mercoledì 9 gennaio 2013

N. Pardini: INTERVISTA A G. VETROMILE


INtervista

A

GIUSEPPE VETROMILE

A CURA DI

NAZARIO PARDINI

 

                                                        

N. P.: Quali sono le occasioni della vita che più hanno inciso sulla sua produzione letteraria? quanto di autobiografico c’è nelle sue opere? lei pensa che ci sia differenza fra poesia lirica e poesia di impegno; o pensa che la poesia, essendo un’espressione diretta dell’anima, sia sempre lirica, qualsiasi argomento tratti?

 

G. V. 

Ripensando al mio passato, non trovo occasioni particolari che abbiano influenzato in qualche modo la mia attività letteraria. Direi che la propensione o inclinazione particolare ad orientarmi nel mondo della scrittura creativa, in particolare la poesia, sia nata quasi inconsapevolmente, automaticamente, molti anni fa, quando mi trovai a scrivere, senza un motivo particolare, alcuni versi. Forse, l'occasione più importante fu il conferimento dei primi premi e segnalazioni in alcuni concorsi di poesia: fu un incoraggiamento straordinario, che mi indusse a proseguire lungo il difficile percorso della produzione poetica, con studi e ricerche personali di nuovi argomenti e stimoli da prendere in considerazione. Quanto c'è di autobiografico nelle mie opere? Ma certamente c'è tutta la mia persona, il mio carattere, la mia indole. Credo che qualsiasi poeta non possa prescindere dalla sua storia personale, anche se i testi trattano argomenti diversi: c'è sempre l'impronta storica ed emotiva del "compositore", a differenza della narrativa, dove forse è possibile un maggior "distacco" tra il soggetto creante e il testo creato (ma fino a un certo punto!...). Non credo ad eccessive differenziazioni e caratterizzazioni della poesia. Al di là di una certa complessità o difficoltà nel definire cosa sia la poesia, ritengo che il tipo di poesia, o meglio l'intenzione per cui viene prodotta (di impegno sociale, di protesta, satirica, romantica, erotica, sperimentale, eccetera eccetera...), non pregiudichi, o non debba pregiudicare, la bontà della poesia stessa. Una poesia di qualità, sotto tutti i punti di vista, è sempre una poesia di qualità, senza altre aggettivazioni. Addirittura Orazio, più di duemila anni fa, affermava che non si può essere poeti discreti. Di conseguenza, non esiste una poesia discreta o mediocre: una poesia è vera poesia, altrimenti non lo è affatto, sono solo dei versi scritti per divertimento. Credo così di aver risposto all'ultima domanda: nella valutazione della bontà di una poesia, a mio giudizio, l'argomento trattato è soltanto un parametro secondario.
 
N. P.: La sua poetica, essendo lei riconosciuto come uno dei principali interpreti della poesia contemporanea, è in gran parte nota attraverso recensioni, prefazioni, e note critiche che la riguardano. Ce la vuole illustrare lei direttamente?



G. V.

E' alquanto difficile rispondere a questa domanda, perché ritengo sia compito dei critici letterari individuare nella produzione poetica di un autore, lungo tutto il suo percorso e in riferimento ai suoi scritti, le fasi salienti della sua maturazione in questo senso. Per quanto mi riguarda, potrei dire di aver iniziato, tanti anni fa, con temi che riguardavano la natura e il degrado ambientale. Attualmente predomina nei miei testi poetici una accentuata ricerca interiore sui temi fondamentali dell'esistenza, della quotidianità, del tempo fugace. E' una poesia più riflessiva, non priva di tratti di amarezza, ma in qualche modo tendente alla speranza, mai sottovalutata. Il tutto, espresso mediante una struttura poetica corposa, con una ricerca accurata dei termini più aderenti a ciò che intendo dire.

 

N. P.: Quali sono le letture a cui di solito si dedica e quale il libro che più le ha suscitato interesse? e quindi predilige? perché?

 

G. V. 

Sono molto affezionato alle letture di libri e romanzi di fantascienza. Ma al giorno d'oggi questo tipo di letteratura non ha più il fascino di una volta, ed inoltre autori come Asimov non ce ne sono più! Amo anche, e molto, la letteratura scientifica, specie quella relativa alle particelle elementari e alle teorie sull'origine ed evoluzione dell'universo. E poi i romanzi storici. Umberto Eco è per me il migliore autore italiano attuale, parlando di narrativa. Avendo avuto una formazione tecnica, credo che queste preferenze letterarie siano state la logica conseguenza.

 
 

N. P.: Fino a che punto le letture di altri autori possono contaminare uno stile di uno scrittore? e se sì, in che modo?

  

G. V.

Credo che l fenomeno della "contaminazione" sia molto frequente in poesia, soprattutto in poesia. Beninteso, si tratta - e deve essere! - un fenomeno del tutto spontaneo e inconsapevole, nel senso che può capitare che la poesia di un autore può influenzare, in un certo qual modo, la propria scrittura poetica. E' una specie di ispirazione secondaria, un trarre spunto da riflessioni altrui e rimodellarle, ristrutturarle in base alla propria esperienza poetica. Ma molti esagerano, forse anche in cattiva fede, fino a sconfinare in veri e propri casi di "plagio" (ne ho sentiti molti, specialmente nell'ambito dei concorsi letterari).

 

N. P.: Che cosa pensa della poesia innovatrice, quella che tenta sperimentalismi linguistici? quella che si contrappone e rifiuta  ogni ritorno al passato? o, per meglio intenderci, quella che si contrappone ad un uso costante dell’endecasillabo, o a misure dettate da una rigida metrica?

 

G. V.

Credo che gli estremismi siano sempre deleteri. Trascorso un certo periodo sul "banco di prova", volendo usare una terminologia tecnica, dopo aver dato sfogo ad irruenze e desideri di rinnovamento a tutti i costi, si torna sempre alla Casa principale. Gli sperimentalismi, secondo me, possono anche andar bene, sono strade che bisogna tentare per non lasciare che la poesia langua in uno stato troppo consolidato e omologato, privo di novità e di slanci. D'altra parte, la nostra lingua è andata evolvendosi, nei secoli scorsi, anche grazie alla poesia, che ha di frequente introdotto termini nuovi... Ma uno sperimentalismo esasperato, fine a se stesso, artificioso e assolutamente privo di contenuti, non credo che possa giovare alla buona evoluzione della poesia. Detto questo, come ho affermato anche più sopra, possiamo trovare delle ottime costruzioni poetiche sia nei lavori che rispettano totalmente la metrica, sia in quelli basati esclusivamente sui versi liberi, senza contare che ci sono anche altre valide espressioni estreme, come ad esempio la poesia visiva. Ma, ripeto, il tutto deve sempre rientrare in un contesto di coerenza di contenuti e di "induzione emotiva" nel fruitore, altrimenti la cosiddetta poesia rimarrebbe solo una costruzione amorfa e priva di efficacia artistica.

 


N. P.: Cosa pensa dell’editoria italiana? di questa tendenza a partorire antologie frutto di selezioni di case editrici? di questi innumerevoli Premi Letterari disseminati per tutto il territorio nazionale?

 


G. V.

Il quesito è interessante ed occorrerebbe riempire moltissime pagine per rispondere adeguatamente. Mi limito ad esprimere brevi pareri al riguardo, pensando di condividere con la maggioranza dei poeti italiani i seguenti fatti: il numero degli scrittori è superiore al numero dei lettori, grazie anche all'ausilio dei mezzi telematici. Anche il numero di case editrici è sproporzionato, ma in questo ginepraio l'esordiente che abbia un minimo di talento letterario (ma anche chi ha alle spalle una consolidata ed apprezzata vita letteraria), non ha possibilità di farsi notare. Inoltre, poiché nella maggior parte dei casi è lo stesso autore che finanzia la sua opera, l'editore non perde niente, e di conseguenza c'è un mare di pubblicazioni (poesia e narrativa) che non sono state sottoposte ad una seria preselezione, a discapito quindi della bontà e della qualità dell'opera stessa. Concludendo, è difficile oggi trovare un Editore che abbia il "coraggio" di assumersi totalmente l'onere finanziario della pubblicazione, e di sostenerla successivamente, senza chiedere l'"aiuto" da parte dello scrittore; questo accade specialmente nel caso della poesia. Anche perché la poesia non è argomento "appetibile" da parte del grande pubblico. I grandi Editori lo sanno benissimo, e pubblicano generalmente solo nomi di grandi poeti o di poeti affermati (comunque pochissimi). Far parte di una Antologia è comunque una bella opportunità. Ma anche qui il discorso è assai lungo... Come anche per i Premi Letterari: molti di questi non hanno alcuna utilità, se non quella di illudere gli autori.

 


N. P.: Certamente sarà legato ad una sua opera in particolare. Ce ne vuole parlare, riferendosi più ai momenti e temi d’ispirazione, ai tempi di scrittura, alla scelta lessicale, alla revisione, più che ai contenuti. Che pensa della funzione del memoriale in un’opera di un poeta? e della funzione della realtà nei confronti di un’analisi interiore?

 

G. V.

Per motivi affettivi, tengo molto alla mia ultima raccolta di poesie, "Ritratti in lavorazione", pubblicata nel 2011, dedicata ed ispirata al mio trascorso di dipendente Fiat a Pomigliano d'Arco. Ma paradossalmente non ritengo sia questa ultima la mia opera migliore, dal punto di vista formale e stilistico. E' infatti il testo precedente, "Inventari apocrifi", quello che, a mio parere personale, meglio rappresenta ad oggi la mia compiutezza poetica a tutti i livelli. Per quanto riguarda la "memorialità", penso che prima o poi, ad un certo punto della sua vita, un autore desideri fare il "punto della situazione". Scrivere la sua storia, se è un narratore, un saggista. Raccogliere in antologia la storia delle sue poesie, o le poesie della sua storia, le più significative; leggendosi dentro, senza barare con se stesso, avere il coraggio di esprimere la propria realtà interiore, in relazione con il mondo esterno, con il creato.

 


N. P.: Cosa pensa della nostra Letteratura Contemporanea? raffrontata magari con quelle straniere? e dei grandi Premi Letterari tipo il Campiello, il Rèpaci…? e del rapporto fra poesia e società? fino a che punto l’interesse per la poesia può incidere su questo disorientamento morale (ammesso che lei veda questo disorientamento)? o pensa che ci voglia ben altro di fronte ad una carente cultura politica per questi problemi?

 

G. V.

Anche questa è una domanda molto articolata e per rispondere in modo esauriente non basterebbe forse un quadernone. Proverò a rispondere brevemente. Nell'ambito della nostra Letteratura contemporanea, la poesia è e rimane argomento cosiddetto di "nicchia", al contrario forse della narrativa e della saggistica, le quali godono buona salute, sia per qualità, sia per diffusione e gradimento, fermo restando che il pubblico dei lettori è sempre scarso. La poesia è chiusa nelle stanze dei soli "addetti ai lavori", e cioé: poeti con poeti e per poeti, in un giro vizioso da cui ben difficilmente si esce fuori. Ho provato personalmente, nel mio piccolo, a promuovere la cultura poetica organizzando eventi ed incontri di letture nella mia città e nei dintorni, ma l'affluenza del pubblico è sempre stata esigua, per cui gli incontri si sono ridotti a "dirci le nostre poesie esclusivamente tra noi poeti...", il che può anche essere interessante, per un vicendevole arricchimento letterario, sociale ed umano, ma la poesia in questo modo non arriverà mai alla "gente comune"! Idem per i famosi Festivals della Poesia, salvo qualche buona e rara eccezione... Parlando invece dei Premi Letterari, dei quali ho personalmente una discreta esperienza (ma mi riferisco a quelli "minori", non ai Grandi citati nella domanda), ritengo che, in generale, la loro utilità sia quella soprattutto di spronare, incoraggiare, incentivare l'autore, quando questi abbia però già intrapreso in modo serio e impegnativo la sua attività poetica o letteraria. Voglio dire che molti concorsi, purtroppo, non sono all'altezza del loro compito, nobilissimo e importante, e magari elogiano e premiano autori illudendoli di essere veramente dei novelli Ungaretti o Montale ... Si ha sempre il sospetto, ad ogni modo, che dietro i grandi Premi Letterari ci sia in realtà un sottile e pervicace movimento di interessi economici da e per le Case Editrici, a discapito naturalmente della qualità.
Disorientamento morale? Ma noi oggi siamo completamente immersi nel qualunquismo, altro che disorientamento! C'è degrado in tutti i comparti, fino a ritenere di "normale amministrazione" anche le cose più nefande. E perciò, più che mai, oggi la poesia potrebbe, deve, essere una di quelle pochissime "luci" rimaste accese nella nostra coscienza, e nella coscienza civile di tutti, perché poesia è verità, è libertà, è solidarietà, è Cultura a tutto tondo!



N. P.: Se potesse cambiare qualcosa nel mondo della poesia o dell’arte in generale, che cosa farebbe? se avesse questi poteri che cosa lascerebbe invariato e che, invece, muterebbe sostanzialmente?

 

G. V.

Premesso che l'uomo è un essere creativo sotto tutti i punti di vista, nulla vieta che possa liberamente produrre brani poetici e altre tipologie di scrittura creativa: anzi, ciò è cosa buona e giusta, ed encomiabile, perché non si vive di solo pane... Ma se potessi cambiare qualcosa, ebbene, rimanderei obbligatoriamente molti "scrittori di versi della domenica" a scuola, per imparare bene: la lingua italiana, la grammatica, la sintassi, la punteggiatura, la storia e la geografia, l'astronomia persino!

 

N. P. Potesse tornare addietro negli anni, cambierebbe qualcosa nelle opere che ha scritto? a livello formale, lessicale o contenutistico? o è dell’idea che ogni opera partorita è figlia del suo tempo e degli stati d’animo di quel momento?

 
 

G. V.

Certo, andando a rileggere le cose che ho scritto agli inizi della mia attività poetica, potrebbe venirmi la voglia di correggere, modificare o addirittura cancellare tantissimi brani. Ma sono contento di quello che ho prodotto e lascio sicuramente le cose così come stanno. Ciò significa che, grazie a Dio, sono andato evolvendo e maturando negli anni, portando a compimento una scrittura più profonda, più sentita, più elaborata. E questo è normale!

 

La ringrazio per la sua disponibilità.  
La sua intervista verrà pubblicata sul blog “Alla volta di Leucade”

 
Nazario Pardini                                                                                                        09/01/2013

 

11 commenti:

  1. Inserisco qui di seguito un commento del caro amico Gerardo Santella, che ringrazio.
    In generale trovo le risposte date convincenti e dettate dal buon senso, anche se in qualche passaggio non sono pienamente d'accordo. Soprattutto trovo interessanti le considerazioni sui meccanismi editoriali della poesia e sulla piaga dei poeti domenicali. Dissento sull'uso del verbo "creare" quando si parla di letteratura. Continuo a preferire "fare" o "costruire".
    Un caro saluto e augurio.
    Gerardo Santella

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  2. L'amico Vetromile, con cui ho condiviso occasioni e momenti poetici di grande interesse, dimostra di possedere una visione chiara e precisa dell' ambiente e del momento letterario contemporaneo. Ciò si deduce dalla sicurezza e dall'acutezza delle risposte, e da una serie di riflessioni e considerazioni sensate e meditate. E quindi mi sento di concordare praticamente su tutto. Con un codicillo: il primo e più importante ostacolo che determina la distanza tra poeta e pubblico è l'incapacità da parte di quest'ultimo di capire la poesia -ancor più quella attuale- spesso, purtroppo, artatamente cerebrale o volutamente elitaria o astrusa; e quindi occorrerebbe, con il decisivo contributo della scuola e di altri soggetti educanti, che il pubblico fosse messo in condizioni di capire la poesia, fosse cioè “educato” alla poesia, messo da parte, o ridimensionato una buona volta, l’eccessivo amore per il bieco, rozzo e crasso benessere materiale, oggi assolutamente trionfante per troppi (e pessimi) esempi.
    Complimenti a Pino per la qualità e la validità dei contenuti dell’intervista.
    Un affettuoso saluto a lui e a Nazario,
    Pasquale Balestriere

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  3. Se me lo permetti , e me lo concedi , caro Pino potrei dire di essere stato uno dei primi a credere nelle tue capacità poetiche ed uno dei primi a sostenerti in alcuni agoni letterari. Ciò premesso, rileggendo le tue risposte , mi ritrovo nelle solite cantilene che andiamo predicando a destra e a manca intorno alla non vendibilità della poesia , alla mancanza di un pubblico adatto alla poesia e preparato per una scrittura di livello quale è la nostra impresa. La solita diatriba fra gli editori (grandi editori) del Nord e la piccola editoria del Sud . Anche nella mia precedente intervista questi argomenti sono stati sviscerati alla pari. Mi ritrovo allora a condividere tutto quanto hai detto e ti auguro un ulteriore successo per le tue nuove "creature" in versi. Abbiamo bisogno della poesia ed abbiamo bisogno di diffonderla tra la gente comune , affinchè qualcuno possa comprendere che nei versi si celano quelle verità che non tutti sono capaci di vedere. ANTONIO SPAGNUOLO - http://antonio-spagnuolo-poetry.blogspot.com

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  4. Condivido in pieno tutto quello che Vetromile sviscera con schiettezza sul ruolo delle case editrici piccole e grandi. E soprattutto sulle difficoltà che la poesia incontra a raggiungere una vasta platea. E quando si lamenta della esigua partecipazione agli incontri che organizziamo dice una sacrosanta verità. Il fatto sta, come afferma Balestriere, che a scuola la poesia andrebbe propinata in maniera più attenta e con sistemi più approfonditi. Ma è vero anche che diversi scrittori, col discorso di sperimentare, saltano a piè pari sintassi e interpunzione, e ricorrono a linguaggi a dir poco ermetici, forse per mascherare... E quelli che leggono non solo capiscono poco, ma si fanno un'idea sbagliata della comunicazione. Per aiutare la sua diffusione io credo che bisognerebbe adottare linguaggi semplici per farsi intendere. E non ricorrere a giochi rocamboleschi che il più delle volte nascondono dei vuoti e complicano i messaggi.

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  5. Le domande poste sono interessanti e le risposte non evasive: bell'intervista di cui condivido molte affermazioni. Ma resta il dubbio: la poesia esiste o resiste? La refenzialità dei poeti che neppure leggono i complici di penna e ancor meno li comprano è masochismo, menefreghismo, egotismo?
    Non ho risposte certe.
    Narda

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  6. A me pare di poter affermare, gentile Narda, che la poesia esista, indipendentemente dallo sparuto numero di fruitori; ma anche, e allo stesso tempo, resista per lo stesso motivo dell'esiguità dei lettori.
    Ai termini "masochismo, menefreghismo, egotismo" aggiungerei l'invidia e la superbia, sentimenti indegni di un vero poeta, ma che tuttavia allignano, anzi prosperano, in ambienti pseudo- letterari. E non sempre in quelli, per dir così, minori.
    Pasquale Balestriere

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  7. Bellissima intervista. A mio parere il punto più alto è stato questo: "E perciò, più che mai, oggi la poesia potrebbe, deve, essere una di quelle pochissime "luci" rimaste accese nella nostra coscienza". Credo che la Poesia abbia la grande capacità di "lavorare" di nascosto, anche quando sembra non esserci una buona cassa di risonanza, Lei si intrufola nell'intimo delle persone e le scuote, le rianima, fa luce appunto. Che poi è quello che è successo a me leggendo le tue poesie.
    Con affetto
    Flavia Balsamo

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  8. Con molto piacere inserisco qui di seguito anche il commento di mio cugino Fausto de Lalla (autore, tra l'altro, di un recente e piacevolissimo romanzo, "Una famiglia borghese", che narra le vicende della sua - e in parte anche mia - famiglia.

    Carissimo Pino, ho letto con piacere questa intervista, trovandola molto interessante, come tutto ciò che tu dici e che tu scrivi. Condivido in pratica tutto (…anche la “passione” per Asimov!) e in particolare le considerazioni sull’Editoria italiana e su quelli che tu hai chiamato “i poeti della domenica”. (E in verità non solo i poeti, ma un po’ tutti gli “scrittori”, anche di narrativa, almeno). Ai quali certamente qualche lezione di lingua italiana (grammatica compresa) non potrebbe fare altro che bene. Sono anche d’accordo con Pasquale Balestriere sull’opportunità di “educare” il pubblico alla poesia. E mi permetto di aggiungere che sarebbe con ogni probabilità necessario educarlo tout court alla letteratura. Almeno a giudicare dalle classifiche dei libri “top ten” di cui veniamo periodicamente a conoscenza. Ancora complimenti vivissimi e un abbraccio affettuoso .
    Fausto de Lalla

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  9. Desidero ringraziare tutti gli amici che hanno voluto aggiungere i loro commenti a questa bella intervista curata sapientemente da Nazario Pardini. Ho notato con piacere che le risposte che ho dato, in linea di massima, concordano con il pensiero di tutti; in definitiva, volendo giungere ad una conclusione con un pizzico di ottimismo, la cultura letteraria e in particolare quella poetica, andrebbero oggi incoraggiate un po' di più, sia in ambiti scolastici (è la base, l'inizio!...), sia a livello produttivo e organizzativo, e sia anche, diciamocelo francamente, quando si tratta di diffonderla (distribuzione, pubblicità, rapporti editori-librerie...).
    Comunque il discorso è ampio e invito tutti ad aggiungere altri graditi commenti...
    Non mi resta che ringraziare ancora e augurare a tutti BUONA POESIA!...
    Giuseppe Vetromile

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  10. Ecco anche il commento del caro amico, grande poeta!, Giovanni Bottaro, compagno di viaggio in molti concorsi letterari:
    Caro Giuseppe, ho letto – con estremo interesse - l’intervista che hai rilasciato a Nazario. E con essa, mi è tornato alla mente il viaggio che – or è ormai qualche anno – insieme facemmo da Firenze ad Udine, per il Premio Giulietta e Romeo. In quell’occasione, avemmo modo di scambiarci tante opinioni e di confrontarci: fu un conversare piacevole e pieno di stimoli. Nelle tue risposte trovo moltissime “conferme”, relativamente a quel lungo colloquio, le quali, data l’ufficialità dell’intervista, risultano ora ancora più esaustive e puntuali.
    Tra gli argomenti che hai affrontato, mi ha molto interessato la tua risposta sulla “contaminazione”. Penso anch’io che – vuoi per “affinità elettive”, vuoi per l’insegnante che a scuola ci ha presentato quel tale autore, vuoi per personali letture – noi siamo indotti, quasi inconsciamente, ad imitare il nostro idolo. Deve essere evidentemente soltanto “imitazione”, mai pedissequo plagio. E ciò per iniziare il cammino, verso la ricerca di uno stile personale. Io credo che tutti – più o meno – siamo figli del passato e fruitori dell’eredità di coloro i quali ci hanno preceduto. Un esempio, tra i tantissimi, potrebbe essere il “debito” di Leopardi, Foscolo e Manzoni, nei confronti del Monti, i quali “finiscono per mutuare lingua e movenze stilistiche dalla selezione operata da Monti entro l’alveo della tradizione, al punto che senza il predominio del capofila riuscirebbe poi incomprensibile il risultato degli eredi.” (in Antologia della poesia italiana, Ottocento (diretta da C. Segre e C. Ossola), La Biblioteca di Repubblica, 2004, p. 29).
    Anche la tua risposta riguardo agli “estremismi” è articolata e piena di buonsenso. Gli “estremismi” hanno portato innovazione, incidendo sul modo di scrivere, ma un sonetto, ben costruito, classicamente secondo l’ideazione di Giacomo da Lentini, e dei suoi proseliti successivi, resta pur sempre piacevolissimo da leggere e da meditare, pur essendo ormai “fuori moda”. La poesia resta poesia, di là dalla stesura e dalla metrica con cui viene presentata.
    Voglio farti i miei complimenti per l’intervista, che tocca altri punti di grande importanza e di attualità, sui quali ci sarebbe moltissimo da dire. Ma mi fermo qui, appena aggiungendo due parole sulla tua ultima risposta. E’ vero che tutti vorremmo ri-scrivere un nostro lavoro, che, sotto l’egida delle nuove esperienze ed acquisizioni, ci pare passibile di miglioramento. Ma, per usare un termine darwiniano, l’evoluzione – affidata alle opere – di un certo autore è importantissima per vederne il lavorio interiore, e la “fatica” nel raggiungimento del suo ideale. Ma ormai non è più tempo di filologia d’autore. I calcolatori, con i relativi programmi di scrittura, ci impediscono, dato il continuo “salvare” e “ri-salvare”, annullando cioè le varie versioni di un manoscritto – ne avremmo sennò chissà quante –, di vedere come l’opera viene costruita, scoprendo le pieghe più recondite nella “costruzione” di un romanzo o di una poesia, i quali, in altri termini, sembrano aver avuto un’unica stesura. E non è certo così. Potremmo, chissà, imparare di più, se avessimo, non tutte le “brutte copie” di un’opera, ma almeno talune, per conoscere veramente, e sino in fondo, il suo autore.

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  11. Ancora un ricco commento della scrittrice e poetessa Anna Gertrude Pessina, che ringrazio di cuore:
    Più che d'intervista, parlerei di voce controllata e sincera di un poeta sollecitato alla retrospettiva di un percorso di storia personale di vita vissuta in amalgama con un contesto (anni Settanta - inizio prima e seconda decade del Duemila) prismatico, problematico: in esso la poesia ha registrato, sotto la frusta della tecnologia imperante, momenti di eclissi e di consensi moderati e mediati.
    Motivo la stanzialità nella nicchia della cultura elitaria ufficiale con scarsa circolazione tra il pubblico adulto ed il pianeta giovane, bollato di insensibilità e renitente a percepire le emozioni che possono trasmettere liriche, che racchiudono le vicende dell'individuo, sorpreso nella riservatezza del proprio io o calato nel marasma del mondo.
    Trattasi di mera pregiudiziale. Quando ad una mia scolaresca di maturandi, a conclusione di un ciclo di lezioni su nevrosi e crisi esistenziale, prodotte anche dalla meccanizzazione, tra le varie letture, inserii anche il tuo Cuordileone nella città automatica, ne scaturì un dibattito variegato e poliedrico, segno che i giovani sono ben disposti a recepire il messaggio in versi.
    Ergo, come ti ho sempre detto, la tua poesia ha aperto una finestra sugli aspetti contingenziali del vissuto, senza mai infrangere il dettato lirico, perchè le tematiche, anche di scottante attualità, sono state sempre inverate e ri-create dalla tua scrittura sperimentale, vivificata dal lessico senza tortuosità cervellotiche, mutuato anche dalla scienza e dalla tecnica, un'operazione che, all'epoca, avrebbe fatto rizzare i capelli a linguisti come Zingarelli e Devoto-Oli.
    Avverti nel tuo itinerario di poeta un mutamento adducibile al fatto che, ad un certo punto del nostro cammino, siamo inconsapevolmente portati a privilegiare più il mondo interiore con le piccole, care gioie del privato, che quello che ci circonda.
    Questa svolta, evolutiva od involutiva che sia, non tange la tua produzione, nella quale la storia interiore, la speranza, la presenza del Divino sono state delle costanti, oggi, più visibili e manifeste, ieri adombrate da velature, assumendo quel ruolo che Flaubert attribuisce all'autore, come Dio nell'universo, ovunque presente, e in nessun luogo visibile.
    Concordo su tutti i punti sui quali sei stato interpellato, in particolare su quello inerente alla speculazione, nei nostri riguardi, delle Case Editrici. La mia Invectiva in editores si allinea a quanto da te espresso.
    Con l'affetto e la stima di sempre.
    Anna Gertrude Pessina

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