mercoledì 4 aprile 2018

N. PARDINI LEGGE: "VIRGILIO-BUCOLICHE" DI R. BURONI E C. BARONI





RINA BURONI e CARLA BARONI: VIRGILIO – BUCOLICHE. NUOVE CARTE EDITRICE. 2018

Carla Baroni,
collaboratrice di Lèucade

Nuova impresa letteraria questa di Carla Baroni: la traduzione di X Bucoliche di Virgilio in endecasillabi di forte identità personale; di generoso equilibrio classico; di tipica fattura  baroniana, in simbiosi con il lascito di una madre che ha fatto un gioco della sua formazione umanistica.
Libro fine, ben fatto, elegante per carta, impaginazione, caratteri (graficamente differenti a distinguere, nel testo italiano, le parti tradotte delle due autrici: corsivo per Rita Buroni, tondo per Carla Baroni) per quarta, con in copertina Fanciullo che suona il flauto di Pan d Joseph Bergler. Editata per i caratteri di Nuove Carte Editrice di Grisignano (VI), racchiude tutta la potenza creativa di una scrittrice poliedrica, versatile, proteiforme che conferma, traducendo le Bucoliche di Virgilio, tutta la sua levatura culturale, la sua attitudine alla classicità, ma soprattutto la capacità nel saper entrare nello spirito di uno dei  maggiori autori  della latinità con perfetti endecasillabi, che rappresentano il marchio di fabbrica della sua scrittura. La madre e la figlia, o meglio la figlia che porta a termine un lavoro iniziato dalla madre tredicenne: “Questa traduzione è stata scritta a due mani, ossia in parte da mia madre, Rina Buroni, in parte da  me. Per mia madre fu, all’inizio, un’esercitazione scolastica, il compito, cioè, di rendere in italiano l’incipit delle Bucoliche di Virgilio. Lo fece in endecasillabi perfetti all’età di tredici anni quando, credo, frequentasse la V ginnasio (l’odierna II ginnasio). .. Così, alla sua morte, ho completato io stessa le parti mancanti, ma sempre senza decidermi a pubblicare l’intera opera  perché temo che ci siano, sepolti da qualche parte,   altri brani tradotti da lei...”, così si esprime nella Nota introduttiva la scrittrice.
Un’opera di plurale entità culturale in cui le due autrici  dànno fiato ad una versificazione di accattivante sonorità; di armonico timbro che, all’apparenza d’antan, rivela, invece, una personalissima e attuale positura formale; quella che più identifica il discorso metrico-ontologico della Baroni, abituata a concretizzare i suoi input emotivi, le sue ora melanconiche, ora ironiche, ora realistiche visioni estetiche in tale versificazione.
Un’armonica lettura dell’anima Virgiliana; una personalizzazione del  sentimento bucolico del poeta; una rivisitazione, anche, in chiave moderna del suo panismo, dacché la Baroni ha letto se stessa, il di lei mondo, la forza naturistica, di cui si serve, o si è servita spesso per narrare le sue vicende esistenziali, ma ora, anche, quelle di un poeta che maggiormente rappresenta la cultura latina nella sua totale significanza.  

Meliboeus
Titure, tu patulae recubans sub tegmine fagi
silvestrem tenui musam meditaris avena;
nos patriae fines et dulcia linquimus arva:
nos patriam fugimus; tu, Tityre, lentus in umbra
formosam resonare doces Amaryllida silvas.

Melibeo
Titiro, tu che giacendo supino
sotto il rezzo gentil d’un largo faggio
 con la zampogna agreste elevi un dolce
trillar di suoni al blando sol di maggio
oh, te felice, che non fuggi come
fuggo pur io la dolce patria e i campi
tu che nel rezzo neghittoso e stanco
d’Amarilli le lodi intessi e canti
che alla selva ripete l’eco blanda.
E il villan fischia lavorando i campi.

Nazario Pardini

6 commenti:

  1. Grazie, grazie, grazie Nazario del tuo bellissimo commento e soprattutto di aver pubblicato l'incipit dell'opera tradotta da mia madre. La quale, come avrai visto, era creativa anche a tredici anni se aggiunse "sua sponte"quell'ultimo verso non appartenente a Virgilio. Naturalmente come figlia trovo bellissimo il lavoro di mia madre sperando che anche gli altri la pensino come me. Grazie ancora.

    Carla Baroni

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  2. Per prova so quanto impegno e quanta acribia Carla Baroni ha posto in questo lavoro di traduzione poetica (in qualche circostanza ampiamente libera), in cui è coinvolta e si esprime in un ideale "spalla a spalla" con sua madre, che ne riscuote l'ammirazione incondizionata. Figlia devota, Carla, dopo aver pubblicato " Tutte le poesie" di Rina Buroni in due cospicui volumi, ci offre ora, con questa pregevole traduzione delle Bucoliche di Virgilio, un'ulteriore testimonianza di bravura della madre e sua, un binomio umano che quasi si risolve in un monomio.
    Vero, prof.ssa (di matematica) Carla Baroni?
    Pasquale Balestriere

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    1. Caro Pasquale, ti sono infinitamente grata per questo tuo commento. Se non ci fossi stato tu – che mi hai anche aiutato con i tuoi consigli –, malgrado la bella ed esaustiva presentazione di Nazario, la mia inane fatica sarebbe passata completamente sotto silenzio. Non mi aspettavo grandi frasi anche perché, non conoscendo il testo, si fa fatica a giudicare ma almeno qualche “Brava” o “Complimenti” da qualcuno del blog mi sarebbe piaciuto. Ma poi, esaminando un po' la cultura generale, ho arguito che la mia opera è da élite: pochissimi al giorno d'oggi hanno frequentato i Licei e conoscono quindi le “Bucoliche”, ancor meno quelli che sanno la metrica. I veri poeti sono molto pochi, anche se qualcuno si picca di questo titolo per aver vinto una medaglietta a Canicattì. Per questo motivo mi sono astenuta dall'inserire un mio parere nel dibattito sorto intorno alla POESIA. Perché la poesia che rimarrà sarà limitata a pochi autori. Però chi scrive pensierini, talvolta anche con qualche strafalcione, andando a capo ogni tanto e non rispettando minimamente la forma, è contento, si sente gratificato quando ritiene che un suo testo sia apprezzato e ciò lo fa felice. E allora viva la poesia in tutte le sue forme libere, eterna panacea per le nostre solitudini.
      A te Pasquale, un grazie di cuore: meglio un solo commento di uno veramente colto che tanti commenti di persone che fingono solo di esserlo. In una sola cosa non sono completamente d'accordo con te: la traduzione, all'infuori di qualche eccezione soprattutto materna, è molto fedele al testo almeno in considerazione che è versione di poesia in poesia e necessita quindi di qualche accomodamento. Ancora grazie.

      Carla Baroni

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    2. Cara Carla, ti devo un piccolo chiarimento. Quando ho scritto di traduzione "ampiamente libera" ho premesso l'espressione "in qualche circostanza". E, con questa affermazione, intendevo per la verità riferirmi a tua madre più che a te, perché già nella versione in italiano di questi cinque versi iniziali, oltre al verso inserito di sana pianta da tua madre (evidentemente molto attenta a effetti idillico-georgico-bucolici), la traduzione di "lentus" con la coppia aggettivale "neghittoso e stanco" esula da un contesto logico che a me par essere il seguente: Titiro (che poi è Virgilio) è un pastore che, dopo la battaglia di Filippi e le successive confische per la distribuzione di terre ai legionari che “andavano in pensione”, ha conservato il suo podere per grazia di un giovane potente come un dio ( Ottaviano Augusto): “deus nobis haec otia fecit”, un dio mi concesse questa tranquillità; per questo Titiro può starsene serenamente sdraiato sotto un faggio a suonare lo zufolo; in condizione opposta è l’altro pastore, Melibeo, che ha perso i suoi beni e con il suo gregge emigra per luoghi più accoglienti. Per questo il “lentus” riferito a Titiro non può significare propriamente “neghittoso e stanco”: significa invece, non solo a mio parere, “tranquillo, placido, sereno” e corrisponde semanticamente ad “otia”, termine da intendersi, come già detto, con “tranquillità, pace”.
      Ma, per chiudere, una traduzione in qualche caso ampiamente libera non è certo un difetto, anzi. Tutto dipende dallo scopo che il traduttore si propone di perseguire.
      Pasquale

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  3. Caro il mio acutissimo censore, molto probabilmente, anzi certamente hai ragione tu, che insegnando lettere, avrai “macinato” le Bucoliche non so quante volte con i tuoi scolari. Però le interpretazioni sono interpretazioni e anche quel “neghittoso e stanco” non mi pare proprio fuori luogo. Intanto in quel momento Titiro se ne stava lì inoperoso suonando lo zufolo e me lo insegni tu - che sei un “poeta-contadino” sui generis - che il proprietario di un campicello trova sempre di che stancarsi. Devi pensare però che la versione materna risale al 1923 quasi un secolo fa e non credo che l'insegnante che ha introdotto il testo non abbia speso almeno due parole sulla sua traduzione. Può darsi che questo insegnante abbia interpretato diversamente quel “lentus” tradotto con due aggettivi per esigenze di metrica. Talvolta anche l'italiano è oscuro: si pensi a Dante. Al liceo io studiavo la Divina Commedia su un testo, credo, appartenuto a mia nonna dove “poscia, più che 'l dolor potè 'l digiuno” veniva spiegato dicendo che il Conte Ugolino i suoi figli se li era mangiati tutti, mentre i miei compagni avevano una versione meno cruenta dell'episodio. E “ il gran rifiuto” per secoli si è pensato che fosse quello di Celestino V mentre dal Pascoli in poi si ritiene Ponzio Pilato l'autore del gesto.
    Purtroppo troverai nelle nostre traduzioni molto più gravi allontanamenti dal testo latino un po' per esigenze di metrica, un po' perché se non si aggiungeva un minimo di spiegazione qualche brano risultava incomprensibile. Spero che quella tua puntigliosità, che fa di te un ottimo insegnante e ancor di più un critico superlativo, ti induca a segnalarmi tutti gli errori commessi di modo che sarai costretto a leggerti tutta l'opera. Con affetto.

    Carla

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  4. De gustibus ...
    Ma poi guarda, cara Carla, che il tuo libro me lo sono già letto, e in buona parte a voce alta per saggiarne ritmo e musicalità, scandendo gli endecasillabi. Poiché ho discreta conoscenza delle bucoliche virgiliane, pur non confrontando quasi mai la traduzione con l'originale a fronte per esigenze di tempo, mi sono accorto di alcuni passaggi in cui la traduzione era piuttosto libera. Ma, come ho già scritto, ciò non costituisce assolutamente un problema, purché questa scelta sia organica e funzionale agli obiettivi che tu e tua madre vi siete posti traducendo.
    Ed ora con un "Vale"
    qui si congeda il tuo amico Pasquale.

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