lunedì 12 giugno 2017

N. PARDINI LEGGE: "FINO AL CUORE DELL'ESSERE" DI EMMA MAZZUCA


Emma Mazzuca




Fino al cuore dell’essere







Alcune poesie inedite
Nota critica di Nazario Pardini 



Mia debolezza, rilasciati sul prato,
tiepida e molle coltre di sole:
lenta rientro dentro l’increato
satura infine di sterili parole.

Poesia fresca, armoniosa, di interiore valenza, dove i palpiti più schietti della vita trovano posto in una versificazione oscillatoria, segmentata, ondivaga come lo sono gli stati d’animo nel percorso esistenziale: ora più intensi ora meno ma pur sempre di alta stesura lirico-emotiva. Ed è proprio nel variare dei versi, nell’alternarsi di note  più alte a più basse che l’anima trova lo specchio del suo esistere. Grande spiritualità. Grande forza ascensionale, di urgente verticalità, motivata da un cogito vòlto a trasferire i fatti della quotidianità in aree di eterna giovinezza, di perpetuo respiro, di slanci a tradire le fagocitazioni dell’oblio: già il titolo di questa breve silloge fa da antiporta al susseguirsi delle tematiche Fino al cuore dell’essere: "Noli foras ire, in te ipsum redi, in interiore homine habitat veritas". (Non andare fuori, rientra in te stesso: è nel profondo dell'uomo che risiede la verità). E la Poetessa sembra seguire questo enunciato di Sant’ Agostino.  La sua mente, il suo abbrivo emozionale, il suo intento è quello di scavare dentro, di tirar fuori i reconditi impulsi vitali, le meditazioni sulle inquietudini, le passioni scaturite dai contatti con il mondo e con le persone che l’affiancano o l’hanno affiancata. E non di rado la realtà con la sua misteriosa entità fa da oggettivazione alle ontologiche meditazioni della Mazzuca; agli stati d’animo che sperdono la loro  epigrammatica sostanza in voli oltre la terrenità, pur con l’animo zeppo dei risvolti fenomenici della stessa: “…Crolla la luce, perde le sue foglie il giorno/ più in alto, d’un tratto, / giunge l’improvvisa notte/ occhiate prudenti, /l’ammiccare delle stelle./ Indizi, al di sopra dell’acme.”. Una simbiotica fusione fra schizzi di cromatico effetto visivo e “Indizi, al di sopra dell’acme”. Si può dire che la Nostra tocca tutti quelli che sono gli angoli più nascosti del nostro esistere; ogni pensiero sulla brevità della  vicenda umana; del suo precario sfumarsi. E lo fa con un simbolismo di resa poetica, di coinvolgimento panico, umano: “… e non c’è albero che regga/ tutela dell’attesa/ e la foglia cade/ e non sa dove.”. Un senso di smarrimento, di sperdimento, che tanto sa di risvolti vicissitudinali di un essere che cerca di ritrovare se stesso mischiandosi ad un verde che richiama tempi di vita; di concreti abbracci sapidi d’amore; di un colore che riporta a sprazzi di giovanili incontri. Per non dire degli immensi impuri oceani dove è facile smarrire la  nostra identità, dacché non  vi è soluzione a interrogativi che nascono da turbanti giochi coll’infinito; da onde che si accavallano le une sulle altre in un perpetuo moto che tanto sa d’eterno: “… Ma poi sotto le luci ferme delle stelle/le acque confuse di quegli impuri mari/vanno rigurgitando verso abissi immani.”. Afferma Baudelaire: "Uomo libero / amerai sempre il mare / il mare è il tuo specchio/ nello svolgersi continuo delle sue onde / contempli la libertà dell'infinito". E Pascal dans les pensées: “Cos'è un uomo nella Natura?/ Un nulla davanti all'infinito,/ un tutto davanti al nulla,/ qualcosa di mezzo tra il nulla e il tutto.”. Forse la Nostra è cosciente della precarietà del tempo e della vita e per questo tanti riferimenti poetici riportano a questa filosofia. D’altronde è umano, fortemente umano azzardare sguardi oltre gli orizzonti; ma è anche possibile rischiare il dolce naufragio leopardiano, il tramutarsi dell’assillante clessidra in un vuoto dove la memoria perde i suoi stessi connotati: “... e un dischiudersi di remoti scuri/ spiare i mezzi camuffati/ e tu senza esempi/ la notte raschiata/ e la memoria.”.
Ma si sa che l’onirico torna sempre a galla con  la sua potenza emotiva; e le immagini, pur sfumate dal correre degli anni, s’ingigantiscono nella sacca dei ricordi; s’infoltiscono per dare consistenza ad un patrimonio che ci portiamo dietro come prolungamento dell’esistere: “… dove tu padre/ eri chino su un fianco/ il mio sguardo/ fu subito colmo di luna/ venni/ per nascerti ancora una volta/ dentro.”. Una plaquette, dunque, energica e docile, docile e diretta, diretta e avvolgente, dove le umane e sentite meditazioni sull’esser-ci, pur se a  volte segnate da un certo sottofondo di melanconica intrusione, rivelano  il grande attaccamento alla irripetibile vicenda della vita; ad una storia dove gli affetti volgono la rotta ad “Indizi, al di sopra dell’acme.”.

Nazario Pardini 



  
   Un frammento di cielo

    Le panchine sono come serrate
    dalle ferruginose sbarre del muro,
    imprigionate dai giardini dove
    il sole si nasconde
    vicino al bosco vergine
    al prato immobile
    al ponte che rotea a piombo
    nel solo angolo retto.
    Nel cielo una torre di nubi si dissolve
    e d’un colpo, in frotta, 
    gli uccelli s’innalzano nella volta.

    Verde tappeto d’acqua,
    dolce più dell’erba, aspro in bocca
    ma più diletto allo sguardo;
    s’inzuppano gli alberi genuflessi
    fidente è l’aria e piena di sopore.
    Crolla la luce,
       perde le sue foglie il giorno
        più in alto, d’un tratto,
       giunge l’improvvisa notte
       occhiate prudenti,
       l’ammiccare delle stelle.

       Indizi, al di sopra dell’acme.



        Foglia

        La sfera umana
        la brezza i selci sterrati
        l’incerto vivere in te
        non la conoscenza delle piogge
       fugace tempo di spostamenti
        e Cassiopea celata
        più radiosa di luce nei rientri
        e il nostro tornare
        ebri di stoppie e cicale

        eppure era nuovo il sapere
       lungo covo di formica
        sotto la corteccia della quercia
        e smarrirsi in misteriosi rii
        l’inverno pensato
        tu che esisti nel vento
        e nel vento la tua parola vive
        immobile come la foglia sull’alta fronda

        ma deviano i quadranti di novembre
        e non c’è albero che regga
       tutela dell’attesa
        e la foglia cade
        e non sa dove.



        Tornare ad essere

        Mia debolezza, rilasciati sul prato,
        tiepida e molle coltre di sole:
        lenta rientro dentro l’increato
        satura infine di sterili parole.

        E più non mi rattrista l’aguzzo vuoto
        tra coscienza ed essere, parole,
        indizi per me senza un senso
        nella dispersa ebrezza del sole.

        Mi disseto all’ascetica polla dell’uno,
        del quale sono un misero brandello,
        nondimeno un tutto, pallido non essere.

        Nel cielo galleggia la foschia, poi svanisce
        in una fluttuante e lenta danza di velami:
        l’anima si mescola alla vigoria del verde.



      Oceani

        Gli oceani, spiegate lontananze
        trascinano gli echi della solitudine,
        poderose orchestre delle divergenze
        dentro le norme dell’inquietudine.

        Lì si riverberano le lievi danze
        di nivee nuvole nei firmamenti,
        che a rilento cambiano sembianti
        nell’intonare le soavi armonie del vento.

        Sussulto dell’onda che subentra all’onda,
        che incalza l’onda con perpetuo ansare
        affinché l’una nell’altra si nasconda.

        Ma poi sotto le luci ferme delle stelle
        le acque confuse di quegli impuri mari
        vanno rigurgitando verso abissi immani.



       Primo meridiano

        Primo meridiano
        tempo su attoniti volti di genti
        dove lo sguardo è di gelo
        contro tralci anneriti di corvi
        per un filo avvizzito
        prima lieto nelle luminarie
        dense di effluvi
        sotto la pelle dell’acqua
        invaghito di colombe
        attorno a cornicioni di mirto
        declinante finestra sui campi
                
        bloccarti nel cuore
        al tremendo angolo del giorno
        scivolare verso stelle remote
        corsa risonante su volte a margine del mondo
        giare di luna sorbite sino alla sofferenza
        non il diniego del gallo cresta spartita

        tamburi colpiti nel piombo
        mancanza dell’uomo che remiga a vuoto
        con ogni sua mano.



       Saggezza dell’acqua
       
        Saggezza dell’acqua
        impensata come la terra
        e occultata di foglie
        non c’erano gli animali consueti
        il nome non enunciato
        cose comuni
        una nuova coscienza
        l’incanto nelle forme di vita
        azzardare le lande prima della colomba
        le mani raschiate per il ritornare
        noncuranza per l’acre acqua di dolore
       e l’erba lucente e bagnarsi il petto
       in una estate di doli
        tua saggezza dell’acqua
        raccolta di muschi
        la selce lisciata
        ed io non c’ero
        sabbia fra le candele
        alibi del primo abbandono
        ma dopo il sogno reciproco fra le pareti
        e un dischiudersi di remoti scuri
        spiare i mezzi camuffati
        e tu senza esempi
        la notte raschiata
        e la memoria.



       Padre

        Venni 
       con lo squittire degli uccelli
        lungo il sentiero di caprifogli
        a interrogare 
       prati pietre ruscelli
        sotto la parete vermiglia delle rose
        dove tu
       padre
       eri chino su un fianco
                
        il mio sguardo
       fu subito colmo di luna
        venni
       per nascerti ancora una volta
      dentro.


       Emma Mazzuca                                      


1 commento:

  1. Carissimo Nazario,

    che gioia che mi dai! E’ tutto bellissimo. Il tuo illuminato scritto è qualcosa di incredibile, riesci a scavare ad estrapolare le mie più recondite sensazioni dandogli nuova vita in una visione che mi affascina. Ti ringrazio per il tuo giudizio sulla mia poetica, per me vuol dire tanto, sei veramente grande e il tuo pensiero mi dà sicurezza. Le poesie sono sistemate benissimo, mi dispiace che il file ti sia giunto non perfetto forse perché era in Word. Nazario grazie per la forza che mi dai, voglio dirti che la mia gratitudine nei tuoi confronti è veramente immensa. Un caro e sentito abbraccio. Emma

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