venerdì 19 marzo 2021

NAZARIO PARDINI: PREFAZIONE A "FIORDALISI E PAPAVERI", DI ADRIANA PEDICINI

 


Adriana Pedicini: FIORDALISI E PAPAVERI. EDIZIONI IL FOGLIO. 2021

Nazario Pardini. IL CUORE DELLA VITA di Adriana Pedicini

 

“…Diverso è il destino delle foglie.

Non di uccelli migranti hanno virtù

a solcare terre e mari e montane cime

presto cadranno nell’umida pozzanghera.

Una sul davanzale sbatacchiata

la furtiva mano l’ha adagiata

supina come in grembo

tra le esangui pagine del libro.

La incollerò sul ramo a primavera

quando le foglie brilleranno di novello verde.

Perché ogni cosa abbia il suo nume

e nel nume certa la speranza (Nume tutelare)

 

Iniziare da questa composizione significa andare da subito nel mare magnum della poesia di Adriana Pedicini. Un canto di armonie, di iuncturae reificanti palpiti emotivi, abbrivi esistenziali, dove la natura si offre generosa alle similitudini con l’esistere: il vento, la foglia, i simboli, i ricordi, e la volontà di perpetrare gli abbrivi dell’esser-ci. Adriana Pedicini fa della sua apertura emotiva uno spiraglio tramite cui inoltrarci nella grandezza della poesia; di quella che ti chiama, perché sa dove ti trovi, conosce i tuoi palpiti, i tuoi incantamenti; sa della tua navigazione in mezzo ad un mare che lascia intravedere l’isola della possibilità, quella verso cui ogni poeta dirige la sua ricerca, ma che difficilmente dà delle risposte ai quesiti che noi cerchiamo affannosamente. Sì, quelli sulla vita, sul fatto di esistere, sull’hic et nunc, su tutto ciò che riguarda la nostra permanenza su questa  madre terra. Ed Ella gli va incontro, gli volge l’animo e la penna, a ché le riveli i ricami verbali, i succhi significanti, gli accostamenti, le similitudini,  gli accorgimenti stilistici per andare al di là della parola, che con la sua totalità espressiva azzarda sguardi di quietudini metafisiche:

 

“Cadono d’un tratto le paure

e le angosce del limite estremo

e come pane di lievito il cuore si slarga

l’animo empie le gote di spirito sacro

e profumo di viole conduce alla stalla

a rimirare il miracolo antico che nuove

sparge speranze a virtù e ognuno

a guisa di umile servo accoglie

del regale Bambino il segno del Tempo

nei fuggevoli tempi dell’uomo

nei giorni precari di vite consunte

in animi sordi alla buona novella.

L’Infinito è in un attimo

al santo vagito ci guida la stella cometa

da lontano nell’aria suoni di ciaramelle” (Dies natalis),

 

attraversando terreni inesplorati in un viaggio epigrammatico tra vecchi tzigani:

 

“A te vengono da ogni dove

le vie del passato

segreto della memoria.

Così vivi il tuo tempo recente               

e quelli remoti.

Così nei volti nuovi intravedi

fattezze lontane, i miti e la storia…” (Il vecchio tzigano),

 

o soffermandosi a contemplare sere di meditazione i cui colori tanto richiamano il tempo che passa portandosi via la luce esplosiva della giovinezza:  

 

A sera

si disfa l’aspetto

giovanile del giorno

i colori che dentro mi ridono

si velano come sogni

notturni nel placido sonno

nel lento scivolare delle ore (Sera)

 

E tutto si fa sinfonico, armonioso, visto che la Poesia non la molla, e quello che le suggerisce è pulito, genuino, spontaneo, irrazionale, come essa vuole: “Prendi la penna e scrivi dell’uomo, di questo essere tanto misterioso quanto reale,  dei suoi ingranaggi esistenziali, delle sue inquietudini, dei suoi slanci verso l’inarrivabile, dacché, pur incollato a terra, brama sempre respirare un po’ di quell’aria che spetta all’eterno. Scrivi. E quando vedi che la parola non ti è sufficiente, chiedi aiuto alla natura, è essa che ti darà tutte le configurazioni atte a concretizzare e ad espandere i tuoi fremiti”. E questo fa Adriana. Ricorre ad ogni motivo che riguarda l’uomo e la sua permanenza: l’onirico, il memoriale, la coscienza del tempo che fugge, la morte:

 

“…Fermo è il tempo di vita

nell’ora che declina alla morte.

Nell’aria solo profumo di mosto

 e celate promesse nel cuore”(Autunno),

 

 l’attrazione per chi ama; e tutti quei requisiti che si pone in quanto umana, durante la sua navigazione. Quale stagione più aderente alla vita dell’autunno con le sue foglie cadenti e i suoi colori rubino disseminati a terra. Tutto è caduco, effimero, transitorio in questo nostro soggiorno. Allora la poetessa ricorre alle memorie, perché sa che con esse c’è la possibilità di allungare la vita, di lottare a tu per tu con l’oblio, che la vorrebbe annullare con i suoi scabri interventi:

 

“…Lo sentii (il dolore), mamma, e fu per te

che impressi da allora passi doppi

dinanzi alle porte strenue degli anni

nei giorni sempre più esigui, sempre più,

piccolo intervallo al fatidico traguardo

dove tu più stanca di me per l’attesa

seduta sarai ad aspettarmi.

Ti restituirò all’incontro la calda carezza

come allora e il tuo amore e il mio

insieme saranno spirito di fuoco” (Memories).

 

Sì, si ricorre alle radici, alla poesia dell’home, a figure e immagini che rievocano antiche primavere, quando le persone care ci sfioravano con gli sguardi,  e ci sembrava impossibile che potessero uscire di scena lasciandoci a soffrire coi nostri ricordi:

A mia madre

 

Solo l'amore
ricompone sul ciglio
della memoria l'immagine
svanita come neve al sole
di fredda primavera.
Pure ti sento
nella carezza tiepida
del vento e nel profumo
dei petali che di quella primavera
mi restituiscono la tristezza
e la speranza dell'Eterno.

 

 Ed è così che ripescando fatti, volti, e avvenimenti, Adriana Pedicini riesce a costruire immagini di persone che le sono state a fianco per anni e che hanno giocato un ruolo determinante nello svolgimento emotivo della sua vicenda. D’altronde siamo umani e in quanto tali soggetti alle leggi del tempo e della natura. Ed è per questo che, sapendo, Ella, che la vita è un breve tratto donatoci dalla morte, intende spolparla, ricavarne quel succo essenziale atto a fecondare la sua poesia; quel dettato polivalente che racconta con purezza lirica ogni vicenda del suo esistere:

 

“…Silenzio che promette pace ardente

come tutte le paci quando la promessa

è falsa e la tregua breve.

Ognuno porta altrove la gerla delle pene

e intatto la riporta nell’usata terra.

La delusione si tinge di realtà e tutto

rimette a posto nella costrizione

del ritmo faticoso della vita” (Estate).

 

Forse riportando altrove la gerla delle pene sarà meno duro il mestiere di vivere; il pensiero di lasciare per sempre le persone che amiamo; d’altronde il mistero di thanatos ci attanaglia tutta la vita: la morte rappresenta la fine della vicenda materiale, ma reca con sé il grande mistero di quello che verrà dopo, come l’Amleto Shakespeariano che definisce la morte “il paese sconosciuto da cui non ritorna nessun viaggiatore”.

Una poesia plurale, proteiforme, articolata che dalle riflessioni esistenziali passa con agilità espressiva a quella engagée di Mediterraneo, dove non è arduo leggerci quel filone classico vicino allo stile della Nostra:

 

“…Resista tranquillo l’animo

alle provocazioni degli uomini

dinanzi al mercato degli dei.

Salda la virtù plachi le paure e l’egoismo

l’inganno e l’odiosa attesa,

e siano le tue acque, o Mare Nostrum,

non liquida urna di ossa tra i marosi disperse

ma arca cullata dallo sciabordio lento

delle onde dove il sonno conciliò

la carezza di Danae al piccolo Perseo (Mediterraneo).

 

 Poesia vita, vita poesia. Due elementi che viaggiano all’unisono  nel corso del  poema.  Quanto amore! Quanta saudade! Quanta nostalgia! Quanto rammarico per cose non fatte e non dette:

 

“…Così il murmure del tempo ninna

il gorgoglio dei pensieri

le emozioni che stridono ferite

blandisce la paura di essere, di esserci

il timore di non esserci.

Sogno prati e monti e l’ultimo orizzonte

approdo in cui so che morirò di nostalgia (Esserci e non esserci).

 

 D’altronde si tratta pur sempre di una storia che noi vorremmo diversa, magari più vicina ad una riva a cui potersi aggrappare. Ed è con la poesia che possiamo dare vita alle persone e alle cose che abbiamo amate e che ci sono sfuggite di mano; è il potere di questa magica arte antica che ci chiama; quello di ricostruire figure e volti che noi pensavamo immortali: forse l’unica possibilità che abbiamo in saccoccia  per ridurre la distanza che ci separa dalla sfera degli dèi. D’altronde l’idea della morte è quella che fa di noi degli esseri viventi, unici, a soffrirne, in quanto di fronte al nulla e al sempre la  nostra mente si perde, si sente a disagio, fino a patirne la splenetica meditazione.  Gli antichi Greci riconobbero nel “pensiero della morte” (μελτη ϑανάτου) l’origine stessa della filosofia; e un poeta moderno fornito di una robusta cultura classica, Giovanni Pascoli, mise in risalto nell’epilogo di quello che è il più noto e forse meglio riuscito dei Poemi conviviali (1904), L’ultimo viaggio, l’effetto psicologicamente angoscioso ed eticamente devastante dell’assillo costante della morte: “- Non esser mai! Non esser mai! Più nulla/ ma meno morte che non esser più ! – ( XXIV, Calypso, vv.52-53, cioè: ‘è meglio non esser nati, che nascere e vivere una vita tormentata dalla continua preoccupazione della morte’). La poetessa affronta vari temi: thanatos,  vita, amore,  radici, memoriale, il tempus fugit, o il senechiano cotidie morimur. Diverse quindi le chiavi di lettura di questa sinfonia. Ma tutte riportano al nostro viaggio, a questo problematico fatto di esistere. E in quanto umani, coscienti della futilità di questa navigazione in un mare pieno di trabucchi, meditiamo sul quando e il dove,   sull’ora e il poi, senza però avere risposte adeguate. Tutto è misterioso, impenetrabile; la cosa migliore è  restare aggrappati alle persone che amiamo, alle cose che ci emozionano come la poesia, solo così diamo un senso alla vita, dacché è l’amore l’unica realtà che si avvicina alle soglie dell’eccelso. E Adriana lo sa, lo dice nei suoi versi, e lo grida al mondo, in quanto fa del suo canto l’apologia dell’esistenza: ora benevola, ora malevola, ora fulgente come l’aria di primavera, ora rubino come le foglie d’autunno, ma pur sempre vita. Pur sempre amore:  perché, come scrive T. S. Eliot in East Coker, il secondo dei Quattro Quartetti: “C’è un tempo per la sera sotto la luce stellare, un tempo per la sera sotto la lampada accesa, (…). L’amore è ancora più di se stesso quando qui ed ora perde d’importanza.”. E amore significa vita, attimi, presenze, emozioni, palpiti, passione. Significa poesia, quel misterioso flusso emotivo che ti innalza al cielo, come magistralmente dipinge Paul Verlaine nel suo “le ciel est par-dessus le toit” e che la poetessa ricama in una delle più belle poesie della raccolta:      

 

“…Babele è la torre di ogni città.

Confusi i colori, confuse le lingue,

gli odi e gli amori.

Il senso…il senso di tutto dov’è?

La gioia che brilla negli occhi morenti di un bimbo

l’abbraccio che solo nel dolore riscalda

è la misura del nostro soffrire o del nostro gioire?

La Tua Croce forse giustifica il senso

e ogni croce che spalanchi le braccia

 dinanzi a un cielo senza catene (Catene).

 

Finché, alla fin fine, la poetessa trova il suo ambiente preferito nella purezza della natura, fra fiori e papaveri che più di ogni altra cosa danno il piacere di esser-ci, di sentirsi a casa nostra dopo il rientro da un lungo viaggio:

 

Fiordalisi e papaveri

 

Torneranno a parlare i campi di grano,

a litigare fiordalisi e papaveri per uno sbocco d’aria

 tra le spighe arse dal sole di luglio

e i piedi a spaccare le dita sulle zolle aride

nei campi distesi sotto la bella Dormiente

La fiamma di rosso al tramonto il campanile

avvolge da lungi e le cime con esso gareggiano

già nascoste dalla tenebra lenta.

Insonne la notte al caldo trafitto da grilli e cicale,

gracida il rospo e la rana nel rigagnolo verde

di acqua e di bianche ninfee.

Un gufo gli occhi spalanca, guardiano

del faro notturno, alla luna

che in cielo argentea più delle stelle.

 Nazario Pardini

 

 

DAL TESTO

 

Vita mia

Mi vivo di me e dei cari volti

di queste stille di tempo

di quello che giunge in dono

senza la mia attesa.

Possa ogni giorno regalarmi

degli affanni il dolce oblio

e dietro le nuvole il volo

di Jonathan il gabbiano

che il cielo preferì alla terra,

potessi inebriarmi del profumo

della viola che nulla è

sebbene aria e fuoco e vita

per ritrovare il me che langue

nel riposto angolo buio

della superba dimora dell’anima delusa.

Potessi infine spalancare le finestre

sui muri spaccati dall’impetuoso vento

della vita e ad un cielo infinito uscire

e luminoso come quello che quest’oggi

mi tesse la speranza che non è la tela

tutta, bensì di Cloto il lembo di filo

stretto nella mano.

 

Nume tutelare 

Di fronte alla finestra il foliage rossastro di betulla,

oggi un po' di più nevica foglie il vento

grondando tramonti di fuoco

nell’aria gelida e secca

di questo mese che alla solitudine

spalanca e ai mesti addii.

Diverso è il destino delle foglie.

Non di uccelli migranti hanno virtù

a solcare terre e mari e montane cime

presto cadranno nell’umida pozzanghera.

Una sul davanzale sbatacchiata

la furtiva mano l’ha adagiata

supina come in grembo

tra le esangui pagine del libro.

La incollerò sul ramo a primavera

quando le foglie brilleranno di novello verde.

Perché ogni cosa abbia il suo nume

e nel nume certa la speranza.

 

Autunno 

Donde questo silenzio

di note nell’aria grigia stupita 

in attesa che crolli la volta di nubi

o si squarci in rivoli d’ acqua

questo cielo mio muto. Impauriti

i gatti e noi sempre più soli.

Nudi gli alberi e battito d’ali

spento da tempo.

Timidi avanzano al nulla

i pensieri gabbiani affamati

sulla spiaggia intatta di orme.

Fermo è il tempo di vita

nell’ora che declina alla morte.

Nell’aria solo profumo di mosto

 e celate promesse nel cuore.

 

Memories 

Non conobbi così presto il dolore

se non quando te ne andasti, mamma,

e fu la mano che si affievolì nella mia

d’un tratto come ultimo addio.

Non capivo il fremito che dalle dita tue

s’inerpicò sul braccio e mi trepidò nel cuore.

In me la tua energia morente

divenne flusso perenne di presenza

e vita aggiunta a vita 

quella che mi donasti

allorché il primo raggio di sole

mi corrugò le palpebre.

Lo sentii, mamma, e fu per te

che impressi da allora passi doppi

dinanzi alle porte strenue degli anni

nei giorni sempre più esigui, sempre più,

piccolo intervallo al fatidico traguardo

dove tu più stanca di me per l’attesa

seduta sarai ad aspettarmi.

Ti restituirò all’incontro la calda carezza

come allora e il tuo amore e il mio

insieme saranno spirito di fuoco.

 

 

 

 

 

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