Claudio Vicario |
Guardo i miei passi
Guardo i miei passi di ieri
che paiono tanto romiti,
e la ginestra che volge al sidereo,
lontano da ogni città,
in questo borgo senza luci
privo dell’eco delle grandi voci,
dove tutto è già programmato.
Questa è terra di ghiaccio
che cattura e si espande
in un vortice spazio temporale
su bianche tele di sorrisi
screziati
ove tutto il mondo finisce
tra solchi tracciati dalle
rughe
della vita che si consuma
e ardente è il sognare,
ammantato d'Universo,
verso voli siderali senza
vincoli,
senza visioni di estati
perdute
o domande sfumate nel dubbio,
e i sensi prendono forma
creando silenzi smisurati
aridi come pareti che crollano
mosse dal sospiro del mare
elegante nella sua spuma di
cristallo,
nel velo d’argento del
riflesso lunare
che cade in fiori dal cielo
stellato,
mentre brezze di vento alitano
il leggero profumo della
ginestra
e
s'ode lontano un flebile canto.
Ho
scritto questi versi…
Ho scritto questi versi
per farmi perdonare
per averti chiamata poche
volte:
“Amore”.
Una parola semplice,
un soffio intimamente divino
disperso nell’indifferenza dei
troppi
nella calma della sera
e del suo incanto,
nell’ora più attesa e sincera
per una carezza,
picco di roccia solitario
in una fusione magica di
suoni,
di brividi di tenerezza
che, complice, guarda, tace
e ci strappa dal mondo
dandoci l’universo.
“Amore”:
una parola ispirata
da remote riflessioni,
mai debellata nel vorticoso
tumulto dei pensieri,
soffermata per contemplare
spasmodici momenti,
utopia di poetici sospiri
di oscuro misticismo,
reclusa nell’indifferenza
che si addentra nel quotidiano
di un attimo fugace
nel rituale degli incontri.
Inerme,
mi ritrovo sospeso nel vuoto
là dove una carezza suscita emozioni
dissimulata dalla penombra
crudele
e le vane speranze
assumono le più svariate
aspettative,
non placando, nel loro
incedere,
la
mente, ma soprattutto l’anima.
I
miei passi
I miei passi mi portano lontano
per non tornare indietro,
le mie orme restano impresse
sull’umida terra fangosa
e la pioggia bagna il mio
volto
con le sue gioie e i suoi
dolori
che voglio far miei, miei
come il respiro nel riposo
che oscura la lunga notte
in un tacito esercizio di
assenze
lungo la strada del mio tempo
in cerca di una forza
ascensionale
nell’ombra che fugge la luce
in un magico incontro
tra un incommensurabile
valore aggiunto ed un folle
rapporto che perpetua
e ingigantisce il sorgere
di una consapevolezza
che si tinge di fatui colori.
L’innocente ebbrezza della
morte,
strappata ad un tempo lontano
sotto una luce beffarda e
provvisoria,
è un manto nero, violento,
dove i bambini non cantano più
mentre
il vento continua a soffiare.
I tuoi occhi
Irresistibilmente travolgente
è il tuo sguardo,
un salto nel
profondo dell’intimo
ed io mi arrendo
ai tuoi occhi.
Li guardo,
temo la vertigine
degli spazi infiniti,
della seduzione
inconsistente,
degli angoli
chiusi senza tempo,
dell’ombra nella
luce,
della passione
senza abbracci,
del canto di una
sera di carezze mai vissute.
Il buio mi
accompagna
e aspetto una
scintilla che mi conduca.
La mia paura è di
non saper volare
come i gabbiani
lungo la riva.
Ascolto il mare e
non intendo
ciò che sento,
privato del tuo respiro.
Vorrei udire
l’essenza dei giorni passati,
della dolcezza
dell’oggi,
di un giorno
sospeso ad un sospiro
specchiato in una
complicità
che non ha paura.
Mi sembra di
camminare
sopra pietre
taglienti come pugnali
per amore di
quell’angolo d’ignoto
che illumina tutti
i dubbi
mentre esploro
l’infinito,
solo, con il mio
smarrimento
per parlare al tuo
cuore,
per non lasciar appassire un fiore.
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