IL 25 APRILE NEL
MIO RICORDO
PAGINE DELLA
MEMORIA
di Paolo Bassani
Paolo Bassani, collaboratore di Lèucade |
Che cosa ricordo della Resistenza e della Liberazione? Il
25 Aprile 1945 avevo cinque anni; li avevo compiuti il giorno
precedente. Nonostante la mia giovanissima età, alcune immagini di quel tempo
mi sono rimaste impresse per sempre nella mente.
La nostra famiglia
era sfollata a Castagni Grossi una
sperduta località boscosa della montagna caprigliolese, una zona in cui
operavano i partigiani. Per questo, più d’una volta, il luogo fu rastrellato
dalle forze nazi-fasciste. Mi ricordo una sera del ’44, quando improvvisamente
i tedeschi, alla ricerca dei partigiani, entrarono in casa e puntandoci le armi
ci costrinsero tutti ad uscire. Qualche giorno prima avevano incendiato un casolare
a Chiamici, al di là della valle dei mulini, perché in quella abitazione avevano trovato
materiale partigiano. Rimanemmo in piedi, ostaggi nell’aia, per parecchio
tempo, mentre i tedeschi perquisivano la casa, la cantina e gli altri locali
del casale. Fortunatamente non trovarono nulla e, così, dopo essersi
appropriati anche della nostra povera cena, se ne andarono.
Che cosa ricordano i
miei cinque anni di quel lontano 25 aprile? Innanzitutto il suono festoso delle
campane di Caprigliola, interminabili, frementi di gioia. A quel suono così
inconsueto, noi bambini, primi fra tutti, corremmo nella piana accanto al
“seccatoio”. Era da lì che si riusciva a
vedere, laggiù lontano verso la valle, la parte più alta del campanile,
l’antica torre rotonda simbolo di Caprigliola. Ebbene, sulla cima del campanile
sventolava nel sole il tricolore. Un grido esplose nell’aria mattutina: “E’
finita la guerra! E’ finita la guerra!”
25 APRILE
(Nel suono di
campane)
Ricordo quello scampanio festoso:
come un garrito vibrava nell’aria
profumata dalla
primavera.
Dal colle s’apriva a tratti,
ora scivolando giù nella valle
ed oltre a seminarsi nel piano,
ora salendo nel silenzio dei boschi
a far eco lontana nei
monti.
Le campane si erano slegate
con la voce del sabato santo.
Erano state meste per tanto:
negli anni di guerra
a martello avevano sonato,
scandendo i rintocchi della tragedia.
Ma fremevano i bronzi quel giorno
come cuori generosi
impazienti d’annunciare
la gioia;
e sull’antica torre
sventolava il
tricolore.
Corse mia madre,
mi strinse al suo
petto;
e lagrime brillarono nel sole
come fresche gemme di rugiada
in quel mattino di
primavera.
Con lo sguardo di bimbo,
fissando il suo rorido volto,
mi chiedevo il perché di
quel pianto.
Era la gioia, quella grande
che il cuore non sa trattenere:
l’incontenibile gioia che sgorga
per la risorta speranza.
Paolo Bassani
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