tale, non vada mai scisso dall'uomo, trova nel commento recensivo al romanzo la più sicura ed ampia conferma.
RispondiEliminaAltrimenti come si arriverebbe a scrivere: "I dialoghi...chiedono immedesimazione...Ti dicono 'Questi ragazzi sono tuoi ragazzi...Hai parlato con loro, condiviso. Non ti sembra vero? E' così! Si sono persi questi giovani...". E la lealtà verso di loro e verso se stesso: "Tu non hai colpa?", si domanda; e si risponde: "Adducevi le loro carenze scolastiche alla mancanza di volontà. Tutto lì." Già: eccolo l'uomo vero, colui che intende il profondo messaggio di cui queste pagine si fanno promotrici: "l'esortazione a credere - come dice lui stesso - ai valori della vita, ad amare nonostante tutto: nonostante il potere, il tradimento affettivo, i danni recati dagli agi del cosiddetto benessere. La Rizzi non "se la sente di moralizzare" - sostiene - e bene fa, aggiungo, perché il suo J'accuse non potrebbe essere tanto efficace se le acque trasparenti del fiume della sua scrittura non facessero "trapelare dal fondo tanto pantano". Maria, è innegabile, scrive con grande passione e a scopo catartico ma Nazario - ed a lui mi associo - le ha dimostrato che solo una grande penna è in grado di trasmettere a chiunque un senso così alto di sofferenza ed al contempo di liberazione dal dolore.
Sandro Angelucci
Vorrei sperare che almeno ora, dopo questo intervento critico estremamente denso e illuminato del Prof. Pardini, Maria Rizzi non continui esasperatamente a dire che i miei apprezzamenti della sua scrittura sono dettati da valori amicali ed affettivi, privi della necessaria lucidità critica ed inquinati addirittura da una presunta qualità diplomatica di cui nessuno si era mai accorto finora. No, cara Maria. Il Prof. Pardini è un fiume in piena. Inarrestabile, e dice cose estremamente vere e convincenti sulla tua scrittura. L'amico Sandro, poi, non è da meno. Entrambi sottolineano la grande umanità di questo tuo romanzo psicologico che pone in rilievo il tradimento e il calpestamento di valori di cui è capace la nobile stirpe di Adamo. Una poetica del nero, la tua, capace tuttavia
RispondiEliminadi far esplodere, per contrasto catartico, voli e sogni di azzurra utopia.
Franco Campegiani
Miei cari Amici,
RispondiEliminaleggendovi entrambi la commozione è salita... e sono rimasta intrappolata in una sensazione di surplace, di sogno, come insetto nella goccia d'ambra.
Sandro, ti ho risposto sulla lunga recensione che mi hai dedicato ed ero certa che la lunga disamina del Professor Pardini ti trovasse coinvolto e convinto. Ciò non toglie che sei tornato a scrivere su questo romanzo e ... temo di essere la persona che lo ha scritto con infinito amore, ma ci crede meno di tutti!
Franco, alludo alla tua diplomazia, intesa nel senso greco,
come a una dote e non la confondo mai con l'ipocrisia. Ti conosco da troppi anni,ormai, e so quanto sei determinato quando si tratta di prendere posizione. Peraltro sei l'unico che , ancor prima che il libro venisse dato alle stampe, l'ha presentato in un'anteprima a Frascati, nella Sala degli Specchi, nel corso della Rassegna "Tra mito e storia".
Non solo ti credo, ma m'inchino a te e a Sandro, al vostro valore di critici letterari e a quello, ancor più profondo di Amici purissimi!
Maria Rizzi
Cari Amici,
RispondiEliminacosa posso aggiungere dopo interventi di così grande spessore e competenza? dico quello che mi esce dal cuore, sicuramente...e mi associo a quello che ha detto Franco Campegiani. Maria è Amica insostituibile,ma il mio parere su "Amime graffiate" è, ed è sempre stato, lucido e oggettivo. Da subito le ragazzine ucraine,umiliate, vendute, che sgranano gli occhi chiari e chiedono un gelato nel loro italiano stentato, hanno agganciato il mio cuore...Maria è maestra di "pietas" e accarezza i suoi personaggi con penna leggera, efficace, comprensiva.Il senso di riscatto finale, della possibilità di una nuova vita per chiunque la scelga con tutto se stesso si intravede chiara, insieme al mare che rappresenta una promessa.Non importa dove, non importa con quali mezzi, l'uomo può redimersi e ricominciare. Grazie Maria. Loredana D'Alfonso
Da questi straordinari commenti viene proprio voglia di leggere questa opera di un'autrice che non conoscevo. Ottimo! Grazie.
RispondiEliminaChiara
Mia carissima, straordinaria Amica,
RispondiEliminasei Autrice di gialli di alto spessore e sai quanto è grande la stima che nutro nei tuoi confronti, come Donna e come Scrittrice! so che hai amato il mio romanzo, antitetico e complementare al tuo... So che le tue parole sgorgano pure come acqua di fonte. E sono onorata di avere amici di tale spessore che diano senso alla mia Passione.
Senza il vostro incredibile tributo non sarei stata in grado di attribuire valore al mio testo. Io l'ho scritto con amore e basta. Non mi aspettavo nulla!
Quest'onda alta mi sommerge e mi dà vita! Grazie, Lolli, sei nel mio cuore! Maria Rizzi
Cara Chiara,
RispondiEliminati ringrazio... sei intervenuta sull'onda dei tributi altrui e ha speso parole belle. Il tuo è un 'dono al buio' e mi sorprende! Ti saluto con calore.
Maria Rizzi
Carissimo Roberto,
RispondiEliminati sei unito al Professore e leggervi vicini è balsamo per tutti i graffi. Oggi la mia Anima è pura, incontaminata, come quella di un neonato. Esistono Amori che redimono.
Voi appartenete a questo genere di persone. Mettete in luce l'aspetto catartico, che per un fisiologico meccanismo introspettivo, si verifica anche nel mio vissuto.
vi stringo forte e sono FIERA di avervi accanto nel cammino del tempo! Maria Rizzi