mercoledì 22 luglio 2015

PAOLO CLEMENTI: "RIFUGI IN OMBRA"

Poesie dense, armoniose, di euritmica sonorità, i cui versi, con energica valenza verbale, cristallizzano l’epigrammatica interiorità del Poeta; le sue dolci e forti emozioni dispiegate su un tessuto che rivela malizia tecnico-fonica nel far esplodere momenti di maggior lirismo in cascate endecasillabe, dopo rattenute, o enjambements, o prolungamenti metrici  che ne potenziano l’effetto significante. Poesia nuova, di ricerca, che pur allacciandosi alla nostra tradizione letteraria, pur rifiutando ogni specie di epigonismo o di minimalismo, si rassoda in uno stile spesso narratologico per esigenze di una confessione di largo respiro. Tanti i motivi esistenziali di un percorso vicissitudinale ricco di impatti umani: memoriale, coscienza del tempus fugit, Eros e Thanatos, redde rationem, carpe diem,  e vita, vita, vita con tutto quel fardello che ci portiamo dietro e che ci pesa per sottrazioni, ripensamenti, illusioni, delusioni, o per   meditazioni sul fatto di esistere: “Ormai i tuoi occhi sembrano ombre inquiete,/ come avessero visto in fondo al cuore/ e vi avessero letto le parole/ che non saprò mai dirti apertamente…”. Ossimorica diatriba fra il Bello, il tutto, e la pochezza dei mezzi umani; del nostro essere imperfetti con lo sguardo rivolto al cielo; all’amore; al sentimento dei sentimenti, indefinibile, da non trovar parole tanto è grande. Parole strette nelle grinze più nascoste del cuore, chiuse  nella loro alcova, che stentano ad uscire. Ed è proprio per il non detto o per il non fatto che ci rammarichiamo; e  forse, è per le ristrettezze del nostro vivere che vorremmo alzare lo sguardo oltre, per vincere l’inquietudine delle irrisolte questioni: “Ed io che lo credevo una risposta,/ un credito per troppi anni di vuoto;/ invece era soltanto una composta,/ smorta celebrazione di un devoto/ non volere, non credere a nessuno:/ l’ultima festa prima di un digiuno,/ prima della rinuncia ad ogni posta,/
ad ogni sforzo per variare il gioco/ di un sogno arreso al suo limite ignoto”. Un sogno entro i cui confini, spesso, ci rifugiamo, per trovare quella parte di noi che ci completi. Silloge robusta, che, con una connotazione strettamente ontologica, gioca su una rivisitazione spesso amara; stati d’animo che non tradiscono, comunque, il profondo amore per l’esistere le cui tappe vengono simboleggiate in tocchi di generoso panismo:  “Che scorgano le gemme dell’aprile/ che non vedranno, e continui più dolce/ questa strada in cui sembra si disperda/ pian piano il soffio limpido dei sensi,/ e si fermi il cammino, già stremato,/ che ormai, all’indietro, prosegue arrancando,/ come una crescita verso la prima/ notte beata, in un rifugio caldo”; quel rifugio a cui tutti ricorriamo quando il mondo ci offre un presente carico di dubbi, nel rimestare le stazioni della nostra via.

Nazario Pardini


“Rifugi in ombra” 

-SEI POESIE INEDITE DI PAOLO CLEMENTI-

 

Velluto

Oggi il mio sguardo annega, quasi spento,
in un cielo sottile, rosso cremisi,
come una foglia abbandonata al vento
di scirocco, ed ai suoi languori arresi.
E non trova rifugio che in contorte
radici velenose di passioni, forse
perdute, ormai come dissolte,
in giochi d’ombre e melodie stridenti.
Le scintillanti labbra che blandivano
il corpo nudo e l’anima inebriata
sembrano ormai rade conchiglie morte
tra le sabbie di un mare azzurro cupo.
E spande l’ultimo suo acceso, forte
aroma di selvatico respiro
un lento brivido di desiderio,
come un lacero drappo di velluto.


Clessidra

Devi afferrare il tempo che non muta,
senza paura che il dolore in fuga,
sacro, si nasconda al tuo sguardo.
O resteremo fermi a contemplarci,
per sempre ignari che la luce tracci,
da qui, un nuovo cammino al nostro viaggio.
C’è un tratto sempre nuovo da svelare,
un passo, un segno, l’orma di un indizio,
perché il presente ridiventi strada,
e non un fiore da ingabbiare in serra,
un orpello prezioso di un supplizio:
fionda, frusta, tenaglia del ricordo.
Liberi di varcare nuove soglie,
spalancando l’attesa all’aria nuda,
a un grido scatenato di speranza;
e disperdere al vento vetro e sabbia
di una clessidra, con orgoglio infranta.


Semi dispersi

Tutto quello che ho, sarà perduto
se tu non lo conservi come oro,
se tu non lo difendi come fosse
tuo quanto mio, come seme caduto
in terreno bruciato dall’incuria
di chi lo ha mille volte sconsacrato.
Di chi scambia dolcezza con lussuria,
semplicità, con frutto di avarizia,
fierezza d’essere, con la superbia,
desiderio del bello, con invidia,
serenità del nulla, con accidia,
gusto grato dei doni, con la gola,
coraggio nel difendersi, con ira.
Tutto il mio incanto finirà in rovina
senza l’impronunciabile Parola.


Confine

Ormai i tuoi occhi sembrano ombre inquiete,
come avessero visto in fondo al cuore
e vi avessero letto le parole
che non saprò mai dirti apertamente.
Che non mi accende più la stessa calda
febbre di carne viva e nuda mente;
e quella fede, complice e spavalda,
si è affievolita inesorabilmente.
Non credo più che nulla possa darci
che un angusto rifugio in cui salvarci
dal gelo che da presso ci tallona:
è troppo vasto e forte, non perdona.
Siamo figli di un tempo di sconfitta
su ogni linea, di verità trafitta
dalla paura che sia una minaccia
anche chi ci stringeva tra le braccia.
Ma un’orfana certezza che non cede
all’assedio dei colpi di quel fuoco
incrina l’acquiescenza che non vede,
oltre il confine vinto di quel vuoto,
un domani che nasce, chiaro e ignoto.


Limite ignoto

Ed io che lo credevo il più sicuro
asilo d’ombra in una stella oscura,
fiero d’essere immune alla paura
di ogni giorno cui arridere, incapace
d’invidia, derisione, sufficienza,
di ciò che non sia fuoco inestinguibile,
di ciò che non sia “miele dell’assenza”,
legato alla sua legge indefettibile.
Ed io che lo credevo una risposta,
un credito per troppi anni di vuoto;
invece era soltanto una composta,
smorta celebrazione di un devoto
non volere, non credere a nessuno:
l’ultima festa prima di un digiuno,
prima della rinuncia ad ogni posta,
ad ogni sforzo per variare il gioco
di un sogno arreso al suo limite ignoto.


Viaggio di primavera

Hai cominciato il districato tratto
verso l’ignoto passo, dove i sogni
diventano colori sfatti ed ombre
di luci fioche, come albe remote
e le forme si stemperano in corpi
astratti, elementari e arcani,
come disegni di bambini al colmo
dell’ignara scoperta delle cose.
Forse i tuoi occhi, sempre più socchiusi,
intravedono già, in fondo, la sponda.
Che scorgano le gemme dell’aprile
che non vedranno, e continui più dolce
questa strada in cui sembra si disperda
pian piano il soffio limpido dei sensi,
e si fermi il cammino, già stremato,
che ormai, all’indietro, prosegue arrancando,
come una crescita verso la prima
notte beata, in un rifugio caldo.

Paolo Clementi



5 commenti:

  1. Splendidi testi, per profondità introspettiva e raffinatezza stilistica, ulteriormente "illuminati" da un nota introduttiva di particolare limpidezza e e straordinaria classe, nell'ormai desueto, autentico ruolo che un tempo fu della grande Critica. Complimenti. Francesco De Girolamo

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  2. Perdonate il refuso della congiunzione maldestramente ribattuta. Buon lavoro. Un saluto. Francesco De Girolamo

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  3. E l'anima si eleva alla sola lettura di questi splendidi versi
    Un viaggio tra i sensi, attraversando tutti i confini , sempre con maestria ed eleganza con un pizzico di candore e pudore e tanto tanto amore...

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  4. Un saluto e un grazie infinite
    Caterina Putignano

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  5. Devo dire che queste poesie mi hanno molto coinvolta vuoi per la musicalità del verso vuoi per i temi cari anche a me e che Nazario Pardini nella sua bella nota introduttiva con acume e sensibilità sviscera benchè essi emergano con estrema limpidezza dal dettato poetico di Paolo Clementi in cui forma e contenuto sono un tutt'uno. Complimenti sinceri all'autore di cui spero di poter leggere presto altro. Un caro saluto. Lucianna Argentino

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