Francesco Casuscelli, collaboratore di Lèucade |
Amico mio carissimo, eccomi nel tuo solco poetico. Oggi ho sentito tutta l'armonia della tua poesia e mi sono lasciato guidare dal tuo fervore ispirativo per bere i tuoi versi. Ho letto e amato la poesia L'aratro inserita nella raccolta Idintorni della Solitudine, ho sentito i rumori i profumi tutti i richiami della tua terra e dei tuoi ricordi. Che bello rivivere l'infanzia! lo sò che è molto doloroso ma quando si pensa con il cuore sgorga il sangue della nostalgia e la poesia è diviene medicamento che sutura la ferita e l'aiuta a farla cicatrizzare. Il vino della nostalgia poi quando diventa poesia viene condiviso con gli amici, i quali sanno portare temi di conversazione e compagnia per disperdere l'amaro e far trionfare l'amore.
Nei tuoi versi ho trovato tanto amore e spero che la
mia lettura riesca a dare un degno tributo alla tua immensità.
L’ARATRO
Non
gli è rimasto che il vomere. I legni,
rosicchiati
dai topi e dalle tarme,
sono
ormai consumati. È lì che adocchia
lo
spiraglio di luce nella stalla
con la
speranza che il vecchio padrone
lo
tolga da quell’angolo nascosto;
gli
rifaccia le membra e lo riporti
alla
vita dei campi: “Che profumi
respiravo
quando la mia lama
solcava
la terra a primavera!
Ho
sempre dentro l’anima l’afrore,
accompagnato
dal canto dei merli,
e
dalle serenate dei fringuelli.
Quando
uscivo fuori a riposare,
i miei
occhi allungavano lo sguardo
a un
orizzonte vasto a dismisura.
Ora
son qui che vivo di ricordi,
e mi
fa male questa solitudine.
E se
qualcuno viene ad annaspare
in
questo luogo lasciato all’abbandono,
nemmeno
mi rivolge la parola.
Sono
un aratro stanco, malandato,
ma più
delle ferite corporali
mi
dolgono i risvolti della vita:
questa
fine fra aggeggi logorati,
fra
attrezzi arrugginiti dall’età.
Vorrei
che qualcuno ricordasse
l’aratro
che un giorno sorrideva
nel
preparare il campo per le semine;
nel
lucidare il vomere all’attrito
col
solco affratellato con il sole.
Sono
l’aratro. Anzi fui l’aratro.
Vorrei
la mano calda di qualcuno.
Vorrei
tanto il ventre di mia madre.”.
DA “I DINTORNI DELLA SOLITUDINE”, GUIDO MIANO EDITORE, 2019
Il mistero della parola che sgorga nel
silenzio della carta, una pagina che si apre come la terra che lo stilo solca e
il gesto della scrizione diventa aratura del terreno rinvenendo i reperti della
memoria. Ecco che la parola acquista un significato che sfidando l’oblio porta
in luce i tesori nascosti nei sedimenti dell’anima del poeta, per donarli alla
corrosione del tempo. Ma nella poesia la parola è un metallo prezioso che
resiste alla corrosione e vince il rintocco dell’ora. L’aratro diviene metafora
dell’uomo che vittima del progresso ha rivolto lo sguardo verso altre luci
accantonando le origini rurali e le ataviche fatiche dei campi. Ci troviamo in una trasposizione dell’uomo
nell’oggetto, un cuore che si trasforma in vomere e le braccia che cercano
appigli ai fili della memoria. Un canto poetico che ci restituisce il TEMPO
quello di un padre che affida alla terra il suo destino e quello della
famiglia, che vede nella figura curva sotto il sole il custode della sua vita.
Semi di rispetto e d’amore una benedizione divina che ripaga dal sudore. Gli
arnesi abbandonati riacquistano una vita emotiva, si fanno materia dei sogni in
cerca di un riscatto. Come le navi arrugginite agli ormeggi ormai dismesse e
preda di ferraglia per riparare altre navi, perdendo quel ruolo di centralità
svolto nel servizio. È come l’uomo che avendo svolto il suo ruolo nella società
del produrre perde l’ossequio del mondo che lo circonda e quindi la scrittura
diviene denuncia. “Vorrei che qualcuno ricordasse/l’aratro che un giorno
sorrideva/nel preparare il campo per le semine;/nel lucidare il vomere
all’attrito/col solco affratellato con il sole”. Qui l’espressività dei
versi si innalza per tendere ad una curvatura del limite della parola che
congiunge il vomere e il solco, come la freccia e la ferita uniti nella
complementarietà, quando la freccia si estrae la ferita si dissangua. Il tema del male di vivere montaliano è
ampiamente presente nella poetica pardiniana, lo ritroviamo ad esempio nella
poesia La Barca “Sono una barca che s’inarca al mare,/sono un fuscello in
balìa del vento/che cerca un porto dove rifugiare/le mie malinconie. A volte ho
visto/una pallida luce di conforto/a indirizzare la prua. I remi stenti/ […]“
. In questa poesia l’uomo si identifica con una barca che si inarca sulle onde
per far fronte alle difficoltà, nella poesia L’Aratro invece si immedesima
nell’oggetto abbandonato. Il messaggio che ci vuole trasmettere Pardini è di
carattere ecologico di guardare alla Terra e all’ambiente con animo sensibile e
con atti sostenibili per mantenere il suolo fertile e avere nutrimento sano dai
frutti del lavoro. Ma è anche il messaggio della lotta dell’uomo nel
fronteggiare le difficoltà della vita e di cercare sempre di comunicare lo
stato d’animo attraverso la parola per riuscire a tramutare i disagi in
condivisione e bellezza poetica. Il lavoro, l’operosità, il sudore che
caratterizzavano le famiglie nell’infanzia del poeta si fanno vibranti di
preziosa emozionalità e il canto nostalgico si esalta nei versi fino a toccare
le corde più sensibili dell’uomo. L’opera poetica di Pardini è alimentata dal
significato della condivisione e sul senso della cultura non solo dei libri ma
anche della terra, senso che essa attiva e ispira nella
meditazione più profonda, più ampia. La poesia, in quest’ottica, è il fondamento della condivisione e
Pardini lo fa con grande generosità. L’uomo vive quindi, un senso
di abbandono, di perdita del suo ruolo sociale e ancora di più vive la perdita
dei suoi cari che custodivano l’amore dell’appartenenza alla terra, al casolare,
a tutto quel chiamare e urlare per i pochi momenti frugali di condivisione del
poco che si moltiplicava e benediva con la mano del Padre sul cuore della Madre
e della Famiglia.
Francesco, stai dimostrando in tutte le tue letture una volontà di aprirti al dono a dir poco rara! Si vive tra gli egoismi individuali, che per fortuna non superano gli altruismi e la tua volontà di spalancare le ali per posarti sulle magie dei Poeti è degna di grande ammirazione. Ricordo perfettamente questa lirica, incantevole affresco di un mondo che non ho l'ardire di definire passato. Nazario è legato al territorio dei ricordi perché consapevole che senza di essi non esisteremmo. Traiamo linfa vitale dal pozzo della memoria. Sei disperatamente vero quando asserisci che sopraggiunge la nostalgia del perduto, dei miracoli dell'infanzia, ma sei altrettanto autentico quando sottolinei che 'la poesia diviene medicamento che sutura la ferita e l'aiuta a farla cicatrizzare'. I versi svolgono molti compiti, amico mio, il nostro Maestro ne è consapevole e mantiene il cuore fanciullo anche grazie al lirismo meraviglioso e travolgente che sa concepire. In questa Poesia il Vate si sente l'Aratro, attua una metonimia, diviene l'oggetto e nella chiusa, a dir poco struggente, invoca il ventre materno, quel grembo dal quale nasciamo e al quale torniamo... Grazie Francesco per questo tributo e grazie al Poeta che stordisce e incanta! Vi abbraccio entrambi.
RispondiEliminaCara Maria, ti sono infinitamente grato per la condivisione delle mie percezioni e del mio emozionarmi davanti alla poesia maiuscola. Ti ringrazio anche per le parole gentili sulla mia scrittura.
RispondiEliminaUn caro saluto