GUIDO MIANO EDITORE
NOVITÀ EDITORIALE
È uscito il libro di poesie:
IL TRENO E IL PIOPPO di GIUSEPPE BERTÒN
con prefazione di Enzo
Concardi
e traduzione in
inglese di Luisa Randon
Pubblicata la raccolta poetica dal titolo “Il treno e il pioppo” di Giuseppe Bertòn, con prefazione di Enzo Concardi e traduzione in inglese di Luisa Randon, nella prestigiosa collana “Alcyone 2000”, Guido Miano Eitore, Milano 2021.
Il treno e il pioppo di
Giuseppe Bertòn - già a partire dal titolo - è un originale libro di
poesie, tradotto in inglese da Luisa Randon che, in quanto ad originalità, non
sembra essere da meno; infatti nel suo profilo artistico leggiamo: «Il suo
giardino è la ‘stanza tutta per sé’ di Virginia Woolf, un luogo dove sentirsi
libera, creativa, circondata da emozioni, profumi e colori che hanno
caratterizzato le varie fasi della sua vita». E l’autore, oltre a scrivere
poesie, lavora come medico cardiologo e ricercatore, ma non solo: corre
maratone, in montagna, in bicicletta e scia. È ammiratore del complesso
musicale rock inglese ‘Van der Graaf Generator’, e vedremo come tale passione
gli abbia ispirato poesia. Gli elementi tipici continuano con le due citazioni
in apertura sul mondo dei treni e delle ferrovie, scelte ad hoc: «Le
stazioni sono una mia vecchia passione. Potrei passarci giornate intere, seduto
in un angolo, a guardare quel che succede. Quale altro posto, meglio di una
stazione, riflette lo spirito di un paese, lo stato d’animo della gente, i suoi
problemi», sguardo sul mondo di Tiziano Terzani. «E poi, il treno, nel
viaggiare, sempre ci fa sognare», visione romantica di Antonio Machado.
E c’è una spiegazione precisa, autobiografica, anche per la
titolazione, della quale preferisco parlare quando s’arriverà, nell’analisi dei
testi, appunto alla lirica Il treno e il pioppo, un accostamento di due elementi in apparenza strano, ma
significativo e persino logico nei vissuti del poeta relativi all’età
infantile. Strutturalmente la raccolta è
stata suddivisa dall’autore in sei brevi sezioni: L’ultima sera dell’anno (I);
Marocco (II); Mille anni (III); Una volta ho scritto una
poesia (IV); Alla luna (V); Senza fine (VI). In generale ci troviamo di
fronte ad un autore che esprime una visione universalistica, cosmopolita,
legata a valori umanitari e solidali del mondo, dell’uomo, della società.
Culturalmente conserva i contributi del classicismo e nel contempo si proietta
verso le novità artistiche provenienti in particolare dal mondo anglosassone:
come evidenziato nella nota biografica il ‘sound’ del libro è forse in qualche
modo poetico-rock.
Le radici classiche affondano
nell’ellenismo mitologico e dell’Eros per risalire fino alla classicità
leopardiana e sconfinare nel Romanticismo con il misterico canto selenico.
Dall’antichità ancora echeggiano le divinità della civiltà greca con alcune
figure rappresentative della bellezza, della poesia, dell’ebbrezza e della
liberazione dei sensi: «…Apollo, bellezza di forme, / parla parole soavi, /
abbellisce la terra della Grecia // e gli occhi del mondo. / Apollo sente il
vento della musica / e vola, sul canto di Dioniso / per le vie della Grecia…» (La
notte). Il respiro secolare della poetica di Berton si concretizza ancora
nella bellissima Mille anni, una celebrazione dell’amore, che persevera
immutabile ed eterno nel cuore degli umani, così com’era vissuto e cantato, nel
mondo conosciuto come Ellade, da Eros e Afrodite: «…Mille anni dopo, / ho
sentito un poeta dire le tue parole, / leggiadre e incantevoli. // Mille anni
dopo, / ho sentito un musicante cantare il tuo canto, / ho sentito una ragazza
respirare il tuo respiro. // Mille anni dopo, / gli stessi palpiti nel petto, /
gli stessi baci, le stesse parole ...».
La lirica Alla luna è scritta
rimembrando il Leopardi del pessimismo filosofico e cosmico del Canto
notturno di un pastore errante
dell’Asia: entrambi gli autori interrogano
la luna come una semi-divinità per conoscere i destini umani, il senso del
dolore che immutato e immutabile tormenta
l’individuo e l’umanità intera. È nota l’imperturbabilità e la freddezza della
luna leopardiana, che lascia “il poeta immenso” senza risposte e più
sconsolato di prima, rafforzando la sua convinzione dell’inimicizia radicale e
insanabile tra la Natura, la Ragione e
l’Uomo, poiché le considera la causa principale della nostra infelicità. Non
così nel nostro poeta, il quale mantiene aperto un dialogo con il corpo celeste
che ruota sopra di noi, ha toni gentili e suadenti nei suoi confronti e, in
conclusione del canto, le chiede di donare dei momenti di felicità alle creature terrestri: «…E la
dolce ragazza sulla riva / del mare greco, nella sera d’estate, / che ti guarda
sognante! / Le regalerai un bacio questa notte? // E la sposa felice / che oggi
fa festa, / perché è la sua festa! / Le regalerai amore questa notte?...». Si
rinnovano qui le atmosfere lunari notturne tanto care agli artisti romantici:
oltre ai poeti, i musicisti (Beethoven, Chopin, Liszt …), che creano un legame
con il poeta Berton, musicologo.
Ed eccoci, a proposito del connubio tra melica e musica,
alla parte IV del libro dal titolo Una volta ho scritto una poesia, composta
soltanto da tre liriche, delle quali l’autore dice: «Le tre poesie che seguono
sono ispirate e rispettosamente dedicate alla musica dei Van der Graaf
Generator». Si tratta di un gruppo ‘rock progressive” inglese, il cui leader,
Peter Hammill (voce, chitarra, pianoforte) è il principale autore delle
canzoni. Ebbero subito un notevole successo, che divenne europeo con l’uscita
dell’album Pawn Hearts nel 1971. Si distaccano tuttavia dagli altri
gruppi del genere (Genesis, Yes, King Crimson …) poiché sviluppano temi
filosofici nei pressi dello psicodramma, con atmosfere essenziali e cupe, senza
virtuosismi e barocchismi. Il faro, Gerico, Il giardino abbandonato di
Berton riecheggiano i loro contenuti e il loro stile.
Nella prima composizione protagonista è l’anima tormentata
del poeta che cerca approdi di pace interiore: «…Il faro, sopra l’anima, / una
piccola luce nella notte inquieta, / sull’angoscia che attraversa la pelle. //
Il faro, luce fioca ancora lontana, / forse ci condurrà / in un porto
tranquillo». Una folgorante visione della condizione umana che ricorda quella
di Quasimodo in Ed è subito sera. Nella seconda è raffigurata una sorta
di Apocalisse dei mondi e delle civiltà, dalla cui rovina si salva solo la
dolce e leggera Willie, simbolo forse
dell’innocenza perduta. Nella terza lirica il poeta sviluppa una riflessione
metastorica sul senso del tempo e quindi della vita, come un ‘giardino
abbandonato’, dove c’è tempo solo per i nostri fugaci sentimenti, e c’è forse
nostalgia per l’Eden perduto, per l’iniziale condizione di beatitudine ormai
appartenente solo alla memoria lontana dell’umanità.
Ritengo poi paradigmatica di una presa di posizione contro tutte le discriminazioni e le differenze d’ogni tipo fra gli individui, la poesia intitolata MLK - sicuramente le iniziali di Martin Luther King - dedicata all’integrazione razziale, ambientata «…sulle dolci colline dell’Alabama /…/ Quando bambini neri e bambini bianchi / hanno corso insieme a perdifiato /…// tu hai sorriso. / Un bambino nero ed un bambino bianco / sono venuti da te. / A portarti un sogno». Ma potrebbe esserlo anche Homeless, dove il poeta prova pietà e vergogna per la sorte di un ‘senzatetto’, ma anche per sé stesso, per non aver avuto il coraggio nemmeno di guardarlo mentre la polizia lo portava via. Nello stesso ambito tematico potremmo anche citare la lirica Black on black. 55.49 (NewOrleans), uno spaccato d’America «fitto di colore, fitto di dolore»; e Alle 5 della notte, il mondo di pazienti, medici, infermieri dove c’è sempre qualcuno in pericolo di vita al pronto soccorso degli ospedali e chi cerca di salvarlo. Solidarietà, empatia, umanità: sfere che la poesia ha il dovere di visitare. Ma, allora, perché Il treno e il pioppo? Ce lo spiega lo stesso autore nella nota alla lirica: colpito fin da bambino dal mondo mitico dei treni - dall’anima inquieta, in continuo movimento - lo ha poi da adulto confrontato al modo di esistere del pioppo, al contrario dall’anima saggia, legata alla terra. E la poesia riflette «... solo lo sguardo di un bambino, che giocava, e guardava, con meraviglia, senza capire». Il caso ha poi voluto che l’incontro d’amore con Stefania - compagna di vita a cui è dedicato il libro - sia avvenuto in treno, come si evince dalla lirica In un sospiro. Bertòn ci narra tutto con uno stile poetico libero, dove tuttavia si trova una prevalenza di strofe con quartine, terzine e distici e un utilizzo insistito di anafore, che conferiscono alla metrica ritmi e scansioni incalzanti, trasmettendo alla poesia assonanze che possono echeggiare quelle di un ‘progressive rock’.
Enzo Concardi
Giuseppe Bertòn è
nato l’11 marzo 1957 a Zurigo e vive a Conegliano (TV) con Stefania; lavora
come dottore in cardiologia e come ricercatore. Principalmente si perde in
pensieri persi. Altre volte corre maratone di piedi (incluse alcune delle più
belle del mondo), trials montani o fa bici, o scia. Lui pensa, che scrivere
poesia è vicino al modo della pittura, stesso modo di mettere giù nella
carta/tela i movimenti dell’anima e le emozioni ed i colori. Non serve un
dizionario per comprendere i versi. Basta il cuore per comprendere la lingua
del poeta. Questo libro contiene una lunga poesia dedicata alla Luna. È venuta
così, solo per averla guardata fitta in una sera bella, con l’anima vagamente
tormentata. L’autore spera che Giacomo Leopardi, quando la leggerà, sia benevolo
nel giudizio. Il “sound” di questo libro è forse in qualche modo poetico-rock.
La parte IV, che comprende tre poesie, è ispirata ed interamente dedicata alla
musica dei Van Der Graaf Generator. E forse potrebbe essere descritta come
progressive-rock poetico.
Giuseppe Bertòn, Il treno e il pioppo, pref. Enzo Concardi, trad. in inglese di
Luisa Randon, Guido Miano Editore, Milano 2021, pp. 100, isbn 978-88-31497-61-9,
mianoposta@gmail.com.
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