SINFONIA
Come ogni giorno mi siedo al pianoforte, vicino
alla finestra. Con una sola luce accesa, una abat-jour un po’ scassata,
appoggiata sul davanzale.
Da un tempo di cui ho perso il conto, ripeto
questo rito ogni mattina e ogni sera. Mi siedo e basta. Non suono, non ricordo
più la meccanica delle note.
Lo spartito mi guarda muto. Ma il solo stare
seduto lì mi dà un po’ di conforto.
Ogni tanto butto uno sguardo oltre i vetri,
verso quel pozzo di luce ritagliato tra i tre lati dell’enorme condominio dove
vivo da sempre. Tre ali, un numero imprecisato di anime e di vite che al
mattino aprono le avvolgibili e spengono la luce; la sera, alle prime ombre,
riaccendono le luci e chiudono le avvolgibili.
Solo due finestre, al quinto e al sesto piano,
sulle ali opposte del palazzo, continuano a guardarsi, le luci rimangono sempre
accese. Neppure io chiudo più le avvolgibili, il nastro ormai indurito dalla
mancanza di utilizzo.
Inevitabilmente osservo la vita dietro i vetri
di quei due varchi verso altre realtà. A destra abita un uomo anziano,
perennemente in vestaglia da camera, che siede vicino alla finestra e osserva
un punto di fronte a sé che io non arrivo a vedere. Suppongo sia un televisore.
Ogni tanto si alza, sparisce nel buio di altre stanze e poi torna a sedersi là.
A sinistra una donna dall’età imprecisabile,
con un grande foulard colorato avvolto intorno alla testa, a mo’ di turbante,
che guarda fuori dalla finestra, assorta, poi si muove rapida verso il buio,
poi torna alla finestra e riparte
verso il buio. Così, come la spoletta di un
telaio.
Un giorno dopo l’altro comincio a distrarmi
dalla tastiera silenziosa e avvicino di più la sedia alla finestra, per seguire
la sinfonia di quei due personaggi che stanno diventando i protagonisti più
importanti della mia esistenza immobile.
Mi sento molto simile a Novecento, nato su un
transatlantico, che conosce solo la vita che attraversa il suo scafo. Di spazio
ce n’è molto: quello compreso tra la prua e la poppa. Scendere i gradini e
visitare le città gli riesce impossibile. Hanno troppe strade, troppe persone,
si perderebbe. Ma lui almeno suona e sui tasti del pianoforte trova il suo
mondo. Io ero bravo, mi chiamavano per i concerti. Ora è sceso il buio
sull’esistenza di prima.
Ho scelto quest’abitazione senz’anima, perché è
specchio fedele del mio stato attuale e il pianoforte mi ha seguito come
un’appendice, ma non riesco a usarlo. Sono chiuso in una bolla. Così scopro le
vite degli altri, non perché le trovi più interessanti della mia, ma in quanto paradossalmente,
osservando loro dò un senso ai giorni che scorrono. Sono
giunto alla conclusione che se il tempo
richiede la parte migliore di me posso eluderlo solo inventando altro tempo.
L’uomo in vestaglia da camera sembra solo. Ha il conforto dello schermo. Presumo
che si allontani solo per mangiare un boccone, lavarsi… sommariamente, e mi chiedo
come possa fare la spesa, se abbia figli, parenti, amici. Io esco la mattina
molto presto, compro il necessario e torno alla melodia delle due esistenze
sconosciute. Lui è sempre lì, indossa ogni giorno la stessa vestaglia e ogni
tanto si addormenta davanti alla televisione.
Passano i giorni e, come per ogni musicista, la
sinfonia delle vite di quei due sconosciuti dirimpettai pretende che lo
spartito proceda, alternando tempi e ritmi. L’uomo in vestaglia diventa il mio
Andante moderato, la signora con il foulard colorato è il mio Allegretto.
Mi accorgo senza esserne veramente cosciente
che comincio a prendere gusto a questa partitura sulla vita degli altri, e
capita persino che una mattina, quando la signora Allegretto apre i vetri e si
affaccia, abbia l’impeto di mettermi a fischiare per attirare la sua
attenzione. Potrei sorriderle, chiederle come si chiami…e poi magari parlare un
momento del tempo e di come si cominci a sentire aria di primavera… e poi e
poi…
E poi nulla, le labbra non rispondono al
comando, rimangono serrate e, come al solito, tutto rimane murato nel mio
cervello. Anzi, mi allontano bruscamente dalla finestra, nel timore che il mio
pensiero sia stato sufficiente ad attirare la sua attenzione.
Per alcuni giorni allontano la sedia,
spaventato da questa fiammella di vita che ha brillato per un attimo nel buio
della mia esistenza.
Infine la curiosità - o piuttosto un rinnovato
senso di solitudine che mi ha assalito da quando non guardo più i due
protagonisti della mia sinfonia -
mi fa compiere qualche passo verso la finestra.
Molto adagio, adagio, andante lentarello…
Prima raggiungo il pianoforte. Mi pare di
rivederlo dopo tanto tempo. E’ un attimo, la mia volontà è sopraffatta
dall’automatismo di un gesto ripetuto troppe volte e di scatto alzo il
coperchio.
Novecento torna a farmi visita. Mi ricorda che
“i tasti sono ottantotto e su questo nessuno può fregarmi. Non sono infiniti,
loro. Io sono infinito, e dentro quei tasti posso suonare musica infinita”.
Restando in questa stanza
priva di suppellettili, di storia, di amore.
Sono comunque libero perché posso creare qualcosa che torni a rendermi vivo, a
darmi senso. Mentre poso le mani sui tasti impolverati mi accorgo che si
muovono da sole. Stanno seguendo l’adagio andante quasi allegro che ho creato
per i miei inconsapevoli dirimpettai. In fondo, mentre la musica fluisce e
riempie il vuoto della stanza, penso che la vita è così simile a una sinfonia.
Ne siamo gli autori determinandone il ritmo, decidendo con quali note e quali
pause riempire il tempo. Decidendone gli accenti. So di aver sempre parlato
attraverso la musica. Le donne mi ascoltavano con gioia i primi tempi, poi cercavano
l’uomo che si celava dietro le note e non lo trovavano. Sapevo nascondermi.
Loro volevano le parole, le passeggiate, i ristoranti, i cinema.
Io vivevo tra i concerti e la mia abitazione
lussuosa. Le trascinavo nei miei sentimenti attraverso gli spartiti. Ogni
giorno erano diversi, si saliva sul deltaplano delle passioni, della gioia,
della solitudine, della rabbia. Le emozioni non erano finite come i tasti del
pianoforte, ma infinite e davano tutte le risposte, anche quelle non cercate. Io
non mi sentivo mai solo. Ora so che ero un pazzo egoista. Pretendevo di
trascinare nel canto della terra che scorreva nelle mie viscere le donne, gli
amici, i pochi parenti. Sono finito nella bolla perché mi hanno abbandonato
tutti. Ho smesso di suonare e sono terminati i concerti, la fama, gli applausi.
Della gloria non mi interessava nulla. Gli altri credevano fosse più importante
dell’aria che respiravo. Mentre le mani volano sui tasti riconosco l’unica
ragione della mia esistenza:
Ringrazio il nostro Nazario per aver postato subito il terzo racconto scritto con Isabella Conte. Devo confessare che non immaginavo che Edda avesse in serbo un simile dono per me... dopo tutti gli altri. Isabella è nata per scrivere. Ha originalità, fiumi di idee, competenza e libertà. Pura gioia duettare! La ringrazio, la tengo nel cuore con la mia Edda e le abbraccio insieme al Condottiero che rende possibili questi miracoli!
RispondiEliminaCara Maria concordo con te. Avevo già letto qualcosa di Isabella e a suo tempo l'avevo palesato anche a Edda.
RispondiEliminaQuesto racconto lo conferma. Se l'unione della vostra creatività è in grado di partorire simili perle, vi prego di continuare a deliziarci. Un abbraccio di luce ad ambedue e al nostro Nazario Pardini. Serenella
Serenella mia, cogli nel segno. Scrivere con Isa è un volo, un'intesa immediata. Credo non si distinguano neanche i suoi estratti dai miei. E la Storia che ci lega ha un profumo d'Amore che mi inebria. Le tue parole sono carezze. Ringraziarti è riduttivo. Ti tengo stretta!
EliminaRingrazio Maria per la possibilità che mi sta dando di mettermi alla prova, accudita dalla sua grande esperienza letteraria e dal suo cuore grande
RispondiEliminaRingrazio anche il Prof Pardini che trova posto sul sul blog prestigioso anche per le note meno altisonanti
Un caro abbraccio ad entrambi
Isabella Conte
Isa mia, ti prego di non ringraziarmi. Non sto mettendo a disposizione nulla. Siamo in due. A creare, a sognare, a volare. E tu hai estro, carisma e nerbo narrativo incredibili. Lo dico perchè è vero. Scrivere con te è un dono del quale sarò grata per sempre a Edda! Ti voglio un mondo di bene!
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