Laura Puglia, Il Labirinto, prefazione di Maria
Luisa Tozzi e nota critica di Edmondo Busani, Edizioni Diabasis, 2017
Il titolo della recente raccolta di Laura Puglia mette un
poco in apprensione e quasi intimidisce. Ci si chiede, prima di iniziare a leggere,
se ci troviamo di fronte a un libro dall’impegnativa componente filosofica-simbolica,
se dovremo confrontarci con testi ostici e dall’oscuro e tortuoso significato.
Appena però cominciamo a sfogliarlo, ci accorgiamo che “il labirinto” del
titolo non è la metafora di una universale condizione dell’umanità e del cosmo
ma, più modestamente e con toni e intendimenti più dimessi, è la figura che
ogni singola e concreta esistenza, a cominciare da quella dell’autrice, disegna
nel corso del tempo. Come lettori non dobbiamo quindi attrezzarci per una faticosa
scalata, ma farci trovare pronti e disponibili per una passeggiata fra ricordi,
avvenimenti, riflessioni ed emozioni che non procedono in maniera lineare bensì zigzagando a destra e a sinistra,
avanti e indietro, in un percorso movimentato.
La scrittrice, che è nata a Parma e che arriva adesso
alla sua dodicesima raccolta (la prima è del 1988), costruisce questa sua
ultima opera in otto sezioni che costituiscono altrettante tappe di un discorso
poetico coerente negli anni: la continuità ha prevalso complessivamente sulle
variazioni e sui cambiamenti. I titoli delle otto parti accennano ai temi più cari
all’autrice: “I poeti”, “L’ora di matematica”, “L’isola”, “Le città”, “I
politici”, “Il computer”, “Gli assenti” e “Gli incontri”.
Cominciamo dalla seconda sezione dedicata alla
matematica, un argomento ricorrente e centrale nella produzione poetica di
Laura la quale, dopo gli studi classici, si è laureata in Matematica e Fisica.
Ai suoi studenti ha insegnato che le cosiddette due culture, umanistica e
scientifica, non vanno disgiunte e tenute separate essendo in realtà due campi
del sapere del tutto complementari: “Avete mai paura / all’angolo di una strada
/ di incontrare un dinosauro? / Chiesi ai miei allievi un giorno. / O un
semidio vagante / una dea dell’Olimpo / un violino che suona / dimenticato in
una stanza? // L’ora di matematica / era un po’ strana. / Lo riconosco e mi
scuso”.
Diffidente e critica verso un futuro che spesso mostra il volto insinuante, invadente e un
poco prepotente del computer “invisibile ma sempre presente”, sensibile da
sempre a tematiche ecologiste e ambientaliste rispettose di una natura che va
tutelata e non ulteriormente violata, la poetessa prende posizione e denuncia. Lo fa
con determinazione ma senza gridare, senza alterarsi e scomporsi, con un garbo
e una grazia che costituiscono i tratti distintivi del suo stile.
Trova conforto rintracciando nelle città minime isole di
resistenza (“A primavera timidamente / in una crepa nell’asfalto / balena un
fiore una foglia / tra un muro e un cancello”), toccando e ammirando un mondo
minerale, pietre rocce sassi, soltanto all’apparenza distante ed estraneo.
Ironica e autoironica quando parla dei poeti e del loro
ego (“l’io si gonfia a poco a poco”), l’autrice trasforma molti dei propri
versi in occasioni di ricordi e in esercizi di memoria che riguardano la sua giovinezza. Da giovani le illusioni
prevalevano sulle delusioni, le speranze sulle amarezze, la passione sulla
freddezza, le luci sulle ombre, l’incanto sulla desolazione. Allora
“respiravamo l’amore” e ci si sentiva partecipi di un’energia vitale (“Io ne
ero parte / mi sentivo abbagliante”), a quel tempo “mi stupivo del mondo”.
Giancarlo Baroni
Nessun commento:
Posta un commento