lunedì 9 aprile 2018

SIBYL VON DER SCHULENBURG PRESENTA: "PER CRISTO E VENEZIA"





Sabato 7 aprile all'Enoteca Letteraria abbiamo avuto l'onore di ricevere la Scrittrice di origine tedesca Sibyl von der Schulenburg con il romanzo storico dedicato all'illustre antenato che combatté in qualità di feldmaresciallo per difendere la Serenissima dagli ottomani.
Le due relatrici sono state fantastiche. Invio la recensione della nostra Aurora De Luca.

Maria Rizzi


Nota di Aurora De Luca; Sibyl von der Schulenburg, Per Cristo e Venezia, Il Prato Casa Editrice, Saonara (PD), 2016

Aurora De Luca,
collaboratrice di Lèucade

Non capita poi tanto spesso, soprattutto in questi giorni, che i componenti di una famiglia si ritrovino uniti dalle pagine di uno stesso libro; non un libro scritto da un’ulteriore terza parte, ma uno che nasca dal padre, passi alla madre, per poi raggiungere la figlia. Parti di una stessa letteratura, che ricostruisce innanzitutto un microcosmo, la vita di un gruppo specifico di persone, e poi un macrocosmo, una storia nazionale, conoscibile da tutti e che tutti coinvolge.
Questo passaggio da mano a mano – questo modo di ‘mantenersi’ – le ha permesso, come la stessa autrice scrive in prefazione, di conoscere il proprio genitore da un punto di vista precluso a molti altri figli: «[...] vivere il proprio padre attraverso la letteratura. A me accade regolarmente, ogni volta che traduco un suo racconto, romanzo, lettera o articolo giornalistico [...]».
Per Cristo e Venezia è infatti la terza versione de Il Re di Corfù, per la stesura del quale Werner von der Schulenburg, impiegò ben sei anni. Un’opera considerevole, di dimensioni importanti, e che recuperava la storia di un eminente componente della famiglia von der Schulenburg: il feldmaresciallo Johann Matthias von der Schulenburg.
Dal 1950 al 2008 Il Re di Corfù ebbe molte riedizioni e due lingue, tedesco e greco moderno. Dal 2000 anche le case editrici italiane ne vollero una traduzione in italiano, e dunque l’onere di tale trasposizione ricadde sulle spalle di Sibyl, la quale si accostò al testo con grande attenzione, lavorando anzitutto sulla ricerca di un proprio stile, sulla propria crescita letteraria.
Fra la versione di Werner e quella di Sibyl vi è la non meno importante versione materna; anche Jsa von der Schulenburg, in accordo con il marito, provò una riedizione ridotta del testo, nella prospettiva di una pubblicazione più agile e in linea con le richieste di un nuovo mercato librario.
Lo sforzo di Sibyl, nel raccogliere e, appunto, mantenere questa eredità, avvicinandola al mondo moderno ma senza tradire lo stile paterno (e materno), è stato ben ripagato: Per Cristo e Venezia è stato vincitore del Premio Internazionale Mario Luzi 2014/2015 Sezione narrativa edita “Premio Italia, Primo Premio Assoluto”.
Come dicevo, Per Cristo e Venezia, pur nello scopo di ammodernare la narrazione, rispetta lo stile di Werner: lo stile barocco di un aristocratico nato nel 1881, in grado di inscenare dialoghi assai verosimili a quelli dell’epoca descritta e a cui sono propri «[un] modo teatrale di strutturare una storia, [una] grande capacità di usare le parole per dipingere scenari poetici nonché [una] grande accortezza nella collocazione storica di personaggi ed eventi».
Il lettore moderno non subisce effetti stranianti e non corre il rischio di andare incontro a stonature o stridori, fastidiosi balzi in avanti e repentini salti indietro; il romanzo scorre fluido e denso, riuscendo, grazie a quella “patina d’antico che l’autore originario aveva applicato con tanta maestria”, a evocare le sontuose atmosfere della Serenissima Repubblica di Venezia, facendole sentire vicine e comprensibili, quasi visive, quasi tangibili.
In più, come in ogni buon romanzo storico che si rispetti [e che abbia come fine la conoscenza e non solo la ‘commozione’ del pubblico], vi è in appendice un ottimo apparato spazio-temporale (una tavola storico cronologica, un elenco dei personaggi principali e due cartine – di Corfù e del Golfo Veneziano – del 1716) che aiuta il lettore a localizzare personaggi, luoghi ed avvenimenti.
Siamo, dunque, nel 1716, quando il mondo occidentale è minacciato dall’impero turco ottomano e tutti i potenti d’Europa tentano di difendere i territori della cristianità dall’invasione islamica.
La missione del conte Johann Matthias von der Schulenburg, condottiero tedesco, è quella di difendere l’isola veneziana di Corfù, estremo avamposto d’Europa, e dare così al principe Eugenio di Savoia il tempo di portare le sue truppe a est.
I valori del feldmaresciallo sono solidi: l’amore, l’orgoglio, l’onore, la difesa della terra patria e di un ideale di fede, nonché la gloria postuma. Tali valori gli permettono di contrappore soli tremila uomini contro i quarantamila nemici; tremila uomini schierati al grido di guerra “Per Cristo e Venezia”.
Il romanzo però, pur sotto un titolo che è invero un grido di guerra, non si apre in battaglia, ma con il suono della penna d’oca su di una pergamena e con l’immagine del barone Johann Matthias von der Schulenburg, nel suo studio, intento nella stesura di una biografia.
Matthias appare, fin dalle primissime pagine, un uomo attento, riflessivo, capace di leggere il carattere della persona che ha di fronte, sia essa Eugenio di Savoia, o la donna desiderata, ma soprattutto è un uomo che conosce quali siano i suoi doveri e che sa muoversi, in maniera corretta, nelle cangianti e fitte trame di intrighi e mosse segrete, bisbigli e previsioni, con mani da “violoncellista, delicate e tastanti”.
I suoi doveri è egli stesso a dichiararli apertamente «difendere la terra, estenderne i confini, e, se necessario, combattere per salvarla. [...] Non siamo più i conquistatori di allora, ma ciò che possediamo lo vogliamo mantenere»; questi doveri anche a discapito dell’amore. Angiolina Mocenigo Della Torre, la donna la cui bellezza classica aveva meritato il titolo di Aimée (amata), ha per Matthias un nomignolo, “occhiostorto”, eppure la loro frequentazione si interrompe per lungo tempo, prima che ella ricomparisse, mai neppure una lettera, e continuerà ad avere strappi e interruzioni: è questa la differenza tra l’uomo e la donna, pensò Matthias, nessun amore, per grande che sia, potrà portare l’uomo a rinnegare il suo nome e la sua patria.
Eppure, seppur abbigliata in modo sontuoso e sensuale, incipriata e ingioiellata, la presenza di Angiolina fa ben comprendere l’importanza strategica di alcune nobildonne, culturalmente elevate, e scaltre; non è tappezzeria.
Ad Angiolina sono dedicate le più belle descrizioni, non paragonata ad una donna, né alla natura, ma direttamente a Venezia: di essa ha le acque, e i suoni e i colori, la sua voce persino.
L’intero romanzo ondeggia come ondeggia Venezia, che è la grande protagonista: sempre appare e si nasconde dietro le voci discordanti degli antagonisti.
Vi è come una musica interna, che è data dall’andamento ben congeniato dei dialoghi, nient’affatto posticci, ma anche da assonanze interne nelle descrizioni e nei motivi sonori; ci si dimentica quasi che si tratta di storia, di avvenimenti realmente accaduti. Ci si ritrova avvolti nella letteratura, ovvero in qualcosa di ugualmente vero ma che prima non esisteva, in grado di manifestare bellezze non viste, alludere a dinamiche interne, disvelare verità, punti di contatto e rendere significanti i colori, gli aggettivi, i tempi atmosferici. Tutto concorre, in letteratura, ha creare la storia, soprattutto la forma e lo stile. E questo romanzo può definirsi con quell’aggettivo che non ha bisogno del superlativo: questo romanzo è bello.
Accanto al grido di guerra, accanto alla strada che porta allo scontro, vi sono tutta una serie aggrovigliata di incontri di corte, di incontri segreti, di connubi amorosi, di pensamenti e ripensamenti, di ingressi in stanze appartate, di movenze civettuole (maschili e femminili) che non significano ciò che appaiono, di frasi in codice, tali da rendere il romanzo assai scenico, quasi filmico. I personaggi sono costruiti come tali, con scavo psicologico, studio del carattere e del modo di parlare, di vestire, di camminare: personaggi reali, – per davvero, certo – ma anche personaggi letterari, in grado di entrare nella mente del lettore come poterono farlo i grandi personaggi dei classici. Li sentiamo vicini perché riusciamo a sospendere la realtà e a venire a patti con la narrazione.
Si possono, infine, trarre numerose massime atte a descrivere la natura umana d’ogni tempo, nonché il ritratto di un’Italia, e di un’Europa, non dissimile da quella odierna: spaventata da ciò che viene da est, e in grado solo con molta lentezza, e con grande dispendio di energie fisiche e mentali, di proteggere le proprie ricchezze e farle prosperare.
Senza rivelare oltre di un romanzo che non può essere sintetizzato, così come non possono sintetizzarsi i grandi romanzi senza perderne la grandezza, passo ad intervistare l’autrice:

1.   Sibyl, la composizione di questo romanzo ha avuto per te un significato davvero importante: cosa ti ha permesso di conoscere, oltre a quella storia comune di Venezia e d’Italia?
2.   In cosa consiste lo stemma dei von der Schulenburg e quali somiglianze condividi con il feldmaresciallo, o quali diversità? E dunque, chi è Matthias?
3.   Quale è stato il tuo approccio compositivo? Parlaci del ‘dietro le quinte’.
4.   Italia del 1716, Italia del 2018: amare similitudini?












1 commento:

  1. Ringrazio di cuore la nostra talentuosa Aurora per questo gioiello e per l'intervista condotta alla nostra ospite, Sibyl von der Schulenburg e ringrazio, altresì, con con profonda gratitudine il carissimo Nazario, per la sua generosità ineguagliabile.
    Maria Rizzi

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