lunedì 3 settembre 2018

N. PARDINI LEGGE "INEDITI" DI MARISA COSSU


Marisa Cossu: Cinque poesie inedite

Marisa Cossu,
collaboratrice di Lèucade
Cinque poesie che mettono bene in luce la maestria della Cossu nel giocare coi versi; nel trasferire  i suoi abbrivi esistenziali in parvenze naturali, in analogie intime, in corpi di valenza visivo-mitologica o naturistico-riflessiva, per dare concretezza al pensamento, all’urgenza della spontaneità. Non è certamente nuova l’apparizione di questa poetessa sull’isola, ne è una valente collaboratrice, e i suoi interventi hanno sempre reificato cultura, sentimenti, saudade, rêverie, memoriale in un realismo lirico di coinvolgente naturalezza. Le liriche di questa piccola silloge sono state particolarmente apprezzate dalle commissioni dei Premi Letterari a cui hanno partecipato, conseguendo primi e secondi posti. Ma cerchiamo di capire il quid di tale apprezzamento: i versi ci ammaliano alla prima lettura per la musicalità dello spartito su cui si distendono. Endecasillabi e settenari  ri-lucidati in chiave moderna; un andare sicuro e spigliato che fa del principe dei versi l’arma vincente del canto. Ci viene in mente il violino della Primavera di Vivaldi, o il coro A boca cerrada della Butterflay, insomma una serie di note che fanno da ecfrasi a monumenti ispirativi di particolare conturbamento: Saffo, l’Elba... e la poetessa, adusa alla scrittura, al fascino dell’Arte, dà tutta se stessa alla storia, ai fatti, alle combinazioni, al mito, perché sulla pagina si facciano nuovi, ontologicamente significanti, capienti dell’intendere e del sentire. Il tutto si concede ad una euritmia che avvolge, dando la dritta al dettato poetico. Saffo la grande, la suggestiva, la pensosa, la inquieta; la poetessa che andava in cerca di burrasche e temporali, di fragori marini su scogli dissestati per trovare una equivalenza al suo soffrire; al suo dicotomico contrasto fra la  bellezza dell’anima e la bruttura del corpo; Saffo che bramava la morte per non far contaminare dalla vita l’attimo superbo dell’eros:

... Era soffuso
il palpito di brezza sopra il seno
voglioso di carezze e impallidiva
ancor di più nel cielo il corpo vago
ai nostri abbracci.” “Come si potrebbe
pensare ad un banchetto senza canto,
senza il suono del flauto così querulo
ma subito propizio con il suono
a dare gioia all’anima.” “Volevo
che tutto il mio sentire si spegnesse
nella notte soffusa e che l’immagine
non guastasse la luce. Era la morte
ch’io bramavo nell’attimo superbo
di eternare la gioia dell’amore... (N. Pardini: Alla volta di Lèucade. Da Safffo a Anacreonte, Viareggio, 1999).

La Cossu si rifà alla rupe bianca del mitico scoglio di Lèucade, alle pene d’amore, all’abbandono di Faone. Si rifà al salto nell’oblio di particolare fascino, contornandolo di impennate creative profumate di leggiadro vento, di rive sabbiose, di passo di stormi, di rupi bianche, di tocchi “leucadiani”. Immagini cariche di pathos che si fanno involucri di guizzi emotivi in campi semantici ampi e distesi. Questa è la grandezza della scrittrice: saper concedere alla melodia voli odissaici che vanno oltre l’umano; fino al sommerso porto Argivo dell’isola d’Elba, dove:

Il mito è ancora qui
sui ciottoli screziati delle Ghiaie
tra l’acque del sommerso porto Argivo...

Un mitopoietico intervento con cui far brillare di luce propria l’antico fulgore del tempo. E se ci fosse ancora bisogno, per dimostrare quanto la Nostra invigorisca il presente di un simbolismo mitologico da tramandare al futuro,  e quanto rispetti il ruolo della poesia col suo neoclassicismo che punta al ricupero di una tradizione formale alla ricerca del canto, eccovi due sonetti di puro stampo nostrano: caudato e elisabettiano: una vera padronanza della metrica, dei suoi giochi formali, dei suoi allunghi sintestetico-allusivi, del suo euritmico abbraccio del tutto. La carrellata termina con la poesia dal titolo Il terrazzo, dove il memoriale con elegante leggerezza sfiorato, i rampicanti gelsomini, il terrazzo del sole, la canzone del vento, le sottili dita, le sàrtie degli alberi maestri allineati a riva, il lamento zigano, la rauca sinfonia  del Maestrale, il sentimento del bel tempo perduto, le tenere spore, la tempesta, la pioggia, il mare, il mio cuore abbagliato, il sogno, l’amore:

Se tu ci fossi, amore,
ti chiederei perché tagli quei rami,
perché sorridi quando grida il mare,
quale ossimoro strano
sul terrazzo del sole ti commuove.

si distendono in una rapsodia di suoni, sapori, visioni; un mix di sensazioni ora intuitive e ora corporali, cenestesiche vicine a antropiche trasfusioni di sapore dannunziano (scorre la linfa nelle bocche nuove;/ ma come piove),  completano un quadro di estrema plurivocità compositiva: un polisemico affondo che fa del verbo un trampolino di lancio oltre il senso,  oltre il canonico topos del linguaggio, dacché proprio la poesia sente forte il bisogno dell’azzardo.
Di sicuro   non si può dire che la Cossu appartenga a quella corrente sperimentale basata sulla riforma prosastica del verso che ha cercato di egemonizzare la poesia italiana del tardo ‘900 fino ai nostri giorni, quanto, piuttosto, alla positura classico-novatrice di quei validi autori che fanno del ritmo, della misura, della creatività, della rielaborazione endecasillaba  il cuore del poièin.

Nazario Pardini
02/09/2018

A Saffo

 Se vuoi vieni con me,
 indossa la tua veste profumata,
 la trasparenza vaga come il tempo,
 ti sia leggiadro il vento.
 Sono già qui dove l’Antico batte
 sulle rive sabbiose la sua forza;
 passano stormi sulla rupe bianca.
 Oh Lefkas, ferma il volo in una rete!
 Già la veste si libra su guaìne
 di mirto e l’onda assale con un grido
 il gesto di farfalla .
 Eccomi dove l’abito
 è rimasto impigliato,
 dove si staglia l'isola allo sguardo,
 il luogo a me più caro,
 dove il cuore è sepolto nell’incàvo
 delle rocce e la sabbia
 è bianca più del volto.


All’Elba

Il mito è ancora qui
sui ciottoli screziati delle Ghiaie
tra l’acque del sommerso porto Argivo;
forse nessuno prima aveva visto
i naviganti eroi cercare il vello
e riposare stanchi sulle rive
di antichi santuari in fondo al mare;
forse nessuno ancora aveva visto
i relitti del tempo riaffiorare
dove il futuro a navi immaginarie
riservava il compianto,
un silenzio marino di campana
rapita dagli abissi del dolore.
Ma il grido è ancora qui:
rifrange l’eco il pianto di un amore
immemore e consunto
e l’isola prescelta dalla Dea
verdeggia ancora intorno alla dimora
che s’affaccia silente e misteriosa
tra le rocciose grotte presso il mare.
A te perla Aethalia il dolce canto,
 a te il Tirreno guidi i suoi delfini.
Ti sia propizia l’onda
e lieve il Maestrale.


“Ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”
(cit. E. Montale – sonetto caudato)
ABAB ABAB CDE EDC cFF

Si compie a sera l’arco dei viventi:
ne rimane il riflesso che trattiene
segni finiti in pallidi momenti,
pietrificate cose, vane pene;

che cosa siamo dentro quei frammenti,
quale mortale forma ci contiene!
Siamo nomi già detti, fari spenti,
soffi di vita che non ci appartiene;

forse miti pensati nell’ignoto,
simili a forma d’acqua che si scioglie,
nel fiume della vita, e non vediamo

“ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”;
nel mutamento che tutto ci toglie,
culliamo le illusioni dentro il moto;

poi si ferma nel vuoto
l’appassionante corsa dell’altrove
verso il Fattore che l’eterno muove.


Condizione
(sonetto elisabettiano)

Ritroveremo quello che scompare
in una zona tra la vita e l’oltre
e resteremo attoniti a contare
luci  che, avvolte in una spessa coltre,

arano nella nebbia le insidiose
corsie del nulla. Alla fine sapremo
dove si scioglie il nodo delle cose
e forse solo in quel confine estremo

 si darà forma al tutto chiaramente.
Saremo libri scritti nella notte,
sillabe di un inchiostro trasparente,
fantasmi  sulla scia di ignote  rotte;

la tirannia del Tempo ci misura,
della pochezza umana non si cura.


Il terrazzo

Gemmano rampicanti gelsomini
sul terrazzo del sole;
ma come piove! Va nell’aria greve
la canzone del vento
e la pioggia la fila,
 con le sottili dita, tra le sàrtie
degli alberi maestri
allineati a riva.
È zigano lamento
la rauca sinfonia  del Maestrale,
un sapore di sale
disteso sulla pelle, il sentimento
del bel tempo perduto.
Ieri hai potato i rami e già rivive
il nucleo verdeggiante e delicato
delle tenere spore
e l’acqua le disseta:
scorre la linfa nelle bocche nuove;
ma come piove! Fuori c’è tempesta,
dentro la stanza è il mare,
un luccichio che resta
sulle pareti come ondoso quadro;
intanto scava il ritmo delle gocce
nel mio cuore abbagliato,
e mi allontano, chiudo la finestra,
ti cerco ancora dopo aver sognato.
Se tu ci fossi, amore,
ti chiederei perché tagli quei rami,
perché sorridi quando grida il mare,
quale ossimoro strano
sul terrazzo del sole ti commuove.

Marisa Cossu 








7 commenti:

  1. Carissimo Professore, non so come ringraziarla della bellissima nota. La sua genuina ospitalità, la fiducia che con questo abbraccio poetico e intellettuale riesce a trasfondere nella mia scrittura, sono luci di appiglio per continuare, per migliorare e per divenire sempre più vera . Essere qui è un grandissimo onore ed ancor più lo è il sapere che un grande poeta, scrittore e critico letterario ha letto con tanta benevolenza le mie poesie.

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  2. Complimenti Marisa ,anche al "Baudelaire VI Ed. ",con "Il terrazzo",hai ottenuto un magnifico 2 posto.

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  3. Grazie. Gli "aspiranti" poeti vivono di queste cose; prendono forza dall'approvazione di critici qualificati, Essere qui mi onora: è motivazione alla continuazione dell'impegno nella cultura e nella poesia. Sarò a Morano per il premio e per ringraziare tutti personalmente.

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  4. Non mi azzardo ad aggiungere nulla alla magistrale nota del professor Pardini. Mi permetto sommessamente di condividerla appieno e ancor più quando colloca questa splendida poetessa, di origine sarda, ma conterranea nel suo percorso esistenziale, nella positura classico-novatrice. E questa collocazione fa pendant con la sua eleganza, il suo garbo e la gentilezza delle sue movenze. Un caloroso abbraccio al Nostro e alla cara Marisa

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  5. Cara Marisa, ricordati che la modestia non paga. Non sei un'aspirante poetessa (metto il femminile altrimenti Pasquale Balestriere mi fa una filippica) ma una poetessa completa a tutti gli effetti. Nelle tue liriche ci sono contenuti, freschezza di immagini e forma. Cosa vuoi di più? Con il contorno poi di altri brani del nostro divino "Nazario" questa pagina del blog, prendendo a spunto la pubblicità di una trasmissione televisiva, "rinfresca la mente". Complimenti a entrambi!
    Carla Baroni



    Carla Baroni














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  6. Sposo il commento di Marinelli: Mazario ha detto tutto ciò che penso e condivido. Posso solo aggiungere i miei complimenti a Marisa per il premio conseguito, l'importanza del mito, inteso come conoscenza e l'apprezzamento puro per uno stile che rinnova il metro classico pur rispettandolo. Questa pagina è una lezione di Poesia. Sono incantata.
    Maria Rizzi

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  7. Grazie, cari amici dei graditissimi commenti. Ringrazio Maria Rizzi, Carla Baroni, Pasquale Marinelli, l'Associazione culturale Orion. Su Lèucade si diventa tutti migliori, si acquisisce sicurezza e la consapevole gioia di far parte di una tanto pregevole comunità.

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