mercoledì 18 dicembre 2019

NAZARIO P. LEGGE UNA SILLOGE DI FRANCO DONATINI


Fanco Donatini,
collaboratore di Lèucade

Se per poesia si intende freschezza, empatia, sentimento, memoriale, autobiografismo, presenza (e non assenza), musicalità, cura del verbo, e dei suoi legami, Franco Donatini è con le mani in pasta. Fa vera poesia. Il suo empito umano è disseminato in ogni parte del suo “poema”. Non lascia le cose così come appaiono, d’altronde una carretta in mezzo alla strada, un aratro in mezzo ad un campo incolto, un albero, un panorama, di per sé non farebbero arte, non sarebbero sufficienti a rientrare nella sfera dell’estetica, se non intervenisse l’autore ad adornarle della sua forza emotiva, dei suoi intendimenti  passionali. Potrebbero assumere l’aspetto di simboli, questo sì. Ma la poesia pretende qualcosa di più: coinvolgimento, rielaborazione, élan verso l’azzurro nel tentativo di elevarsi al cielo per ovviare alla nostra pochezza, alla solitudine di esseri terreni Questo fa l’autore. Vede, osserva, medita; lascia le immagini a sedimentare nell’animo, e poi le trasferisce sulla pagina intrise del suo modo di sentire,  con tutto il bagaglio che si porta dietro sulla considerazione del fatto di esistere: esilità, fugacità del tempo, inquietudine, malum vitae, confronto fra sé stesso col tutto: “... Non so perché lo amo quest’autunno/morente e grigio come i miei ricordi/svaniscono col tempo nella mente/Fu questa la stagione dei miei amori/ degli incontri fugaci eppure eterni/rimasti appesi a un ramo senza foglie/fluttuanti nell’aria esseri inermi”. Le stagioni si fanno momenti essenziali del vivere, le similitudini, e i simboli, sono frutto di una macerazione intima; il memoriale, per dare consistenza ad una storia, cerca di agguantare ciò che l’oblio tenta di distruggere. Farne delle concretizzazioni emotive è un gioco non facile specialmente se devi affidarle alla nobiltà di un verso quale l’endecasillabo. Tutto scorre con euritmica fluidità. L’armonia e il calore delle figure stilistiche creano uno spartito di robusta resa visiva. Amore, e dolore, gioia e melanconia, ombra e luce costituiscono l’antitetico gioco epigrammatico di cui l’autore si dimostra artefice risolutivo: “...Così è stato un giorno come tanti/che il caso ha estratto il nostro incontro/che i tuoi occhi hanno parlato ai miei/ e la tua luce ha acceso i miei pensieri/Ignoro quanto tempo sia passato/un lustro un anno un giorno o solo ieri/ Non son capace di contare il tempo/né prevedere quando finirà/ e cosa resterà di questa storia/ se il vento spazzerà …dalla memoria”. Il tempo, la precarietà, la vita, l’indagine  di un futuro che ci è ignoto, i perché irrisolti e irrisolvibili che le stagioni ci prospettano con ogni loro esplosione panica, sono i tanti apporti che arricchiscono il contenuto della silloge.
“...Non voglio più ignorare la tua voce/e i tuoi silenzi che parlano di noi/e riscoprire/nel breve mio domani/il tuo sorriso tra i vasi di gerani”. Ed è così che la malinconia intrisa di vita può essere stemperata da stati d’animo che si appigliano al sentimento dei sentimenti; all’erotico tocco delicato e fugace, ontologicamente umano e suadente, rivissuto e adornato da un répêchage di recondite armonie psicologiche.
“... Se nel quadro d’un pittore troverò/nel volto i sogni/che un tempo ospitava la mia mente/e l’antica nostalgia/ fedele compagna della vita mia”. Antiche nostalgie, saudade, compagnia di primavere scomparse, tutto emerge, con grande forza emozionale; nel dettato lirico; esso vibra con versi ora brevi ora più ampi per seguire le oscillazioni dell’animo; un vero diagramma musicale, una vera fluidità, incastonata in una versificazione di rara corposità. Sembra comunque prevalere un senso di positiva  inquietudine esistenziale a dare substantia al corpo della silloge; la netta coscienza della precarietà dell’essere e dell’esistere, destinata a subire lo smacco del destino; direbbe Pascal il disagio provato nello stare fra la grandezza del cielo e la futilità della terra, dove si  soffre di questo stato di posizionamento ontologico: “... Ahimè dell’uomo infelice paradigma/che con ali vuol spezzare le catene/della sua cattività perenne/Ma non son ali/ per la libertà/né per spronare/ il mai represso orgoglio/ma per mostrargli la sua precarietà”. Chiudere con questo sostantivo, precarietà, significa dare spazio a quello che è i leitmotiv che sta fra le note della romanza; di una silloge polivalente, plurale, varia e articolata in cui il poeta tocca tutti gli àmbiti dell’umana vicenda facendone un vellutato percorso per pensamenti esistenziali. Un percorso che si differenzia nettamente dal genere di poesia di fattura sperimentale basato sulla positura di ordine narrativo, in cui l’io si perde nei rivoli dell’impersonalità, dell’assenza. Qui la presenza dell’autore domina con tutta la sua complessa portata di natura umana e umanistica.

Nazario Pardini 


Pensiero d’autunno

Non so perché lo amo quest’autunno
morente e grigio come i miei ricordi
svaniscono col tempo nella mente
Fu questa la stagione dei miei amori
degli incontri fugaci eppure eterni
rimasti appesi a un ramo senza foglie
fluttuanti nell’aria esseri inermi

Brevi gli amori come le giornate
che il sole accorcia avaro della luce
liquidi come la pioggia che dilava
quel poco che resta nei pensieri
Non c’è più né ieri né domani
solo il presente ora e poi più niente
un’esistenza che sfugge dalle mani

Forse so perché amo quest’autunno
con il sole che si spegne lentamente
nel mio orizzonte sempre più vicino
È perché assomiglia alla mia sorte
come la bruma avvolge i miei ricordi
come fa il vento …con le foglie morte


Questa vita

Questa vita altro non è che un gioco
di dadi che corrono su un verde
bizzarro e cinico tappeto di roulette
che falsamente ti offre l’illusione
di dominare la tua situazione
Talvolta è solo un alito di vento
a muoverti verso un’altra riva
a spingerti impotente sopra il mare
combinare vicissitudini e eventi
non contemplati nella nostra rotta

Così è stato un giorno come tanti
che il caso ha estratto il nostro incontro
che i tuoi occhi hanno parlato ai miei
e la tua luce ha acceso i miei pensieri
Ignoro quanto tempo sia passato
un lustro un anno un giorno o solo ieri
Non son capace di contare il tempo
ne prevedere quando finirà
e cosa resterà di questa storia
se il vento spazzerà …dalla memoria


La casa in collina

Sono salito ansante verso il colle
e quella casa a lungo abbandonata
densa di ombre e amare nostalgie
e di ricordi caduti nell’oblio

Lasciata per seguire nuove strade
per sfidare nel mondo il mio destino
rimasta a rammentare il mio passato
un luogo che ora m’appare più vicino

Tra le crepe del tempo e tra i sassi
sboccia furtiva un’esile figura
risuonano i tuoi passi nelle stanze
parlano sommesse le possenti mura

Si sparge il tuo canto nella valle
una musica che accarezza i rovi
lo riconosco
scuote i miei pensieri
di passate stagioni e giorni nuovi

Non voglio più ignorare la tua voce
e i tuoi silenzi che parlano di noi
e riscoprire
nel breve mio domani
il tuo sorriso tra i vasi di gerani

  
Non so…

Non so quanto seppur con fare incerto
ancora camminerò
lungo la strada
ove la gioia e il dolore del vivere
ho provato

Se sfiorerò ancora i tuoi capelli
e coglierò con ardore fiori nuovi
o con mani rosse
svelgerò tristemente irti cespugli
ispidi di rovi

Se sfogliando il mio lungo diario
con trepidante
mano riconoscerò vecchi ricordi
o strapperò
fogli ingialliti da consegnar all’oblio

Se nel quadro d’un pittore troverò
nel volto i sogni
che un tempo ospitava la mia mente
e l’antica nostalgia
fedele compagna della vita mia


L’anfora

È un’anfora il tuo corpo levigato
cercata nei sentieri della terra
scoperta nel profondo del mio mare
vuoto come sabbia di un deserto
dove solinga
l’anima mia scompare

Un’anfora che accoglie la mia carne
rapito da un ardore sempre nuovo
che nasconde qualcosa che non trovo
nei miei pensieri fluttuanti onde
che s’infrangono
sul velo dei ricordi

Un’anfora che cela i tuoi misteri
ineffabili cortine in cui ti chiudi
che separano i nostri corpi nudi
un legame che scivola pian piano
lontano ignari
di quello che eravamo


Amore amaro

Lacrime che rigavano il tuo volto
sulla mia bocca il sapore amaro
mi colpiva il tuo sguardo assorto
gli occhi in basso per sfuggire i miei

Eppure mi offrivi la tua guancia
che sapeva di sale e di lavanda
e sfioravi la mia senza voltarti
a scostar dal mio bacio la tua bocca

Non era quello tra noi due un gioco
e neppure soltanto una passione
né un capriccio o una trasgressione
né un fuoco che s’accende sol per poco

Fu l’incontro di due anime perse
nei labirinti della umanità
che per caso s’incrociano nel mondo
senza cercarsi e senza volontà

Anime in cerca d’un luogo ove scoprire
le emozioni a lungo mai svelate
represse nel tedioso quotidiano
da sempre nel profondo mai placate

Ancor senza parlare ti voltasti
nascondendo il volto sul mio petto
imprimesti la tua forma sulla mia
mentre l’angoscia pareva volar via

Un frutto colto tra lacrime e sorrisi
un misto acre d’umori e di saliva
bagnava i nostri corpi trepidanti
e caldo colava sopra i nostri visi

Come il vento travolse il nostro cuore
lo sgomento d’un sogno ad occhi aperti
lasciando il pensiero a rammentare
l’aspro sapore d’un amore amaro


Un sorriso nuovo

C’è sul tuo viso un sorriso nuovo
che squarcia anni di fredda indifferenza
calata tra di noi come una grata
che segna una vicina lontananza

Una luce in te che non conosco
che emerge vitale dai tuoi occhi
mi apre una breccia dentro al petto
come fa il sole tra gli alberi del bosco

Se non ti conoscessi da una vita
penserei a un improvviso incantamento
a un magico momento che mi sfiora
per svanire
come un sogno in un istante

Perché ti sei nascosta in questi anni
triste hai rivolto il tuo sguardo altrove
ignorando i palpiti del cuore
nell’arido
tran tran dei nostri giorni

Ma forse è soltanto un’illusione
quel sorriso che illumina il tuo volto
per un attimo mi appari in altro modo
e torni
ancora a cercare …il vuoto


Omaggio ai miei poeti

Vorrei che Charles Paul Arthur ed io
un giorno ci trovassimo in un bar
a bere assenzio ed a parlar di noi
di vite consumate senza senso

Una taverna posata per incanto
al limitare tra la terra e il mare
e un albatros volar sopra di noi
oh Charles
che ci venga a rammentare
il tuo paradigma di poeta
schernito in terra e signore delle nubi

E vorrei dietro di noi una foresta
dove passeggiare tra alberi maestosi
e coglier come fiori i nostri simboli
e sperimentare sinestesie di sensi
di profumi freschi di colori e suoni
ed osservar con voi il funerale
della Speranza
e il sinistro trionfo dell’Angoscia

E poi sotto un cielo tiepido d’autunno
oh Paul
cantare insieme una canzone grigia
in una sintesi tra preciso e incerto
evocare emozioni e nostalgie
in preda al vento come foglie morte
e incontrare un gioioso saltimbanco
che deriso sorride al volgo sciocco

E con te Arthur vorrei parlar d’amore
di baci che dormono su fiorite foglie
di un fauno che cela il riso tra le fronde
e di un soldato che tra i gladioli dorme
freddo immobile
con la bocca socchiusa in un sorriso
ignaro ormai dei colpi di mitraglia
che tingono il cielo azzurro di vermiglio

E infine vorrei
chiuder gli occhi per non veder dai vetri
come neri mostruosi demoni
su di noi scendere le ombre della sera


Urlano le parole

Urlano le parole nel mio testo
il silenzio irrequieto dei pensieri
Vorrei farle tacere ma non posso
mi spingono in percorsi non battuti
Forse perché non son solo parole
Son emozioni persone ed accaduti

Nati per seguir il loro destino
figli superbi che si son sottratti
fieri e insofferenti alla mia guida
ve ne andate liberi nel mondo
da me creato e or ci siete dentro
come Don Chisciotte
coi suoi mulini a vento

Come Ulisse
che fugge la sua meta
e si perde nei meandri del viaggio
indugia in luoghi e terre ove consuma
amori con ninfe e ammaliatrici
rischia con le Sirene la sua vita
per ascoltarne il melodioso canto

Come Achab
che fugge la ragione
e continua la sua caccia sventurata
per vendicare il tremendo Leviatano
roso dentro e arso fuori dagli artigli
inesorabili di un'idea incurabile
e compier la missione irrinunciabile

Vi ho creato per seguire la mia trama
e forse dovreste darmi spiegazioni
ma non sono interessato ad ascoltarvi
né a raccontare i vostri turbamenti
scrivo soltanto perché voglio narrare
il navigare nel mio penoso mare


Il poeta

Non vive il poeta sulla terra
neppure abita le sommità dei cieli
non cerca gloria o vanto dalla gente
schivo usa le nubi come veli

Non ama lo splendore dell’estate
né il profumo del sole sfolgorante
i giorni che indugiano al tramonto
e il calore di strade arroventate

Né le promesse della primavera
né gli alberi che ostentano le messi
i fiori dal sorriso seducente
e i guizzi gai degli arcobaleni

Si cela nel silenzio dell’autunno
che dà voce al suo interno turbamento
ai rami secchi protesi
verso il cielo
che parlano d’abbracci e di sgomento

Fugge la luce e l’allegria del giorno
si rifugia nelle stanze della notte
ove immagini sopite
fan ritorno
e popolano la casa dei ricordi

Respira l’oscurità e il mistero
che ammalia il suo animo inquieto
mentre i rintocchi del tempo
batton lenti
accordandosi al fluir dei sentimenti

  
Oh Icaro!

Vana per l’umanità fu l’illusione
oh Minosse
di seppellire mostri disumani
demoni e reconditi segreti
chiusi per sempre dentro un labirinto
e credere che la conoscenza
possa restare ignota o riservata

Non si contenta l’uomo di balocchi
di giocare con ninnoli e trastulli
di tener una nera benda sugli occhi
per conservare la sua tranquillità

Fatale fu il tuo vile tradimento
oh Dedalo
di asservire succube il tuo impegno
ai disegni del malvagio re cretese
per ingannar le masse o forse solo
per tentare superbo un folle volo
per dar prova del tuo eccelso ingegno

Non può scienza andar contro natura
e celar altrui l’amara verità
senza restare eterno prigioniero
dell’inganno di cui si fa foriero

Ancor vano l’infausto tentativo
di liberarsi dall’oscura schiavitù
prigionieri di meandri tortuosi
applicando a sé e al figlio grandi ali
di penne
per uscir dal sinuoso gorgo indenne

Oh sventurato e ingenuo Icaro
che sfidi del sole i mortali raggi
per librarti nel cielo con coraggio
e ignorar del padre i consigli saggi

Ahimè dell’uomo infelice paradigma
che con ali vuol spezzare le catene
della sua cattività perenne 
Ma non son ali
per la libertà
né per spronare
il mai represso orgoglio
ma per mostrargli la sua precarietà






5 commenti:

  1. Sono avvezza a leggere Franco Donatini, uomo di scienza e di parola, esperto narratore di storie, romanziere e biografo di artisti, ma confesso che il Donatini poeta mi ha commosso, perché il poeta non può non scavare nell’anima, dove si raccolgono le più intime malinconie. Ed ecco , tra le crepe del tempo, ripercorrere le stagioni, gli amori, gli incontri frugali. “ Scrivo soltanto perché voglio navigare nel mio penoso mare”, confida. Il Donatini poeta respira l’oscurità e il mistero che ammalia il suo animo inquieto, e in compagnia di Achab, Don Chisciotte e Ulisse con le ali vuol spezzare le catene della sua cattività perenne. E questo, solo la poesia può farlo.
    nadia chiaverini

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  2. L'esegesi di Nazario mi commuove per la profondità della sua analisi e soprattutto per l'intensa sensibilità e la vicinanza che ha sempre mostrato nei miei confronti, uniti alla stima e amicizia che ci legano

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  3. Ringrazio Nadia per le belle parole di commento e la sua sensibilità interpretativa, con il piacere di condividere la passione della poesia

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  4. Franco Donatini, bravissimo narratore e incantevole poeta. Ogni poesia è un pezzo della sua anima. Amante della vita,ma anche malinconico e nostalgico. Le sue poesie riportano all'armonia di un bel canto.
    Cinzia Coronese

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  5. Ringrazio Cinzia, nota pittrice lucchese, artista iperrealista di grande scuola, che ammiro per la profondità ed efficacia di questa sintesi. Condivido con Cinzia, frequentatrice del mio salotto letterario, l'approccio sereno e allo stesso tempo disincantato nel suo messaggio artistico

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