Maurizio Donte, collaboratore di Lèucade |
Nota critica al sonetto di Federico
Cinti
NARCISO
E caddi nell’immagine del cuore,
l’unica forse che io amai davvero:
io mi smarrii tra le onde del mistero
senza avvertire il minimo dolore.
Al di là dell’antica acqua incolore
tutto m’apparve in quell’istante nero:
ormai in me si schiudeva la via al vero
rinascendo al sorridere d’un fiore.
Nulla di ciò che fu. Nel cuore immoto
annegò sconosciuta la visione
di chi viveva lieto oltre lo specchio.
Addio all’inconoscibile, addio al vecchio
mai più intravisto, liquida illusione,
eterna gioia spersa nell’ignoto.
Casalecchio di Reno (Bologna), 4 giugno 2021
Federico Cinti
© Federico Cinti
Tutti i diritti riservati
"E caddi nell'immagine del cuore
"... Così già nell'incipit, Federico Cinti ci trasmette l'impressione
stessa del fiducioso approccio all'esistenza che si ha nell'aprirsi alla vita.
L'inizio, la primavera, la sicurezza ingannevole della inconsapevolezza del
finire che deriva dalla nostra fanciullezza. Ci si perde allora nel nostro
stesso riflesso, nel pensare proprio del nostro essere come univoco, certo,
solido, come è nella nostra stessa auto percezione: siamo noi, e siamo certi
della nostra immagine riflessa, di quello che pensiamo di noi. A volte in
questa immagine ci perdiamo, innamorandoci di noi stessi, fino al punto da
trascurare ogni input contrario, ogni critica proveniente dall'esterno.
Questo racconta il mito di Narciso, di
Ovidiana memoria, ripescato in questo magistrale sonetto dall'amico Federico,
sì, proprio uno di quei miti antichi, oggi ritenuti del tutto inutili,
superflui, imbarazzanti, da cancellare in un revisionismo iconoclasta e
stupido, dai contorni fumosi, che porta a rifiutare l'insegnamento che ci
deriva dallo studio dei classici, come se la nostra storia, la nostra stessa
giurisprudenza, la Scienza e tutta la cultura attuale non derivasse dai
millenni di riflessione e di lavorio intellettuale compiuto dalle generazioni
precedenti: dal nulla non nasce nulla, e rinnegare le radici, nell'arte come
nella cultura, come nella società è un comportamento assurdo, irresponsabile, e
sterile oltreché controproducente.
Questo racconta Federico leggendo in
filigrana tra i suoi versi: questo individualismo sfrenato che connota il
presente, il culto esasperato del bene più effimero: la bellezza fisica, che si
cerca di mantenere il più a lungo possibile ricorrendo alla chirurgia estetica,
con risultati assolutamente grotteschi, è ( nonostante la negazione dei miti)
null'altro che la reviviscenza del mito di Narciso, a testimonianza della
attualità dei classici.
Un altro motivo di riflessione viene
suggerito dalla lettura di questi versi, legato invece al più recente
Novecento, precisamente al pensiero che pervade tutta l'opera di Luigi
Pirandello, massimamente derivante dal suo romanzo: "Uno, nessuno, e
centomila". Vitangelo Moscarda, il protagonista, vede la sua esistenza
stessa scardinata da una banale osservazione fattagli per una caratteristica
del suo viso, che gli era sempre sfuggita.
Ecco, il nostro vivere da adulti si basa
proprio sul difficile equilibrio tra la nostra auto percezione e l'immagine
riflessa del nostro essere nella percezione che ne hanno gli altri. E quindi
esisto io come penso di essere, o esistono tanti me stesso quante sono le
persone che incontro? In questo gioco di specchi ci si può anche perdere di
vista fino ad essere nessuno, o ad adattarci a recitare il ruolo di chi
dovremmo essere per gli altri.
Un discorso che forse va molto oltre
quello che si può scrivere in una breve nota "critica ", per così
dire, da parte di un amico che certo non ha studi sufficienti per approfondire
ulteriormente.
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