martedì 20 gennaio 2015

ALFONSO VINCENZO MAURO TRADUCE "FERNANDO PESSOA"

SONETTO I (da i “35 sonnets”)

Che noi si scriva, che si parli o taccia,
restiamo evanescenti: anima umana
non v'è che si trasfonda o lasci traccia,
ché sempre erra da noi troppo lontana.

Per quanto ci si sforzi di mostrare
che sono animo e mente un solo moto,
che s'ha nel cuor non può comunicare
ciò che, mostrandol, più lo serba ignoto.

E come questo immenso che separa
ogni anima colmar spero crepaccio
se quanto all'esser mio più si dichiara
la mente, più m'accorgo ch'io mi taccio?

I sogni di noi stessi, animi bui,
siam l'un per l'altro e i sogni in sogni altrui.
__________________________________________________
Whether we write or speak or do but look
We are ever unapparent. What we are
Cannot be transfused into word or book.
Our soul from us is infinitely far.

However much we give our thoughts the will
To be our soul and gesture it abroad,
Our hearts are incommunicable still.
In what we show ourselves we are ignored.

The abyss from soul to soul cannot be bridged
By any skill ol thought or trick of seeming.
Unto our very selves we are abridged
When we would utter to our thought our being.

We are our dreams of ourselves, souls by gleams,
And each to each other dreams of others' dreams.




EPIGRAMMI e ISCRIZIONI
(dalla omonima raccolta)

II
Vergine Cloe fécermi i fati, inane
alla sovraffollata ombra di gente.
Dei miei quattordici anni or che rimane?
Un vàgulo sussurro in riva al niente.

II
Me, Chloe, a maid, the mighty fates have given,
Who was nought to them, to the peopled shades.
Thus the gods will. My years were but twice seven.
I am forgotten in my distant glades.


IL VIOLINISTA PAZZO (dalla omonima raccolta)

Non dal settentrio scendere,
non pel meridio calle
quella ascoltâro a valle
canzone avvicinar:

fu giù in tutti i viottoli
immantinentemente,
ma invan scorger la gente
il suonator sperò.

A tutti instillò un palpito
l’immèlode melòde:
negligere le mode
e il cuore liberar;

un’eco udîr rispondere
al motivetto strano,
coatto, assai lontano,
lontan dentro di sé.

Rispose tanti aneliti
quanti nei grigi petti
i lor costumi gretti
poterono intombar:

mal maritata d’essere
la casalinga piange,
quel che d’amore s’ange
ridicol si sentì,

d’aver s’accontentarono
solo sognato i tanti
promessi sposi, i amanti
delusi rincuorâr…

Spargesi in tutti gli animi
un polline che alletta…
un’anima usa-e-getta
gemella… un riso d’or.

La limpida inquietudine
che annoia lo star quieto,
l’ombra che, dal secreto
dell’Io, viènci a baciar,

come venîr partirono
col suonatore ignoto,
confusi al tristo e immoto
armonïoso andar.

Le candide cessarono
risate, la baldanza,
l’improvvida speranza
del sùbito furor.

…Però quando esta adùggiasi
che a viver ci si sforza
mediocre vita, a forza
rtorna il vïolin

per quel suonare un’ultima
volta motivo strano
per dal nostro lontano
sogno ci risvegliar.
____________________________________
Not from the northern road,
        Not from the southern way,
First his wild music flowed
        Into the village that day.
He suddenly was in the lane,
        The people came out to hear,
He suddenly went, and in vain
        Their hopes wished him to appear.
His music strange did fret
        Each heart to wish 'twas free.
It was not a melody, yet
        It was not no melody.
Somewhere far away,
        Somewhere far outside
Being forced to live, they
        Felt this tune replied.
Replied to that longing
        All have in their breasts,
To lost sense belonging
        To forgotten quests.
The happy wife now knew
        That she had married ill,
The glad fond lover grew
        Weary of loving still,
The maid and the boy felt glad
        That they had dreaming only,
The lone hearts that were sad
        Felt somewhere less lonely.
In each soul woke the flower
        Whose touch leaves earthless dust,
The soul's husband's first hour,
        The thing completing us,
The shadow that comes to bless
        From kissed depths unexpressed,
The luminous restlessness
        That is better than rest.
As he came, he went.
        They felt him but half‑be.
Then he was quietly blent
        With silence and memory.
Sleep left again their laughter,
        Their tranced hope ceased to last,
And but a small time after
        They knew not he had passed.
Yet when the sorrow of living,
        Because life is not willed,
Comes back in dreams' hours, giving
        A sense of life being chilled,
Suddenly each remembers -
        It glows like a coming moon
On where their dream‑life embers ­-
        The mad fiddler's tune.





Quando, tre anni or sono, l’Autore fu negli Stati Uniti per insegnare l'Italiano a Boston (lezioni private, per lo più di pronunzia, ad alcuni studenti di opera lirica della Boston University), venne in possesso, presso la Facoltà, di un faldone contenente l'opera omnia inglese di Fernando Pessoa, autore la cui immensa padronanza della Lingua inglese ignorava; spronato dall'amore per essa  e dalla inveterata consuetudine e familiarità con gli strumenti tecnico-stilistici della poesia italiana prima e inglese e francese poi, prese già là a tradurre materiale che ha poi man mano scoperto essere assai ingiustamente ignorato in Italia.
Materiale poliedrico e dagli accenti più variegati (religioso, sentimentale, introspettivo, ironico, grottesco, macabro...) e dalle forme più disparate (sonetti, poemetti, epigrammi, epitalami), degnissimo di considerarsi un piccolo capolavoro contenente in sé tutto un universo, giustificato dalla ben nota poetica eteronima del Pessoa. L’Autore preferisce chiamare il suo lavoro di traduzione, da poco ultimato ma ancora necessitante di una generosa passata di labor limae, un lavoro di "versione": e per le necessarie forzature dell'originale dettate dalle più o meno fedeli traduzioni in metro e rima, e per il prodotto finale, filtrato comunque da una sensibilità poetica altra dall'autore e del cui lavoro in parte comunque si appropria, rivivendolo, per così dire.




1 commento:

  1. Bellissimo tributo all'Artista di Lisbona, che, nel 1918 pubblicò una piccola raccolta di poesie inglesi. Il suo titolo era semplice e al tempo stesso evocativo: "35 Sonnets".Lo scrittore vi aveva raccolto i suoi sonetti shakespeariani, che avevai niziato a comporre dal 1910. Fernando Pessoa, per la sua prima pubblicazione autonoma, scelse come modalità poetica il sonetto elisabettiano perché in sé esso racchiude molto di ciò che l'Autore voleva far conoscere della sua poesia nel momento dell' esordio pubblico. Le poesie della raccolta "Il Violinista Pazzo" offrono un'ulteriore testimonianza del bilinguismo di Pessoa, che pur dichiarando che sentiva come patria solo il Portogallo, ha lasciato proprio in lingua inglese importanti raccolte di Poesie. Probabilmente l'attitudine a cimentarsi in questa lingua é derivata dal suo lungo soggiorno a Durban in Sudafrica, dove frequentò il liceo, assorbendo gli scrittori classici e romantici inglesi e americani come Shakespeare, Milton, Byron, Shelley, Keats, Poe.Va inoltre ricordato che gli anni di bilinguismo risalgono al periodo immediatamente successivo a Lisbona, che furono caratterizzati dai più rivoluzionari movimenti d’avanguardia dell’epoca.Le poesie de "Il Violinista Pazzo" scaturiscono proprio da questa doppia ispirazione del suo autore, che – come scrive Amina di Munno nella prefazione – è senza dubbio un grande «innovatore, ma è altresì il cultore di principi che trascendono le categorie del tempo, è il modernista e il seguace della tradizione in quel che di mitico ed enigmatico essa racchiude».
    Maria Rizzi

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