domenica 25 gennaio 2015

ROBERTO BENATTI "TRA SPERANZA E MEMORIA"


Roberto Benatti collaboratore di Lèucade




Ieri sera è stata presentata l’ultima silloge di Roberto Benatti "Tra speranza e memoria" al Pepenero di Pietrasanta.
L’invito è  giunto da parte di Demetrio Brandi per conto di LuccAutori e Racconti nella Rete su Rai Tre.

La presentazione è stata curata dal Prof. Franco Pezzica di Carrara, autore anche della prefazione.


SCHEDA LIBRO: “TRA SPERANZA E MEMORIA”
Casa editrice: PrintMe s.r.l. – Taranto. Anno di pubblicazione: 2014.


BREVI INFORMAZIONI SULL'AUTORE

Roberto Benatti è nato a Massa (MS) il 22 Maggio 1946, dove tuttora risiede Laureato in Ingegneria, non ha disdegnato altri approfondimenti culturali, non ultimi gli studi teologici.
Ha lavorato in qualità di Project Manager presso una multinazionale fino al 2003.
Ha fatto esperienza politica partecipando all'amministrazione pubblica della città di Massa.
Svolge attività di volontariato nella locale Chiesa Diocesana.
Ha ottenuto l’alta Onorificenza di Cavaliere della Repubblica Italiana conferitagli il 02-06-1982 dal Presidente Francesco Cossiga Accademico di classe dell’Accademia Internazionale dei Micenei Accademico, per meriti, dell’Accademia Internazionale Vesuviana Accademico benemerito dell’Universum Academy Switzerland Giornalista, scrive sul settimanale Toscana Oggi-Vita Apuana Già Presidente del Centro Culturale Alcide de Gasperi, ora vi collabora attivamente Amante della poesia, dal 2009 è stato sollecitato a partecipare a varie rassegne e concorsi letterari, nazionali ed internazionali, ricevendo riconoscimenti in molti di essi.
Ha attualmente pubblicato le raccolte di poesie “Il mare mosso della speranza”, “La tempesta del sé”, “Vomeri d’ombre”, “Tra speranza e memoria” e “Trilogy”, nonché il romanzo “Il piccolo universo”.


SINOSSI


Saremo sempre legati al nostro passato: una selva intricata di rami cresciuti fuori dalle nostre radici. Alcuni pieni di fiori, come i ricordi più belli che mai appassiranno; altri rinsecchiti come i rimpianti, o appesantiti come i rimorsi; altri rami, ancora, cresciuti a dismisura a confondere gli occhi, simili a una frangia d’ombra intrecciata con tutti i propositi spuntati e poi abbandonati. Nella opaca brevità del tempo, lo sguardo sull’oltre scuote la nostra apatia fatta di memoria, e una luce illumina e rischiara l’ovunque che non si vede. E’ la speranza che apre spiragli e ci parla incrinando il guscio di silenzio entro cui spesso nascondiamo la nostra paura. E’ una voce che ordina e risuona dappertutto. È da lì che parla, è da lì che si ascolta. Sarà sempre un sollievo allora quel flusso ininterrotto di parole e di pensieri che annulla le distanze, fagocita spazio e tempo. Alzare gli occhi per guardare oltre quello che riusciamo a vedere, sarà come sentire un altro tipo di fame: la voglia di scoprire il possibile esistente dopo la curva; l’aggricciarsi della pelle un istante prima di essere sfiorata; il brivido dell’istante interposto fra il prima e il dopo. Un qui adesso già consumato nell'attesa di un ultimo. Ci illudiamo di vivere il presente ma di fatto esso non esiste. La vita è un susseguirsi di istanti, guizzi d’acqua d’un fiume che scorre. Vivere ogni giorno è un continuo divenire senza fine, una sequenza di avventure fra ricordi e illusioni, fra speranze e memoria. E’ come correre dentro un anello d’esistenza: una catena fatta di cerchi dove l’inizio e la fine si uniscono e si confondono perché la vita non è uno spazio chiuso fra parentesi. Una catena di tempi e ogni tempo è un tempio dove la vita è mistero, protetta, ma consumata dai suoi enigmi. Istanti fatti di risposte travestite di ignoto. La vita di un uomo dipende da ognuno di quegli istanti.Può essere di agonia o di amore; dipendere da un grido o da un’invocazione. Può essere un istante di lucidità o di supplica. Un istante di fanciullesco, struggente riconoscimento della fragilità e della precarietà corporale. Così si presenta la silloge dove la poesia è l’unica catarsi che rende l’autore libero di riflettere sull’importanza di ogni dettaglio, di ogni singolo attimo della propria esistenza. Un teatro dove va in scena la vicenda umana, fra attimi e squarci di luce carezzevole e soffusa, ma dove basta un solo istante per spegnere tutto e comprendere. E per abbracciare, sia pure con le braccia spalancate della resa e della morte, il destino che viene col volto buono della Fede, col mistero che spazza ogni buio. E’ questo l’istante che conta di più. A questo istante si vuole far credito, si aspetta, si celebra. Il tempo è un ladro che saccheggia e ruba. Un ladro di vita, di gioia, di fiato. Ma è anche sequenza di momenti esaltanti e commoventi. Come quando gli uccelli notturni vanno a dormire e, per un attimo, l'aria si posa su foglie di silenzio. La vita riprende nel sole che sorge sulle attese del mondo. Ogni giorno, ogni avventura porta il suo dolce bagaglio di festa, forse di dolore, forse di sconfitta. Ma è vita da vivere, un dono ineguagliabile. Questa silloge è una sequenza di versi dai ritmi sommessi, carichi di significati che inseguono la vita e il suo senso. Un dialogo dell’autore col figlio, e con se stesso, attraverso gli elementi metaforici del linguaggio, con la parte più intima di sé. Un luogo di tempo, utile per sedimentare pensieri e gesti, memorizzare e vedersi. Dove ci si sente carne, muscoli, ossa e nervi. Dove raccontando si è raccontati quale infinitesima particella nutrita di memoria e di oblio. Silenzi, tracce di canto, orme di danza, vestigia d'ombre scandiscono righe nello spazio: prossimo, vicino, lontano, altrove; nel fluire del tempo: inizio, svolgimento, termine. Un canto, a volte sofferto, fino ad accettarsi senza vergogna né paura, né risentimento per un cielo avverso, sia pur nella consapevolezza, tuttavia, che l’affetto e l’amore possono salvare dal deserto del passato e dall’oscurità del futuro. La silloge è un abbandono alla suggestione di un orizzonte limite ed epifania della fragilità che scandaglia il segreto del vivere in un mondo fatto di sogni, gioie, desideri, fatiche e sofferenze. Nel luogo dell’esistenza dove si tessono e si intrecciano i fili della paura, del dubbio e della speranza. 



Una poesia del libro dedicata alla suocera (Florence) che da poco ha lasciato l’Autore  e tutti i cari


Verso la mèta

Te ne stai chiusa in casa,
fredda e sudata,
a misurare il tempo che ti resta
con le gocce cadute
dal rubinetto che perde.
I fili dei panni, con le mollette appese,
sono per te un recinto spinato.
Il tuo avvilimento, la tua afflizione
si sono pietrificati in un silenzio da sfinge.

Ti pesa, e intorno, grave, risuona profetico
il tuo anelito al cielo
perché sei una creatura d’aria,
un essere di spirito e di essenza
impalpabile e penetrante.
Sei la sintesi d’un volo d’ali.
Stare chiusi in una stanza per te,
significa morire, perché sai
che la casa d’ogni vivente è il cielo.

C’è in te l’impulso leggero del palloncino
sfuggito dalle mani di un bimbo
che s’avventura verso l’alto
seguendo il respiro dell’anima.
Per lui, appassionato di mappe,
il mondo è immenso,
un universo pari alla sua fame infinita;
per te è prendere il treno
in un viaggio nella memoria, e provare
lo smarrimento che si rivive nel passato
con l’ingenua speranza delle strade aperte.

Spesso sono le assenze a farci compagnia.
Non si possono toccare, né sentire …
ma le portiamo dentro.
Viaggiatore è chi, in armonia col mondo,
parte per partire,
un andare per il mare dell’amore,
e respirare, smettere, e riprendere
fino a quando le matasse del cervello
non sì’ingarbugliano.


Il tuo viaggio non necessita di traversate,
segue una mèta sconosciuta,
vive di meraviglia, di sorpresa
e di quei sogni che poi muoiono
in un luogo chiamato paura.
E’ la paura a far morire i sogni …
e con essi, le speranze.
Ma tu, lo so, non hai paura;
non l’hai mai avuta!


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