Emma Mazzuca: Eclissi. BastogiLibri. Roma. 2017. Pgg. 102. Euro 10,00 |
PREFAZIONE
Forzature
lessicali, dilatazioni sonore in un significante di simbolica metaforicità
…
Dentro una gabbia sull’asfalto
conto le ore delle mie
giornate.
Ricolmo il mio tempo con
parvenze stanche
discorrendo da sola o mi
snaturo
in una fragile compagine
fingendo
perché le turgide arterie del
cielo
erano un infido passaggio che
non mi appaga
e salvata in alto
una volta ancora esisto su una
nuova vetta
che più in su si erge e che
non muta. (Vetta).
Iniziare
da questa poesia testuale significa andare da subito a fondo in uno dei temi focali
che motiva il viaggio interiore della poetessa; un viaggio travagliato,
difficile, e arduo attraverso un mare pieno di scogli e di burrasche in cerca di un faro che illumini una meta.
Aspirare ad una vetta alta, elevata, al di sopra delle micragne dell’essere e dell’esistere è il fine della condizione
umana; di un’umanità la cui zona d’azione è strettamente limitata ad un campo a
misura terrena. E la Nostra sa ed è cosciente di tutte le ristrettezze del
vivere, delle aporie del quotidiano; c’è in lei questo tentativo dell’azzardo,
questa intenzione di aggrapparsi alla coda dell’Infinito. Anche se la sua
ricerca parte da un’analisi spietata e plurima di se stessa, del suo modo di
sentire e di pensare; scandaglia la sua interiorità, il suo problematico quanto
mai misterioso ed epigrammatico mondo interiore. Ed è così che intraprende un
percorso di natura psicologica complesso e polivalente, mettendo sul foglio la
sua anima in tutte le sfaccettature esistenziali:
l’amore:
…
Cosciente mi immergo
in questo ruscello che
s’infiuma
affinché la lancia della tua
bocca mi raccolga
e mi ridoni vita consumandomi.
Il sentiero dell’amore è
sempre aperto
… e non ha ritorno. (il
sentiero dell’amore),
il
tempo che implacabile fugge:
Infiniti prati fioriti e
profumi
mi regalarono vallate non mie
pur se trascorso era il tempo
per tenerli.
Adesso
me ne sto in una valle ombrosa
accanto ad un ruscello
ed osservo con che passo incontenibile
rabbuiando i fiori
il tempo passa. (Il
tempo passa),
la memoria che torna leggera a riportare a
galla nutrimenti di ameni sentieri:
…
L’impeto delle passioni
non aveva ancora sconvolto
il sangue delle mie vene.
Tutto era quiete raggiante
come un giorno acceso.
(Rammento il mio tempo remoto).
l’illusione,
la delusione:
Illusorie immagini l’anima
germoglia
per vederne poi l’allontanarsi
in un oceano di sogno.
Siamo attorti alla vita da
finissime vene
Come pavido mare che spesso
s’abbuia… (Illusorie immagini).
il
sogno:
(…)
Poteva anche espandersi il
silenzio
un migrare gelido
nitido spazio in nitide tregue
di ombre.
Egualmente cresce e riecheggia
il vento
e risponde.
L’alba sul colle inclemente
era la causa dei sogni. (Se
per un istante),
le
aspirazioni, gli interrogativi e le questioni del fatto di esistere:
(…)
Taciturna una salsedine si
ridesta
o effonde un reflusso.
Una notte lustra tiepida
discende
e un vento gelido poi.
Se tediose cose desideri
la morte come morte negli occhi
ti è amica intensa ed affine.
Tempi diversi non puoi invocare.
Come in antichi dittici
la vampa dell’ultimo gelo
la tua felicità disgiunge.
(Come in antichi dittici).
“La vita è l’arte dell’incontro” affermava il
poeta brasiliano Vinicius De Morales “e vita e poesia sono la stessa cosa”.
Vita e poesia, un binomio inscindibile che compattandosi dà luogo a vibrazioni
di urgente resa poematica. E qui la Mazzuca affronta tutte quante le situazioni
vitali che la tengono a terra, se ne imbeve, ne fa tante rampe per una scalata
che la trasferiscano a cime di vertiginosa empatia espressiva con uno stile
anche scabro, non sempre armonicamente fluente, ma ondulatorio, ora apodittico,
ora ampio, ora ipermetrico per assecondare stati d’animo vari e articolati;
ontologicamente complessi di un pensiero
che la Nostra vuole rinnovare in continuazione mai contenta di una quiete statica,
di un riposo apparente, di una calma illusoria: è la sua schiettezza, la sua
onestà intellettiva e emotiva a portarla ad una confessione diretta, ad una
meditazione che raramente si fa filosoficamente fredda dacché nasce da una
lievitazione spirituale riposata da tempo in un animo fecondo che nei momenti
di maggior ispirazione sa tradursi in impatti di lirica valenza dove accessori
di effetto contrattivo e estensivo cedono il passo ad endecasillabi di
euritmica sonorità:
(…)
Un diafano profilo sono
un
dolce senso scarno di parole
una precisa idea entro un
punto fermo
nel suo vuoto.
Se
si riaccendessero le fiamme…(Se si riaccendessero le
fiamme). Il neretto dei due endecasillabi è mio.
Un
tragitto emozionale che attraverso violenze sintattiche, forzature lessicali,
dilatazioni sonore sa tradurre il significato in un significante vasto e di
simbolica metaforicità. D’altronde tali accostamenti se usati in maniera
appropriata sono utili ad ampliare lo
scarno messaggio linguistico; dacché si sente in poesia il bisogno di
realizzare, in corpi verbali altri, gli impeti ascensionali; di andare oltre l’usuale
cifra ordinaria del linguismo. E’ quando tali forzature si usano in maniera
infruttuosa, così per apparire, o per essere nuovi ad ogni costo, che si va
incontro a poemi di pietosa e misera lettura. E la Nostra fa un uso veramente
naturale e concreto di tali accostamenti da rendere il suo verso nuovo,
moderno, magari di non facile comprensione ictu oculi, ma proprio perché è
semplicemente complessa la sua ricerca ed è votata ad un oltre che superi
l’abituale dire mellifluo di facile caduta stilistica. Eclissi, il titolo della silloge, disteso in un percorso di tre
sezioni: Come in antichi dittici, A nord
del futuro, Post meridiem, che trovano convalida in poesie eponime.
Quindi
ombre, penombre, oscuramenti, che tanto sanno di vita, di inquietudine, di
inappagamenti di fronte a questioni senza risposte; di fronte a tutti quei
perché dell’esistere di difficile soluzione. Ma le eclissi sono di brave durata
e lasciano posto a spazi larghi, azzurri, di lucida visione; di rara Bellezza
anche nella notte:
Questa notte
voglio avvolgermi
nella luce che verrà
per aprirmi come mitile
e scoprire la bellezza
la Bellezza
nelle deformi fattezze del
barbone
nel triste sguardo dell’esule
rivolto verso la terra perduta
e nella solitudine delle
strade deserte. (La Bellezza).
Là
è la luce per Emma Mazzuca; fra la semplicità degli umili, fra le cose più umane.
E’ da lì che parte per ampliare il suo sguardo verso mari di illimitati
confini. E lo fa con energiche forze espressive dacché sono certi sobbalzi
sinestetici a dare colore al canto; a trasferirlo oltre la parola con invenzioni di bave di
vento, o di luce rubata:
Un frenetico sole
scortica la membrana delle
foglie
come luce rubata alla pelle
oltre la scorza azzurra.
Non fidarti delle parole sobbalzate
del mio silenzio
nelle mani mi pesa il tuo
grano
rivelato da una bava di vento.
(L’anima non chiedere alla colomba).
Sole, foglie, scorza, grano,
vento: non meno la natura sa offrire tutte le sue parvenze per
venire incontro alle richieste dell’abbrivo ispirativo della Poetessa; al suo abbraccio
cospirativo di valenza oggettivante. E anche se un sentimento di melanconica
solitudine traspare dal sottofondo della silloge:
(…)
Riesco a stare da sola.
So stare da sola.
Scrivo al lume di te.
(Intimità),
e anche se l’aspettativa di un redde rationem
sembra in certi canti apparire in veste liberatrice, quello che vince alla fine
è l’amore che la Poetessa nutre per la sua giovane terra; per i suoi fiumi,
monti, campi, che videro le sue origini:
Con te mia giovane terra
giovani campi
fiumi e monti
dove con te sono nata
piccola donna
con piccola vita
e sarà breve la mia terra nuova
corte radici
con erba
che germogliano sotto un sole
che non mi appartiene. (Con
la mia giovane terra),
dove
la lontananza del sole e le corte radici mettono ancora in evidenza la
coscienza di precarietà che Ella nutre per la vita.
Nazario
Pardini
Grazie infinite Carissimo Nazario, sono felice di essere immersa, con tutta la mia tumultuosità, nelle placide e serene acque di Lèucade.
RispondiEliminaUn forte abbraccio affettuoso.
Emma Mazzuca