lunedì 24 settembre 2018

ANNA VINCITORIO LEGGE: "CRONACA DI UN SOGGIORNO" DI N. PARDINI



NAZARIO PARDINI
Cronaca di un soggiorno
gennaio 2018
The Writer – Edizioni Ass.

Anna Vincitorio,
collaboratrice di  Lèucade


Verso l’isola… Nell’isola?
Nel pronunciare questa parola ci proiettiamo al di fuori di noi. È un volo
immaginato o vissuto verso un indefinito sospeso tra mare e cielo che può contenere ricordi come l’impossibile, il reale, il contenuto di una intera vita oppure l’inaspettata consapevolezza della morte. “Su quest’isola/ le campagne rigurgitano fiori/ si estendono infinite assieme al cielo;/ i voli non sanno della morte;…”. L’isola per chi crede nella sua esistenza, dà un’idea di protezione come se ci cingesse con l’abbraccio ideale di un mare. Ma bisogna raggiungerla. È una conquista che il poeta acquisisce con la forza della parola. Parola formata di spazi naturali dove sostare; spazi spesso impervi. Il prezzo può essere alto: “ho amato l’amore,/ ho consolato lividi e sconfitte/ ho incenerito sogni,…/ ho logorato barche ormai spente e inclinate,/ sono adagiate ad ammirare stracci/ di nubi incoronate dai tramonti./ Solo un’isola mi volle sui suoi scogli.”
Se dotato di creativa fantasia, ognuno di noi potrà avere la sua isola e
contemplarla. L’isola è la nostra vita colma di “volti, rimpianti; fremiti di mare, incontri…”. La vita che viviamo è un soggiorno e in esso prendono corpo i ricordi: “quella scala/ che mio padre saliva per gioire/ del profumo di casa…”. Il figlio che attende sui gradini l’evolversi delle fatiche quotidiane del vivere anche se il vivere è caduco. Il nostro soggiorno è breve rispetto al dopo. Così le sue incognite. Il testo è cosparso di metafore: “scogli scivolosi cui aggrapparsi, di fronte onde devastanti”. Il punto fermo: un’isola fragile sperduta “lembo di terra che trattiene quasi prigione…/ sosto ancora e di fronte il mistero”. Quale? Un’altra vita nella morte. Compagni, sempre i ricordi. La gioventù rimpianta. Il poeta la vede verde ma di un verde che subito si annera all’affacciarsi del silenzio dell’autunno. In questa caducità in cui tutto è soggettivo, la verità è eterna e universale. Quando ne avremo cognizione? C’è una realtà in tutto ciò che ci ha preceduto: è reale ciò che continua oltre di noi – vita ultraterrena – Tra il prima e il dopo il niente. L’eternità cui agognano è nera come il nero che dà fine al verde della giovinezza. Nera perché non ci è dato di conoscerla; infinita, universale. Il poeta dopo queste dissertazioni filosofiche si sofferma sulla bellezza delle Apuane: “Hanno il cuore/ nei volti di madonne, nelle chiare/ corone di pietà prone su panche/ di chiese secolari… Alte, superbe, chiomate di aureole,/ sono là stagliate/ all’ora dei tramonti…”. Alla bellezza delle montagne contrappone – Terremoto – con descrizioni forti e reminiscenze classiche rivelatrici delle specifiche conoscenze dell’autore e il consapevole richiamo al mito. Ma questo terremoto è lo sconquasso che la vita genera in noi? C’è una speranza e dopo l’annientamento la calma è un nuovo voler rivivere: “se il chicco del seme nella terra muore, dopo darà molto frutto”. Nella vita momenti in cui sostare come guardare il mare blu stasera; “mirare quella vela, il suo scivolare leggero…/ voglio mirare la sagoma di un’isola brumosa/ che vibra la sua immagine irrequieta…”. Ritorna il concetto di isola, lontana ma dove il poeta ha vissuto forse solo attimi che l’hanno fissato nella memoria. Ora non può più raggiungerla ma solo ricordarla come l’immagine di una fotografia. Ma dove vive il poeta? Vive in “solitudini/ immemori di isole, solitudini/ di morte compagna lasciata alla pietà di chi vive la fine inconsciamente/ giorno per giorno”. Il mondo ha in sé realtà crudeli (Foibe – pag. 38) e scende il buio; il cielo aggredisce la terra con fulmini e diluvi. Qui vive il poeta; la sua anima inquinata fuori dal corpo “in cerca di profumi/ che il vento appiccicava alle carezze/ d’orizzonti puliti…/ dove lo sguardo si perdeva largo…”. Si schiara il poeta nel ricordo costante della primavera, della Pasqua vista come giorno di memorie, “come attimo breve di profumi e di sapori arcaici e gioiosi”. Si manifesta l’amore per la sua Pisa, la strada di Metato: “spazi d’azzurre levità su letti/ di fiumi deviati in altri corsi/ …ali di pensieri appese al blu/ …Ecco il mio saluto,/ o irti, schivi e astati girasoli…”. Nel sorgere del sole e nel pulsare della vita riaffiora il padre vivo “ad onta della morte sulle pietre, i muretti, i cigli/ le viuzze, i pensieri/ da questa nuova aurora lievitati”.
Dentro l’anima solo abbandoni, ricordi col profumo di rosa e il fiore di
campi fuori “dai giardini dei fiori” e dopo un lungo viaggio il poeta vive nella sua isola. “E a sera sento il richiamo della mia certezza,/ fuggo col cuore zeppo di quell’aria/ coll’anima immortale dei suoi venti,/ coll’alito lucente del suo sole”. Il bisogno avvertito dal poeta è “il ritornare spesso sui soliti luoghi” dove “il brivido d’amore/ della vista del mare, della notte/ o del giorno che nasce dalle tenebre, a che vale?…”.
Affiora un pessimismo profondo perché il protendere verso l’azzurro è
solo apparenza “nella nera voragine del nulla,/ che azzererà la mente e la memoria”. L’ebbrezza della vita è solo nel viaggio e la sua fine “seguirebbe la morte di un poema”. E allora, volgere lo sguardo “all’orizzonte della spiaggia nuova/ di questo mare ignoto”. Desiderio di risorgere dalla nera morte dello spirito con la parola.
La seconda parte della raccolta è dedicata ai familiari. La tenerezza del
figlio Samuele dai boccoli d’oro; le enormi spiagge riminesi e quella foga di libertà che è compagna di vita. La piccola Debora, i primi passi, l’avventura nel box. Ricordi, nostalgie. La vita vista dagli occhi di una bimba e dagli adulti provati da essa ma ricolmi di un amore senza tempo. In questa atmosfera pervasa dai ricordi, la natura dei luoghi con “l’elicriso che imbionda sulle dune/ tra l’arsa tamerice ed il salmastro/ brontolio della bàttima”. Giovinezza e vita di spiaggia. Il poeta nel ricordare, sente nuovamente dentro di sé i fremiti di giovinezza. Il tempo scorre veloce; “gli anni hanno le ali”. Per vivere ci vuole amore anche se “volerci bene è cosa rara”. Poi la struggente “sera di casa mia” per respirare l’aria buona di casa e i passi del padre che gli parlava “di un ciliegio reciso, e della nonna/ a stendere la pasta al matterello/ o a usare la ventaglia sul fornello/ che spolverava cenere” e il camino meraviglioso che schioccava. Ancora: la vecchia zia Rosina e il vestito conservato intatto nell’armadio e i canti “delle tortore mi aiutano/ che lugubri rintoccano nell’aria,/ a vivere la morte,/ con voi miei cari…”.
Il poeta indulge nel ricordare la madre che “ai piedi non aveva tacchi a
spillo/ ma stivaloni tanto pesi che le stremavano i fianchi”. La terra impolpata di pioggia e “sotto l’acqua, appena riparata, violentava i suoi sogni”. Madre “con il falcino in mano e il volto stanco”. E quel dialogare col padre, immagine fissa nella memoria del figlio. Figura semplice e grande come la terra da lui coltivata che regala al figlio “odori d’erbe offerte/ alle frullane lucide di sole”. Il figlio prega; non sa a chi, perché gli mantenga in seno la voce paterna. Quel padre che aveva in sé la maledetta voglia di seminare sogni anche nei giorni più neri della notte”.
                    “Contro la luna”

Bello anche il ricordo del fratello che prendeva per mano, lui ventenne, il
poeta di appena nove anni. Non c’è più accenno all’isola ma il nostro è immerso nell’aria di novembre greve di penombre che degradano; un novembre presago della fine dove ancora risuona “la voce magra” della madre ma dove il poeta colloquia col padre in sogno. “Baluginò il suo volto – che lucore!”. Ancora: il padre gli prende la mano, lo chiama e lui corre trepidante e il ricordo di cose semplici della vita lontana di campagna: i pomodori “zuppiati in picchiata nel sale”.
Il testo termina con – Nel buio il giardino d’oro – dove “Restare non è
dato. È il mistero/ che volle il triste strappo”. Tuttavia in questa desolazione che anticipa la morte, “nasceranno/ nuovi virgulti a fremere ai libecci;/ a popolare fronde; a rimandare riflessi verdeggianti di speranza”.

 Anna Vincitorio
Firenze, 19 settembre 2018

9 commenti:

  1. Splendido l'affresco di Anna Vincitorio, che coglie in pieno la realtà di sogno in cui è immersa l'opera di Nazario Pardini. Una memoria che è fantasmagoria di colori e di immagini ancor più vivi nel ricordo di quanto non fossero nel momento in cui si sono vissute, come ben ci insegna Proust nella sua Recherche. Anche quella di Nazario è una "recherche":di attimi intensi e significativi che hanno attraversato una vita piena di affetti e di emozioni. E una vita vissuta nel culto della bellezza, come si addice a un poeta, non può che diventare memoria di bellezza, anche dei momenti più tristi e dolorosi, nelle sfumature e nelle ombreggiature della nostalgia, riflesse dalla luce abbagliante della giovinezza. Grazie ad Anna di aver reso omaggio a un poeta unico nella sua capacità di ricondurre alla classicità emozioni così immediate e vive, così capaci di parlare all'anima e allo sguardo in un rispecchiarsi di sensazioni sempre diverse, come in una favola infinita.
    Giusy Frisina

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  2. Il commento della splendida Scrittrice e Poetessa fiorentina alla "Cronaca di un soggiorno" di Nazario Pardini, edito dai tipi della The Writer – Edizioni Ass., è un ricamo magnifico dei concetti sui quali il nostro 'Nume tutelare' si è soffermato. Anna si incentra, in primis, sul tema dell'isola, che racchiude, protegge, consente di essere dentro le vicende del mondo e al tempo stesso 'al di là'. L'isola, che potrebbe essere Leucade, ovvero Lefkada mi porta a pensare al testo di Alessandro Baricco 'Novecento', divenuto nella trasposizione cinematografica "La leggenda del pianista sull'oceano'. Il protagonista, nato sulla nave, la sua isola, decide di non scendere, di leggere la vita attraverso i tasti del pianoforte - si scopre incredibile pianista per dono di natura -, e attraverso gli sguardi, le emozioni,le emozioni, le rabbie e gli amori di coloro che salgono e scendono dallo scafo. Non vuole scendere. Ha paura delle città, del mondo, il suo spazio è quello che va dalla prua alla poppa e gli basta. La vita ha troppe strade, troppi misteri, troppe domande, lui si accontenta di respirare il mondo che circonda la nave e di raccontarlo sui tasti del pianoforte, che sono sempre gli stessi, ottantotto, cinquantadue bianchi e trentasei neri. Può sembrare un paragone azzardato, ma viviamo di storie che ne evocano altre e il 'dipinto' di Anna sull'isola descritta da Nazario mi ha spinto sui passi di Novecento, che teneva stretto l'universo che poteva e voleva conoscere... E il nostro immenso Poeta nel definire l'incanto dell'isola
    Anna è colei che legge, respira l'esistenza tramite i versi di luce e dolcissima saudade del Poeta e li interpreta senza snaturarli. Credo che l'impresa più ardua dei critici letterari sia proprio dare una lettura
    delle opere evitando di riscriverle, di aggiungere le proprie sensazioni, i propri sentimenti, mutando il dire dell'Autore. Nell'analisi della seconda parte del testo, dedicata alle isole dei ricordi familiari, Anna distende la propria anima al servizio delle storie evocate dal Poeta. Si sofferma con devozione sugli affetti dell'Autore, sceglie il descrittivismo, una sorta di neo - realismo poetico per rendere chiaro il mondo delle persone care a Nazario: il figlio, il fratello, 'la voce magra'della madre, il padre, vivo nei sogni, come spesso accade. E si sofferma su questo Poeta da sempre rivoluzionario nella sua ansia di 'seminare sogni'- quasi un ribaltamento delle storie comuni-,infatti è il padre che insegue la libertà e rispetta la dote di sogni che ci viene data in dono e alla quale dovremmo avere il coraggio di andare incontro, per dimostrare di esserne degni. Anna precisa che l'isola cede il posto al mondo: "ricordo di cose semplici della vita lontana di campagna". Un quadro che invita a far parte della vita di Nazario, della sua libertà dalle infinite sfaccettature, un'anticipazione della storia che insegna a tutti noi con umiltà e amore profondi. Anna cita con pudore, in punta di piedi, con soave capacità di rispettare, la terza parte del testo, "Restare non è dato"... recita il Poeta e sembra una resa all'ineffabile rito dell'esistenza, ma per Nazario non esistono prese di coscienza prive di volontà di volo. Da sempre. Infatti conclude con un inno superbo alla speranza.
    Anna lascia che parlino i versi. Si ritrae e sembra sorridere al Poeta. Ho avuto l'impressione di vederli di fronte, sull'isola, nel giardino del passato, nel timore del futuro, complici e forti, come solo i 'virgulti' possono e sanno essere.
    Una pagina indimenticabile. Un coro a due voci che mi ha dato la misura della vera Poesia. Anna è stata l'alter ego perfetto di Nazario.
    Ringraziare due simili colossi è davvero riduttivo. Applaudo onorata.
    Maria Rizzi

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  3. Analisi complessa e articolata, condotta con profondità e accuratezza di un'opera poetica che rappresenta l'allegoria della vita, in cui il pessimismo si stempera, pur senza risolversi, nelle piccole/grandi cose che ci sono vicine e fanno parte della nostra sfera affettiva. L'isola è la metafora della condizione umana, nella doppia valenza di isolamento ma anche momento di quiete, di rischio e allo stesso tempo protezione, di custodia degli affetti e di nostalgia di qualcosa che il tempo ha irreversibilmente disperso. Del passato resta il profumo, il ricordo, le immagini, una sinestesia di sensazioni che lenisce il dolore e, pur nella desolante consapevolezza del destino umano, lascia spazio a "riflessi verdeggianti di speranza".

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  4. L’ampio intervento critico di A. Vincitorio dà prova di una lettura attenta, articolata, meditata della poesia di N. Pardini in generale e dell’opera Cronaca di un soggiorno in particolare. La scrittrice coglie le tematiche tipicamente pardiniane: il tema pregnante dell’isola, la Leucade sempre agognata, eterno miraggio, e della volontà di navigare, osare, rischiare per raggiungerla, l’isola della poesia, la meta di una vita a lei dedicata… Ma viene sottolineato anche il tema della memoria, che si misura con il ricordo degli anni giovanili e della malinconia, con la consapevolezza intellettuale oltre che sentimentale della caducità del vivere e delle emozioni, del tempo…Non manca il tema meditativo, della natura e del suo eterno canto ammaliatore che apre all’eterno, delle passioni che si quietano, lo sguardo sereno del Nostro, pur nel pessimismo esistenziale che caratterizza la vita degli umani, che convive con il sogno di un eden perduto, in cui le conoscenze mitologiche ci permettono ancora di addentrarci come in un sogno in una splendida allegoria.
    Non mancano i rilievi stilistici, sull’uso delle figure retoriche, la sottolineatura della musicalità della perfezione nell’uso dell’endecasillabo, la ricchezza sontuosa e consapevole del linguaggio spesso aulico.
    Giustamente A. Vincitorio sottolinea la seconda parte della silloge, dedicata agli affetti familiari che riconducono a sentimenti e a ricordi costitutivi della personalità delle esperienze decisive della vita del Poeta.

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  5. Chiedo perdono ad Anna e Nazario... per l'eccessiva lunghezza del testo, è saltato il concetto di isola. Ho scritto: il nostro immenso Poeta nel definirla e non ho aggiunto: "La vita che viviamo è un soggiorno e in esso prendono corpo i ricordi"
    Maria Rizzi

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  6. "Nel pronunciare questa parola (l'isola) ci proiettiamo al di fuori di noi". Così esordisce Anna Vincitorio in questa superba esegesi di "Cronaca di un soggiorno" di Pardini, il poeta per eccellenza di Leucade, dell'isola... che non c'è. Sarebbe tuttavia depistante intendere quel "fuori" come qualcosa di estraneo a noi stessi, alla nostra realtà. L'inconscio è parte ineludibile della nostra natura. Può essere salvifico, se con esso stabiliamo relazioni amichevoli, ma se tentiamo di ignorarlo o di contrastarlo diviene distruttivo, giacché in esso giace la nostra più profonda e sconosciuta identità. Visibile ed invisibile sono l'uno nell'altro e poco importa che sul piano pubblico i sogni segreti siano destinati a restare tali. Quello che conta è che, attingendo ad essi, che sono le nostre radici, noi riusciamo a rinnovarci interiormente trovando la forza per andare avanti nella quotidianità. E' questa la funzione della poesia ed è questo il miracolo che la poesia di Pardini fa. Bisogna distinguere questa memoria creativa dalla memoria antiquaria che isola e separa il mondo interiore dalla realtà. La memoria di Pardini si confronta con il mondo, ne accetta l'ingiuria e la condanna, va sul patibolo perché sa che solo estinguendosi rinascerà. Non ha nulla a che fare con la "durata" bergsoniana lineare e costante. Trovo stupendo il passaggio dove Anna, alludendo credo a tutto ciò, ricorda che "se il chicco del seme nella terra muore, dopo darà molto frutto". Non cambierà certo il mondo per questo, ma se non cambierà in meglio, neppure in peggio cambierà. E tutto resterà nell'equilibrio iniziale, fin quando i singoli sapranno rinnovare dentro se stessi la visione dell'isola che non c'è.
    Franco Campegiani

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  7. Davanti alla splendida pagina di A. Vincitorio comprendo e condivido lo spirito estatico che deve avere spinto la scrittrice all'esegesi del libro di poesia di Nazario Pardini. Con attenta lettura ne ho avuto conferma in quanto in me ha lasciato di ammirata riflessione. E' una pagina che respira di alito pardiniano, nel largo esposto dei pensieri che si aprono alla chiarezza interpretativa del verso armonioso del Poeta, evidentemente molto seguito e amato. Impossibile resistere a certi richiami come l'idea della vita come "soggiorno", l'immagine fascinosa di un'isola (la ben nota isola che non c'è!) , lo struggimento dei ricordi più cari e..non certo per ultima la lirica malinconia di fronte allo struggersi del tempo.
    Il "soggiorno" è il percorso che ciascuno di noi misura di giorno in giorno quando comincia a vedere il calar della luce...e la cronaca di quel soggiorno è quel che ci avvicina alla piena consapevolezza di noi stessi, che ci apre gli occhi sul cammino percorso e su quanto vi abbiamo lasciato, goduto o sofferto. E' storia di tutti, è argomento che ci tocca troppo da vicino per non provare un appassionato interesse.
    Ma quella cronaca è anche musica, armonia persino laddove il pensiero sale fino a farsi filosofia, anche e soprattutto quando tocca le corde degli affetti che il Tempo ha portato via. E quella cronaca, quel soggiorno sono il frutto maturo di un Poeta che ha sempre amato e cantato la vita in tutto il suo splendore. E non ha cessato di farlo, mai.
    Dunque una lettura che attrae, che affascina, che ci prende totalmente fino a sentirla come cosa nostra.
    Nella straordinaria pagina di A. Vincitorio che legge "Cronaca di un soggiorno" ho percepito, ho trovato tutto questo, arricchito dalla sua personale sensibilità, dalla capacità critica, dalla snellezza e nitore dei periodi. C'è una leggerezza nel lessico, una scelta elegante e sempre pregnante degli aggettivi pur nella profondità del dettato, che tutto suona davvero pardiniano. Come se il Poeta stesso avesse voluto donare una sua nuova "Cronaca di un soggiorno" in versione prosa poetica.
    A questo punto non ritengo addentrarmi in un commento al commento...La splendida chiarezza dello scritto della eccellente Anna Vincitorio non ne ha bisogno.
    A lei, così come al Poeta che tanto bene ha commentato vanno i miei più sentiti complimenti.
    Edda Conte.

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  8. RIFLESSIONE SU UNA LETTURA di N. PARDINI
    da parte di Anna Vincitorio
    IL MISTERO DI UN'ISOLA
    Anna Vincitorio interpreta con particolare acume di sensibilità
    partecipe, il poetarsi di Nazario Pardini e mi consente qualche
    ulteriore spunto a corredo su “Cronaca di un soggiorno”.
    Spunto su una poetica pardiniana che compendia il proprio
    divenire in spazi orizzontali infiniti ma circoscritti su “isole” di
    memorie e reminiscenze ricamate e intersecate da rigurgiti e voli
    innocenti. Parole creative e descrittive di una vita nella famiglia
    dei ricordi evocati nel misterioso e drammatico rapporto con la
    morte. Spazi di impotenze esistenziali che solo un'isola può
    comprendere.
    Il filosofo-poeta Pardini qui riemerge ponendosi le domande più
    profonde sulla caducità della realtà inesauribile fonte di precedenti
    e successivi, ritagliando scenari improvvisi di meraviglie naturali
    destinate all'oblio, ma rivelate da assonanze di speranze incognite
    ed impreviste.
    La caducità personalizzata lascia potere al nulla della morte
    universale. Ma l'isola di Pardini si sostituisce nell'attesa al collasso
    del non “essere” trasformato nell'angoscia del buio.
    E' l'universale cromatismo poetico che per Pardini ha un
    significato ontologicamente articolato nei vari momenti espressivi
    per moduli narrativi insondabili. Dall'“isola” agli spazi emotivi di
    Metato con i genitori, dalle Apuane del cuore all'anima immortale
    di un poeta che non si arrende al pessimismo dell'impotenza
    solitaria e all'azzeramento del tutto. I familiari costituiscono poi
    parte essenziale della sua riflessione poetica innestati nella
    presenza della Natura. La giovinezza emerge dal rapporto con i
    piccoli figli e con le parole del padre, della nonna, della zia, della
    madre, del fratello incise nei particolari esistenziali di un tempo
    che non si esaurisce mai fuggendo. Di qui “l'orizzonte della ​
    spiaggia nuova in un mare ignoto...”, “...il richiamo della
    certezza...” “l'alito lucente del sole...” “il brivido d'amore alla vista
    del mare o del giorno che nasce dalle tenebre...”
    Ogni memoria si configura quindi come “fase” di un percorso
    intrecciato in sentimenti custoditi gelosamente per un mondo di
    sogni culminanti nel mistero che vuole lo strappo mortale. Un
    mistero che precostituisce una rinascita (ecco la speranza
    positiva!) a “nuovo virgulto”, a “popolare fronte”, a “rimandare
    riflessi verdeggianti di speranza”... La rinascita di un poeta senza
    tempo come Nazario Pardini.
    Marco dei Ferrari

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  9. Veramente commossa per i numerosi e autoptici interventi sulla mia esegesi al libro di Pardini, sentitamente ringrazio, uno ad uno, i critici che hanno avuto la bontà di leggermi.
    Anna Vincitorio

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