DON GIUSEPPE STORTI
APOSTOLO DELLA SOLIDARIETA’
Ricordo di
Paolo Bassani e
Dino Luciani
“Non c’è avvenire senza memoria”,
così come non può esistere albero senza radici.
Sì, la memoria è la radice della storia dell’uomo. Non soltanto della grande
storia che si studia sui libri di testo ma, anche, della storia cosiddetta
“minore” che, invero, non è affatto minore per una comunità che l’ha vissuta.
Per questo, tramandarne il ricordo alle generazioni venture diventa un preciso
dovere della comunità, soprattutto quando la testimonianza assume un alto
valore educativo. Vorrei ricordare don Storti, (invero, mons. Storti, ma egli
umilmente nascose sempre questo suo titolo) che fu parroco di Vezzano Alto dal 1893 al 1951.
E’ passato più di mezzo secolo dalla sua morte, ma il ricordo di questo prete è
rimasto vivo nel cuore dei Vezzanesi, assumendo negli anni quasi un alone di
leggenda. Vorrei ricordarlo attraverso
la testimonianza di Marzio Storti, nipote del parroco vezzanese, che parecchi
anni fa ci accolse con viva cordialità nella sua casa e, nonostante i suoi 94
anni, ci raccontò con eccezionale lucidità parecchi episodi della vita dello
zio. “Io -esordì- da bambino, durante le vacanze, facevo da chierichetto
allo zio. Mi ricordo la serie innumerevole di funerali, durante l’epidemia di
spagnola. Grande fu il dolore che colpì Vezzano e grande fu l’impegno dello zio
nel portare con la testimonianza della Fede una parola di conforto a tutti. La
vita di Don Storti era improntata totalmente allo spirito di povertà del
Vangelo. Egli, poco o nulla concedeva a se stesso: il suo letto era fatto con
due tavole di legno appoggiate su cavalletti ed uno striminzito saccone
riempito di foglie di granturco. Una sola coperta e, nei momenti più freddi,
qualche cappotto in aggiunta. La stanza
ove dormiva, due metri per un metro e mezzo, assomigliava alla disadorna cella
di un eremita. E se anche la canonica aveva diverse stanze, queste erano quasi
completamente spoglie d’ogni arredo superfluo che potesse richiamarsi a qualche
agiatezza. C’era sempre la chiave sulla
porta: ognuno poteva entrare e, nel bisogno, chiedere e ricevere. Tutto quello
che entrava dalle proprietà della parrocchia, (che allora aveva diversi terreni
e mezzadri), tutto defluiva, come da un lago, a innumerevoli rigagnoli di
solidarietà verso la gente bisognosa e per le necessità pastorali. Per sé, lo
zio ben poco o nulla tratteneva. Mi ricordo che il suo frugalissimo pasto meridiano
si identificava con i frutti di stagione della terra che gli portavano i
mezzadri: fichi, mele, castagne. A cena, qualche patata bollita e un poco di
pane, spesso, rinsecchito. L’olio e il vino, prodotti davvero preziosi allora,
erano per gli altri “meno fortunati”, che si presentavano con la bottiglia, anche
in tempo di guerra. A volte giungevano anche da Migliarina. Donare, era per Don
Storti, un atto istintivo, dovuto, del tutto normale. Nient’altro pensiero aspirava
il suo cuore.
Nessuno si è mai approfittato di
lui, né durante il periodo di pace, né durante la guerra. La gente aveva di Don
Storti un profondo affetto, una venerazione.
Quando passava per le vie di Vezzano era un momento di gioia per
tutti. Basta vedere qualche antica foto.
Quanta riverenza, al suo apparire! Lo si legge nel volto della gente: uomini e
donne, vecchi e bambini, uniti da un solo sentimento.
Mi rammento che lo zio andava sempre
a piedi da Vezzano a Spezia e viceversa. Lo ricordo con il suo ombrellino per
il sole e i grossi scarponi. Io credo di sapere perché non prendeva i mezzi di
trasporto. Forse pensava che anche quella piccola economia, quel risparmio del
biglietto della corriera o del tram poteva essere utile per qualche suo paesano
meno fortunato di lui. E accanto alla solidarietà in favore della gente più
umile in difficoltà, Don Storti si impegnava nella realizzazione delle opere
comunitarie del territorio affidato al suo apostolato: Vezzano Alto, Molinello
e Bottagna. Mi piace ricordarne qualcuna. Per esempio, il campanone fatto
fondere a Busana per il campanile della Chiesa di Vezzano Alto. Un’opera
eccezionale. L’aveva voluto per mandare in pensione la vecchia e ormai stonata
campana. Allora il suono delle campane assolveva anche un compito utile per la
comunità civile. Il nuovo campanone è ancor oggi uno dei bronzi più squillanti
ed armoniosi di tutta la vallata. Altri
lavori importanti furono fatti nella chiesa, come l’altare di San Giuseppe.
Ulteriori lavori fece fare al Santuario del Molinello e, poco distante, volle
far sorgere addirittura la “Casa del Popolo”. A Bottagna fece erigere l’attuale
Chiesa di San Michele.
La
morte di Don Storti -avvenuta il 10 dicembre 19 51- colpì profondamente il cuore
di tutto il paese. L’ intera popolazione di Vezzano, Alto e Basso, di Bottagna
e Molinello, d’ogni credo ed estrazione sociale, fu accomunata da un medesimo
sentimento di mestizia e, commossa, si chinò alla memoria di questo prete. Mai s’era vista tanta gente ad un
funerale. Le solenni esequie furono
officiate dal Vescovo, alla presenza di tutti i sacerdoti dei paesi vicini.”
E DI LUCE…
(a
Don Giuseppe Storti)
Non ho da offrirti
il delicato pensiero
d'un ricordo
come la tua gente antica
di
Vezzano,
eppure
la
tua immagine
-da semplici racconti-
è fiorita nel mio cuore
come una leggenda.
In questa terra
di
sole
d'olivi e vigne,
di borghi silenziosi
d'aspre vie lastricate
e di terrazze aperte
a
spazi sconfinati,
ancora non s'è spenta
l'eco del tuo passo;
ancora la tua vita
profuma di bontà.
Di luce
si
nutre il girasole
e di luce
fa
dono a tutti
come il sole.
Paolo
Bassani
Questa lettura progressivamente inserisce il lettore in un cammino che permette di contemplare la bellezza con cui si è espresso il mistero del Signore, anche con semplicità.
RispondiEliminaCari saluti. Miriam