domenica 4 gennaio 2015

PASQUALINO CINNIRELLA: "POESIA O VERSI IN PROSA"


MUSE DELLA POESIA


Carissimo Cinnirella,

lei ha pienamente ragione. La poesia non è uno scherzo, né può essere un passatempo. Ci sottopone a delle fatiche non trascurabili; ad un lavoro attento e ad una autoptica revisione della parola e dei suoi nessi. Sì, è vero che la prima fase della produzione artistica è fatta di spontaneità ispirativa, di quello stato di grazia che gli antichi ritenevano donato da una Musa. Ma non è sufficiente. Subentra poi una fase di attenta perlustrazione. Ed è molto importante studiare, conoscere le regole, i vari stili, e soprattutto arricchire il dizionario personale, perché quanto più grande è il serbatoio tanto maggiore è la possibilità di dare corpo al nostro magma interiore. O se si vuole alla nostra creatività. Ma una cosa è certa: il denominatore comune dell'arte poetica esiste e va rispettato; e intendo per tale alcuni fondamentali imprescindibili: sentimento, immaginazione, musicalità, e memoriale; natura che si fa coadiutrice attenta del nostro dire, prestandoci rumori e colori indispensabili alla cristallizzazione dei nostri stati d'animo. E non farei una netta divisione fra antico e moderno. Non è vero che tutta la nuova letteratura sia orientata verso una poesia/prosa. Io credo che necessiti creare continuità. Il futuro non ha senso senza il piedistallo della Storia. E ci sono tanti poeti che offrono un bel canto senza cadere nella non/poesia. Il verso non si può permettere di andare a capo quando vuole: deve rispettare quelle regole che sono insite prima nella parola poi nel verso stesso. Se c'è una divisione netta da fare non è fra antico e nuovo (la bella poesia è sempre tale sia quella di Saffo, che quella di Montale), ma fra versificazione e prosa. Questi sì che sono due stili da tenere ben separati e da non confondere con tanti sperimentalismi. 
Lasciamo, comunque, al lettore valutare liberamente i diversi messaggi e trarre le dovute personali conclusioni.

Nazario Pardini     



POESIA  O VERSI IN PROSA


Nell’edizione 2014 di un premio di poesia svoltosi  in terra Campana, la responsabile della sezione -silloge edita- nella motivazione generale facente parte della relazione conclusiva della giuria ha scritto testualmente :  “ Nelle varie sillogi ho osservato, in primo luogo, una grande diversità sia nella costruzione della -struttura poetica- che del –verso- . Questo conferma l’ipotesi che la poesia contemporanea si è molto allontanata dalla poesia “classica”, quella della nostra tradizione letteraria. Questa seguiva sempre un metro regolare, utilizzava un numero maggiore di figure retoriche ed ubbidiva a precisi schemi formali.  La poesia odierna, al contrario,  sembra che si sia sbarazzata delle regole fisse, si fa sempre più simile alla prosa e sperimenta versi variegati, spesso privi delle figure retoriche più tradizionali ( rime, assonanze, metafore, similitudini, anafore …). Sempre più frequentemente si utilizza il  “ verso libero “ e la “poetica della parola”  dove la frase si riduce e si valorizza la parola, scelta per intensità  ed essenzialità espressiva. Queste riflessioni sono legate però  ad altri interrogativi:  il primo è il seguente:  è vero che la scarsa abitudine alla lettura penalizza, in primo luogo, il testo poetico in quanto si considera questo un testo particolarmente complesso e difficile da comprendere?  
        A metà  dicembre scorso ho conseguito l’ennesimo premio ( 3° Classificato ) in un concorso letterario nazionale, sufficientemente rinomato,  svoltosi nella mia Sicilia e, acquistatane l’antologia  (consuetudine oramai consolidata), ho costatato che quanto di pensiero espresso dalla componente della giuria di cui sopra  si toccava  con mano non tanto perché venivano meno quegli  schemi formali, quelle regole fisse (scritte o non scritte), quanto per la insipienza del dettato poetico intesa come incapacità a calamitare l’attenzione dovuta del lettore. Sinceramente ed obbiettivamente,  mi duole dirlo, anche su questo blog, delle volte,  vengono postate delle poesie che, a mio modesto avviso, rientrano nella valutazione di cui sopra pur elogiate dal presentatore e/o dai vari commenti che ne seguono.
        Dando per scontato che la produzione poetica  contemporanea  italiana è tutta o quasi a “verso libero”  ne deriva che sarà più facile varcare quella linea sottile, conseguentemente venutasi a determinare, tra la poesia e la prosa, baypassando o eludendo così quei paletti, quei punti fermi che ne determinano quei limiti netti ed invalicabili per i quali un testo  si definisce poesia e non prosa.  Semplificato così al massimo il fare poesia ne consegue che tutti possiamo cimentarci a scrivere poesie o, mi si perdoni,  prosa in versi e non sarà certo molto faticoso e impegnativo e, difficilmente necessiteranno di tempi lunghi e notti in veglia per cogliere il massimo della propria espressività   anelando eccome quel momento felice di estrosità  creativa che raramente o non facilmente,  purtroppo, coglie l’autore nell’atto compositivo.  Pertanto, si può affermare che la poesia a -verso libero-, in un domani a medio termine, se non da oggi,  è sinonimo di prosa scritta in versi.  Se così è o sarà,  quale sarà il nuovo strumento o metro di valutazione di un testo poetico ? Quale la nuova scaletta dei valori ineludibili perché di quel testo si possa dire che è una bella, eccellente o per niente poesia ? Fermo restando che la poesia non è definibile e quindi giudicabile, come diceva Ungaretti,  mi pare più che penalizzante valutare un testo poetico con il solo metro dei bei  vocaboli incastonati qua e la nel testo per attirare l’attenzione del  potenziale lettore, non vi pare?.  Il Prof Pardini  in una sua relazione sulla poesia ebbe a dire e scrivere che: “ Anche la poesia così detta libera deve attenersi a dei principi e chi la scrive non è libero da vincoli espressivi e da conoscenze di armonia e fluidità; deve avere presente il valore del verso in tutte le sue funzioni di forma e di regole che la poesia stessa contiene in quanto tale. La regola è insita, non estranea alla espressione poetica”.  
                                                       Pasqualino Cinnirella





 DEBBO CAPIRE

Debbo capire questi miei giorni a scalare
che senza appigli mi rotolano dalle mani.
Debbo capire perché
il tempo non frena le stagioni,
perché la notte non ha riposo
anche senza luna che da lontano
svela al plenilunio
segreti d’ombre dagli anfratti
e abissi di pensieri dalla mente insonne.
Profonda deve pur essere la ricerca
se profondo è l’arcano … quindi,   
debbo ancora indugiare, indagare,
chiedere allo sciamano -quale il fine.
Sapessi aprire gli occhi della mente
(come finestre al sole del mattino)
potrei scrutarne nitido il mistero
ché nel chiaro … mi si sveli il tutto.
Consapevole poi, potrei finalmente
-rivivere-  il giorno che mi resta
come un tempo, come fanciullo
che guarda l’orizzonte ad oriente
e sorride … al suo domani.

Pasqualino Cinnirella
Mag. 08-Gen. 09/22



3 commenti:

  1. La questione sollevata dal professor Cinnirella è oramai tema di discussione all’ordine del giorno.
    Personalmente evito le locuzioni “prosa in versi” o “poesia in prosa”, perché ossimori insignificanti, giacché prosa e poesia sono due espressioni artistiche nettamente separate come sottolinea il professor Pardini e mi associo, piuttosto, alla definizione di “non- poesia”.
    La tendenza corrente è quella di “spacciare” per poesia ciò che in realtà è prosa e talvolta pessima prosa.
    Dove sta la linea di confine tra prosa e poesia?
    Credo sia sufficiente un esempio per capirlo.
    Se proviamo a scrivere sotto forma di versi , andando a capo come capita o come ci sembra più adatto, un brano tratto dall’incipit de “I promessi sposi” di Alessandro Manzoni, agli occhi dei profani e dei poco pratici di linguaggio poetico, apparirà una poesia.
    Esempio:
    “Per un buon pezzo, la costa sale
    con un pendìo lento e continuo;
    poi si rompe in poggi e in valloncelli,
    in erte e in ispianate,
    secondo l’ossatura de’ due monti,
    e il lavoro dell’acque.
    Il lembo estremo, tagliato dalle foci de’ torrenti,
    è quasi tutto ghiaia e ciottoloni;
    il resto, campi e vigne,
    sparse di terre, di ville, di casali;
    in qualche parte boschi,
    che si prolungano su per la montagna.
    Lecco, la principale di quelle terre,
    e che dà nome al territorio,
    giace poco discosto dal ponte,
    alla riva del lago,
    anzi viene in parte a trovarsi nel lago stesso,
    quando questo ingrossa:
    un gran borgo al giorno d’oggi,
    e che s’incammina a diventar città…”(Alessandro Manzoni)

    Ma, come si può notare, non è l’andare a capo che rende questo brano di prosa descrittiva, una poesia. Pur nella sua liricità, l’architettura del testo è tipica della prosa e il linguaggio utilizzato adeguato. La frase: “Lecco, la principale di quelle terre, e che dà nome al territorio…” è un dettaglio geografico inutile in una poesia, così come impoetiche sono espressioni come “al giorno d’oggi”, “nel lago stesso”, “è quasi tutto ghiaia e ciottoloni”. Anche camuffato con gli “a capo” il brano è riconoscibile come prosa e ad essa riconducibile.

    Se, mantenendoci sempre nell’ambito descrittivo, analizziamo questa lirica di Mario Luzi, per quanto scritta in versi liberi, l’afflato poetico e la musicalità è subito individuabile:

    Natura
    DI Mario Luzi

    La terra e a lei concorde il mare
    e sopra ovunque un mare più giocondo
    per la veloce fiamma dei passeri
    e la via
    della riposante luna e del sonno
    dei dolci corpi socchiusi alla vita
    e alla morte su un campo;
    e per quelle voci che scendono
    sfuggendo a misteriose porte e balzano
    sopra noi come uccelli folli di tornare
    sopra le isole originali cantando:
    qui si prepara
    un giaciglio di porpora e un canto che culla
    per chi non ha potuto dormire
    sì dura era la pietra,
    sì acuminato l'amore.

    La differenza non sta dunque in “ bei vocaboli incastonati qua e la nel testo per attirare l’attenzione del potenziale lettore”, né nell’ "a capo" selvaggio, ma nella proteiformità del canto e nella significanza delle parole. Come afferma Pardini nella sua introduzione: “Il verso non si può permettere di andare a capo quando vuole: deve rispettare quelle regole che sono insite prima nella parola poi nel verso stesso.” La lirica di Luzi ce lo dimostra.

    Lorena Turri

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  2. Naturalmente sono decisamente (ma c'è bisogno che lo dica?) d'accordo con Nazario Pardini Pasqualino Cinnirella e Lorena Turri per il loro concetti espressi in questa pagina dello scoglio di Léucade. Come si fa a confondere la poesia con la prosa? può solo accadere a chi non ha nell'anima e nella mente la giusta conoscenza dei canoni e delle "regole" che stanno alla base della composizione poetica, e non mi riferisco soltanto alle regole già citate nelle note di chi mi ha preceduto, ma anche al senso della sintesi non solo linguistica che realizza (deve realizzare) la composizione poetica ed al senso di universalizzazione che deve avere la versificazione: cose profondamente diverse dalle regole della prosodia. Brava poi Lorena Turri ad aver proposto la prosa del Manzoni e la poesia di Mario Luzi, che contiene tutti i canoni cui ho succintamente accennato. Non se la prendano a male coloro che pensano che costruire un verso significhi tagliare una composizione in prosa disegnando una colonna di parole. Vorrei concludere con una domanda dopo un verso di Leopardi :"Era il maggio odoroso e tu solevi" chi può pensare che si tratta, qui, di una semplice citazione temporale di un mese dell'anno?
    Umberto Cerio

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  3. Come non essere d’accordo con il signor Pasqualino Cinirella ed i concetti espressi dai commentatori. Il testo poetico ha le sue peculiarità che non sono quelle delle altre unità comunicative, ognuna di loro ha le proprie strutture e caratteristiche linguistiche. Non possiamo assolutamente considerare poesia quello che invece è prosa. Efficace l’esempio di Lorena Turri, dove è evidente quanto le differenze fra i due testi comparati siano notevoli. E come non capire quanto sia pregnante il linguaggio poetico all’interno del verso di Leopardi citato dal Prof. Umberto Cerio. Come cita il Prof. Nazario Pardini “ l’arte poetica ha un denominatore comune che va rispettato: sentimento, immaginazione , musicalità, e memoriale” sono gli ingredienti per creare un testo poetico capace di comunicare con l’umanità. Diversamente si ridurrebbe ad un’accozzaglia di parole senza identità. Il vero poeta considera le sue poesie come proprie creature. Ognuna di loro è connotata dal suo dna, ognuna è un pezzo del suo mondo in rapporto con altri mondi, ma nello stesso tempo c’è quel nucleo comune che è di tutti e permette al lettore di capire e percepire le parole scritte nel testo come fossero le proprie.

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